Rubrica settimanale di Gabriele Perretta di critica mediale: osservatorio, libri, personaggi, ri-letture, percorsi, bilanci, racconti.

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Realtà sconfinata: città e mezzi espressivi (ecr.: 03 – 1985)

Prosegue qui l’analisi dei risultati di Città senza confine iniziata alla fine dell’anno scorso. Rileggere questi scritti (del 1985) oggi? Un modo, anche, di contrapporre le testimonianze ai tentativi rammendati di “rewind”, la seduzione della memoria all’attualismo odierno. Nulla a che vedere con il cinismo giornalistico che maschera un modus operandi, quello dei cataloghi vacui e indifferenziati: giacchè il paradosso qui sta nel fatto che la parola di allora può talvolta condurci al «confronto». Senza dimenticare la febbre, l’inquietudine, il godimento: un vero strumento storico, legato al gioco e alla strategia della sostanzialità. Come se esistesse un’intima relazione tra il piacere della città e lo sconfinamento dell’urbe.

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Gentili lettori e lettrici,

Anche quest’anno scatterà da giovedì 23 dicembre la breve pausa invernale delle festività natalizie e dell’anno nuovo fino a mercoledì 12 gennaio 2022, con la sospensione delle attività in ambito redazionale e per la rubrica settimanale Heuresis.

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Forme della scrittura in «Città & Città» (écr.: 02 – 1985)

Andrei Tarkovsky ha dichiarato, a proposito di Solaris, che il suo film ha voluto completare il 2001 di Kubrick, sottendendo che lo spazio non è solo un impero da conquistare, ma uno stimolo per verificare il più profondo io delle persone. Strana considerazione, questa sull’identità tra spazio e inconscio, soprattutto se si pensa che ci viene da un regista che fa i conti con i confini e con le città reali e immaginarie. Calcolatori di processo e di gestione, microprocessori, robots, videogiochi, micro e personal computer, macchine videologiche e parlanti, arcipelaghi telematici, lo sguardo di una redazione anomala degli anni ‘80. Si tratta di indagare la scrittura di Città & Città che si dà come antropologia coinvolgente nella fase elettronica dello sconfinamento. A partire dallo scambio/tempo di vita/capitale, l’arcipelago disegnato da Città & Città definisce la topica sociale articolata dalle macchine simulanti.

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Una «città senza confine» (écr.: 01 – 1984)

Questo è il primo di alcuni testi, recuperati dalla redazione di Città & Città e dalla preparazione della manifestazione Città senza confine, che prossimamente pubblicherò in questa rubrica per ricominciare a riflettere sul rapporto tra territorio e pratiche dei saperi artistici contemporanei. Riflessioni di sconfinamento compiute sotto il sole di Napoli, nella prima metà degli anni 80. Cronache e percorsi meridiani riscoprono le tracce di nuove esposizioni, nel loro intreccio con la singolare sismicità di una metropoli che non esclude nessun elemento del caos, in cui si uniscono fatti, creazione e scienza.

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8 racconti per una nuova Milano?

L’uso del modello della comunicazione urbana nella comprensione dei fototesti permette di cogliere la complessità degli elementi che intervengono nell’atto comunicativo. Il camminare, in una città come Milano, non è mai un semplice atto passivo, estetico-contemplativo, ma è una operazione attiva che richiede alla cittadinanza una serie di capacità come il saper individuare qual è il saluto, l’attrazione, le regole e il significato del tragitto, in relazione al contesto politico, e le diverse funzioni mediali. Ricordava Walter Benjamin, nel 1912, a proposito di un viaggio nel capoluogo lombardo: “Milano non saluta il forestiero in italiano, ma piuttosto in una lingua ultraeuropea”.

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Perdenti critici o critici perdenti? [I parte]

Oggi il critico-curatore è rapito dall’infinità del discorso vuoto. Egli è strappato dal sé ed è esteriorizzato, privato dei suoi confini e inaridito nell’esterno di una qualsiasi cultura visuale. Questo evento catastrofico, questa esternalizzazione del superficiale si realizza come espropriazione, come superamento e svuotamento del governo di sé, ossia come declino conclusivo.

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Una riflessione sullo STOP PAINTING, da Prada a Venezia! [sec.II]

Così, ritornare al rapporto tra “Pittura e Memoria Oggettuale” significa ben più che un semplice esercizio comparativo, è l’atto di porsi nel mezzo di un colloquio che non ha ancora cessato di compiersi e che, come ogni incontro-scontro, vive anche di segni, di considerazioni storiche, di relazioni, nonché di quei dossier che presentano, a volte, la stessa corposità di una parola: pittura!

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Una riflessione sullo STOP PAINTING, da Prada a Venezia! [par. I]

Questo testo introduce ai segreti e alle contraddizioni della mostra “Stop Painting”: dalle indagini iconografiche, a quelle concettuali, fino ai problemi di una “critica emarginata”, quella che si sottrae al funzionarismo militante e all’annientamento di consistenti episodi storici. Conversare con una mostra significa scoprirla nella sua natura e collegarla alle opportunità o agli opportunismi da cui è nata, ai cliché tramandati da chi fa finta di possedere la vera esperienza dell’arte. Così, ritornare al rapporto tra “Pittura e Memoria Oggettuale” significa ben più che un semplice esercizio comparativo, è l’atto di porsi nel mezzo di un incontro che non ha ancora cessato di compiersi e che, come ogni incontro-scontro, vive anche di cenni, di ammiccamenti, di allusioni vaghe e promettenti, nonché di quei dossier che presentano, a volte, la stessa densità di una parola: pittura!

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La militanza dell’ingenuo? [part. III]

Leggere l’immagine è come esaminare da troppo vicino la trama di un edificio. Spesso a manrovescio. Per poi staccare. E quindi riaccostare. In un continuo movimento, anche muscolare, di avanti e indietro, o meglio, di indietro in avanti. Movimento durante il quale si ha consapevolezza e si dà vertigine dello spazio e del tempo in cui esso avviene e dei sensi in atto che lo fermano. Questo processo diciamo ottico-visuale, incantatorio com’è proprio della sua caratteristica istantanea, a intervalli mettendo a fuoco e mandando fuori fuoco (offrendoci di volta in volta primi piani della stessa superficie del tessuto del mondo e campi lunghi dell’insieme della concatenazione infinita) ci conduce – contemporaneamente – alla qualità necessaria di trovarsi dentro e fuori dalle icone fluttuanti.

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La militanza dell’ingenuo? [part. II]

La facoltà dell’ingenuo possiede una complessità creativa e gioca un ruolo ambivalente nella formazione del genere fotografico e dell’identità dell’opera. Grazie alla sua capacità pervasiva e distopica, di rendere conto tanto di aspetti negativi, ripetitivi e distruttivi quanto di aspetti creativi e di apertura, ci consegna diversi fenomeni.

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La militanza dell’ingenuo? [part. 1]

Qui si tocca, come è chiaro, il rapporto fra natura e visione che ha guidato il contrasto positivistico sin dalla nascita dell’immagine fotografica, e che viene costantemente riesaminato proprio per la fluidità del loro confine, perché molti sguardi ormai risultano motivabili, e viceversa molti comportamenti istintuali appaiono nient’affatto naturali e spontanei. Potremmo sostenere che l’arte e la fotografia va a collocarsi nella “militanza dell’ingenuo” che ogni individuo opera sin dalla sua nascita, rivolgendo la sua attenzione sia allo spazio esterno che a quello interiore, e soprattutto sovrapponendo moduli normali con altri del tutto anomali e però in grado di costringere a riconsiderare appunto le certezze acquisite.

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Chiasmi e contrapposti in Bruce Nauman!

È qui, tuttavia, che l’artista in cerca del proprio atelier deve scommettere sul proprio performare: egli è come un atleta davanti all’ostacolo mediale da superare, si immagina mentre salta, senza avere un’intuizione precisa della propria riuscita. Incorpora il futuro nel presente, formula una categoria sul «contrapposto» superato prima di saltare.

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Masticando il rumore-design di Giacon!

Giacon disegnando la «post-concertualità» abbatte ogni frontiera del rapporto tra pubblico e spettatore; così facendo, ne modifica l’essenza. Il pubblico non è più pensato come un insieme omogeneo di persone che osservano un oggetto, ma come un insieme di individui unici, che garantiscono la continua dinamicità e irripetibilità di ciascuna performance. Creare un’opera d’arte su un rapporto dinamico con il pubblico, magari filtrato dall’editoria, è un lavoro emotivamente, intellettualmente fisicamente molto faticoso, sia per l’artista che per il pubblico. L’arte di Giacon tocca le corde della nostra sensibilità, mettendosi in gioco in prima persona. Per questo possiamo affermare, nuovamente, che un’opera d’arte di Giacon non si osserva, non si guarda o non si legge: la si vive (ri/attraversandola) e la si crea (ripercorrendo i chilometri di rumore).

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Gli Archi e gli Strali di Foscolo

Foscolo non si lamenta dell’impossibilità teorica di affermare un’inattuale oltre l’attuale. In questione è per lui piuttosto il non darsi di un’inattuale finito che sia ad un tempo visibile udibile gustabile tastabile annusabile. È la storia delle cose, la loro strutturale incapacità ad appagarci pienamente, ciò che il vero artistico misura: essenzialmente cognizione di limiti e confini – non può mancare di annunciare: una radicale «inattualità dell’attuale», una ostinata obiezione a riconoscere che queste cose non sono affatto inconsistenti, pur nella loro irrimediabile complessità. Non si tratta ai suoi occhi né di negare l’attuale né di assolutizzarlo, ma piuttosto di leggerlo in rapporto continuo con l’atemporale e con l’incompreso.

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Gentili lettori e lettrici,

 anche quest’anno scatterà da venerdì 16 luglio la consueta pausa estiva fino al 31 agosto 2021, con la sospensione delle attività in ambito redazionale e per la rubrica settimanale Heuresis. …