Rubrica settimanale di Gabriele Perretta di critica mediale: osservatorio, libri, personaggi, ri-letture, percorsi, bilanci, racconti.

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Luce-madre & guerra terminale
(parte II)

La guerra terminale, è stato detto, è il lievito, il frutto del male e, nei suoi riflessi condizionati dell’attualità, tensione tra reale e reale, ossia tra accadimenti che cangiano determinando il contrasto, l’antinomia, il drammatico atteggiamento del politico dinanzi alle diverse impossibilità della pacificazione. In questo contesto, che è una delle conclusioni cui si perviene considerando la “terminazione nucleare” come condizione di sviluppo di una situazione, la guerra appare tautologica, aspetto del reale che – inglobando arte, filosofia e tecnica – crea gli strumenti per la “narcosi terminale”.

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Luce-madre PPP
(prima parte)

E quindi, a prima vista, strano che un eretico che si definisca corsaro, come PPP, sembri ripercorrere a ritroso la strada che dalla “Religione del mio tempo” porta alla luce e al tramonto dell’empirismo, della sovversione ed attribuisca un segno particolare al concetto di luce-madre. Ma, guardando più da vicino questa digressione, vi si scorgono degli aspetti del tutto nuovi. La religione del mio tempo esprime la crisi degli anni Sessanta … La parola di PPP è una parola di crisi, ma una crisi dichiarata, leggibilissima perché scritta e, soprattutto, documentata poeticamente, superando le argomentazioni sociali e storiche delle Ceneri. Da qui il concetto che l’arte poetica altro non è che la traduzione della critica che la produce. Le madri dei poeti possono avere impensabili luminescenze: essere ombre di passaggio o presenze accecanti del tempo presente, o silenziose compagne della mutazione che trepidano intorno al desiderio di luce, quando tutto intorno a noi è cambiato o sta cambiando.

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Arte senza politica … Crisi dell’agire ecologico

È sempre più facile,infatti, sovrapporre la propria identità politica al proprio profilo creativo, la persona al numero dei suoi follower artistici, ed è sempre più difficile ricordarsi che si tratta solo di un avatar estetico, di un simulacro che fa arte ecologica, land art, eco art e soprattutto arte politica che azzera l’antagonismo. Non è più l’artista a dover assomigliare al militante politico, ma la persona dell’artista ad esprimere i valori della politica. È l’identità reale ad essere funzionale all’identità virtuale della land art. È la vita a servire come opera d’arte utile al metaverso. Quella in cui viviamo è una società in cui ciascun narcotismo artistico è costretto ad avere un’immagine politica, una socialità inautentica, che è costretta a costruire e che potrebbe essere la sua salvezza o la sua rovina.

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L’ecopolitica di Pasolini
… a ridosso dei “CSC” (terza parte)

Il discorso di Pier Paolo Pasolini non ha solo un valore utilitario; esso adempie anche una funzione che implica, per essere compresa, considerazioni ecopolitiche e non solo storiche, geografiche, sociali e fisio-economiche. L’ecologia antagonista di PPP non si limita dunque a far tacere i suoi sentimenti: ella suggerisce nuove idee, contribuisce ad introdurre nuovi dibattiti di opposizione e di contraddizione, tanto estranei al pensiero tradizionale quanto lo sono quelli che si incontrano oggi in alcune fronde del FRIDAYS FOR FUTURE. Fridays For Future è quello del 24 settembre 2021. Gli scioperi globali a sostegno dell’ambiente tornano in scena: il 24 settembre i movimenti ritorneranno in piazza per chiedere maggior impegno sulle politiche ambientali.

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A ridosso dei “Climate Social Camp” (2a parte)

Sembra che la strategia politica vincente sia vivere il proprio attivismo – così come fanno quelli della Terza edizione del Venice Climate Camp (dal 7 all’11 settembre 2022; un campeggio per il clima al Lido di Venezia (VE) nella capitale lagunare – contro la fuffa pseudo-politica delle Biennali dell’industria culturale. Tale condizione pone in evidenza l’esigenza di riuscire a riconoscere le proprie “situazionalità ecologiste”, a non averne paura, a farvi fronte e a orientarle in modo positivo e costruttivo, per il raggiungimento dei traguardi e degli interessi dell’intera collettività mondiale. D’altra parte, la vita umana senza “situazionalità ecologiste e politiche” sarebbe semplicemente inconcepibile e inimmaginabile. Non soltanto perché diventeremmo dei robot, eterni fruitori, ma soprattutto perché le possibilità della nostra sopravvivenza si ridurrebbero in modo significativo, come pure la qualità della nostra esistenza.

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A ridosso dei “Climate Social Camp” (prima parte)

Ultimata la colonizzazione geografica, i poteri forti del mondo globalizzato stanno ora lanciando una colonizzazione dello spazio organico che, grazie a bio.tecnotensioni e a “nichilismi standardizzati” – capaci di manipolare, dal mais alla persona, dal clima alla vita del pianeta, le strutture geopolitiche – sta portando a brevettare la vita. Questo nuovo ciclo di articoli, avvia una riflessione sulle politiche ecologiche movimentiste contro la fuffa dell’esperimento land-artistico (l’infrasottile estetico), proponendo forme di critica capaci di coniugare dialogo scientifico, contingenza dell’allarme climatico e coscienza sociale. Disponendosi negli interstizi, nelle zone liminali, l’ultrasottile (l’ultrasottile etico) del dibattito e della pratica libertaria, come quella del Climate Social Camp, esiste la possibilità di creare la pressione necessaria per aprire le fortezze della militanza, ottenendo pubblico accesso alle iniziative e alla formazione di politiche mediali, che riguardano tutti e possono arrivare a tutti. Nasce così una riflessione resistente, che consente di lavorare per la “comunanza” fra le forze della liberazione.

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Heuresis va in pausa

Anche quest’anno scatterà da venerdì 07 luglio la consueta pausa estiva fino al 31 agosto 2022, con la sospensione delle attività in ambito redazionale e per la rubrica settimanale Heuresis.

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Commentari: Hewlett

Forse dobbiamo aspettarci dall’arte della parola – se l’arte riesce ancora, dopo tutto, a conservare una fondamentale forza critica – una risposta all’orgia del pressappoco. Una risposta adeguata, intendo, capace di fronteggiare le emergenze della cosiddetta proposta Hewlett! È possibile, e avrebbe senso, riproporre il problema che tenne occupato Maurice Hewlett almeno per i primi vent’anni del secolo scorso? Oggi, nel tempo dei new media e della realtà aumentata, delle guerre computerizzate e dell’informazione algoritmica? Avrebbe senso, voglio dire, chiedersi se e come possa e debba essere tematizzato il discrimine tra poesia e saggistica, tra ciò che si scrive e ciò che si spinge al di là della stessa figurazione scritta?

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Pulcinella: ai confini dell’inesprimibile (parte quarta)

Per Pulcinella, la realizzazione del Sé avviene nell’ambito dei principi e delle regole istituite nella comunità d’appartenenza. Ma ora, relegato alla periferia dell’universo, saprà rintracciare un criterio che gli consenta di conoscere la molteplicità esorbitante e caotica degli accadimenti, dei quali rischia di diventare l’esterrefatto spettatore?

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Polichiniello (terza parte)

È per molti aspetti sorprendente che la Maschera, a differenza di altri stadi espressivi, sia rimasta ai margini della riflessione artistica. Forse la sua diffusione, la sua banalità, la sua quotidianità, il suo costante rinviare al contesto veritativo del soggetto che la prova, hanno contribuito a far escludere la possibilità che la Bautta sia una categoria artistica autonoma, e il disinteresse critico è messo ancora più in evidenza dall’interesse che la finzione ha suscitato in ogni tempo presso Pulcinella e Polichinielli.

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Polichiniello: un filosofico in meno! (II parte)

Il teatro si può conoscere soltanto oltre il teatro. La ricerca del teatro e delle teatralità è in un certo senso la ricerca del proprio disegno artistico che Pulcinella chiama “una certa disposizione all’orgasmo del Sé”. Tanatiello dirà: “Non si ha che l’altro”. Ecco la maschera comune che prosegue. Sembra senza mèta a chi lo osserva muoversi tra la gente, povero bagaglio di risate e di pianti sulla pubblica via. È sempre in cammino verso quella domenica della vita che rischiara le piccole cose di tutti i giorni.

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Il Parassita («Le Parasite»)

Il primo obiettivo di questa recensione è quello di collocare il libro di Michel Serres, del 1980, in una prospettiva culturale generale, riconducendo in particolare il lavoro di curatela di Gaspare Polizzi a quei sistemi critici, che segnano scrittura e visione del mondo dello storico francese. A tali pagine fanno poi riferimento le licenze interpretative, che offrono ulteriori e più specifiche aperture. Ma, soprattutto, con un autore come Serres, l’apporto personale della critica, il suo «commento girovago» (“senza fissa dimora”), è di fatto insostituibile.

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La location «The Square» II 

I fotogrammi e gli algoritmi che compongono The Square, e che urtano il buon gusto del sistema dell’arte, sembrano conservare ancora oggi un singolare potere. Sono apparentemente dei montaggi di bravura, di un genere prezioso che sembra discostarsi dal gusto post-moderno dominante e che anche il cultore di The Square può giudicare piuttosto stravagante e in definitiva isolato nello specchio della produzione artistica attuale.

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La “location” «The Square» I

I processi di acidificazione hanno man mano mutato l’arte contemporanea e le relazioni che la caratterizzano, modificando anche gli orientamenti dei movimenti artistici e dei presunti linguaggi visivi: le istanze hanno iniziato ad avere rilevanza mondiale e le basi sociali della sua crisi e della sua confusione (post-avanguardistica) si sono estesi, fino a comprendere soggetti di vari campi ed estrazioni, rendendo eterogenee le forze del riconoscimento, prive, nel loro insieme, di una multidentità e di una multimedialità. Tutto il problema del film The Square pertanto è quello di fare di questa tematica “da piazza” una tematica “di strada”, di operare affinché questa proliferazione critica, di ambienti consunti, sia indotta a svolgere una sua funzione nel racconto futuro dell’arte! Ma ciò non è sempre facile!

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MIRACOLI!

Il presente è d’una consistenza miracolistica: esso vive nella propria deliberazione medio/mediale o medio/mediocre, nel dileguarsi del proprio hic et nunc. Esso, costantemente – come l’arte contemporanea ha spesso dimostrato – mentre si trasforma permanentemente nel reiterarsi del trans-illusionistico, restituisce al proprio oltre l’estrema spazializzazione del “tempo morto dell’estetico”, il tempo dell’irrealizzabile.

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A/traverso F for Fake II

Viviamo nell’epoca di F for Fake, in cui l’immaginario diventa una forza strategica del processo di valorizzazione della bugia, e l’arte sembra perdere quella funzione sovversiva, quella capacità di critica corrosiva del reale che la modernità le aveva assegnato. La guerra sta trasformando tutte le immagini in emanazioni di veridicità, e pare togliere al cinema il carattere di impronta del reale. Il potenziale di F for Fake rilancia in maniera originale gli interrogativi fondamentali sulle funzioni dell’arte della menzogna, sui suoi rapporti con i processi sociali, sul suo ruolo nel convulso mescolarsi di autenticità e fandonia che caratterizzano la storia del cinema.