La missione di Jack (I parte)

Vietato pensare al proprio progetto umanitario. Viviamo questo terribile momento, catastrofico e inquietante, in cui qualsiasi gesto di aiuto verso l’Altro, sembra impossibile: la generosità etica e militante, la pratica politica dell’indignazione custodita dal ribelle solidale è assolutamente bandita. Il perché non è un enigma e non attiene alla sola violenza autoritaria del capitalismo, ma al fatto che a quest’ultimo non si oppongono ancora sufficienti momenti di sdegno, di scetticismo e di controtendenza etica, di sana opposizione e affermazione del comune, dei più basici bisogni di classe. 

Script, ready-made e tatuaggi (I parte)

Che legame esiste fra l’industria del tatuaggio e ciò che qui si determina organicamente come soggettività tatuata? Nel tatuaggio e nel ready-made possiamo riconoscere la logica dei rapporti sociali, più che della “sensazione”, partendo dal fenomeno economico elementare (lo scambio dell’icona in ferita) in ogni processo sociale – politico, giuridico, intersoggettivo, sessuale, estetico, body-artistico – quando interviene lo scambio in un senso generalizzato, rapporti pratici di “messa in equivalenza” si trasfigurano: rimpiazzo, scorticazione, trasposizione, rappresentazione.

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Formati d’odio

Dall’analisi effettuata ben si vede come l’eclissi della serenità sociale e culturale appaia motivo singolare per la persona del contemporaneo che, nella misura in cui appare estraneo alle sollecitazioni ideali di questo paradigma di vita, si priva di stimoli e suggestioni che danno all’esistenza una tonalità più elevata. Certo l’atmosfera culturale in cui egli vive, caratterizzata da un istinto di morte che induce a privilegiare tutte le negatività dell’esistenza, non è favorevole all’emancipazione sociale come proposta di vita.

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Fare “The Mountain” a Roma

Se vogliamo cominciare da zero, dobbiamo rivolgerci alla gente del teatro prima che ai filosofi, ai politici e ai giornalisti. Forse il duro lavoro, la scarsità di beni, l’indigenza e la miseria delle Fake news fanno semplicemente parte dell’ombra dello spettacolo? Potrebbe essere così? Purtroppo non possiamo sfogliare un prontuario con tutte le risposte, perché non esiste; però possiamo diventare diffidenti nei confronti di Putin e del giornalista che lo supporta. Ci sono però i meme del teatro e, anche se nessuno ha ancora mai visto e vissuto un mondo (quasi senza teatro) con strumenti di recitazione pari alle repliche di una fake news, non possiamo certo disdegnare tale saggezza. Da sempre i personaggi del teatro pongono grandi domande sulla natura della democrazia politica, sulle sue predisposizioni e possibilità: Chi è Trump? Chi è Putin? Che cosa ci aspettiamo dalla loro passione per lo sport, per lo spettacolo e per la comunicazione politica?

Sulla scomparsa di Edoardo Di Mauro

L’organizzazione artistica è qualcosa di molto delicato, che influisce sul valore delle “produzioni” espressive o meglio, come scrive Gramsci, “l’organizzazione pratica dell’opera nella sua fattispecie espositiva è nel suo insieme un mezzo di espressione artistica”. Edoardo Di Mauro, morto pochi giorni or sono, è stato un organizzatore di particolare valore. Le righe che seguono intendono mettere in luce il “nucleo profondo” di questo valore e soprattutto la crisi che attanaglia il mondo della critica, della curatorialità e dell’indipendenza intellettuale e autoriale.

In morte di Giuseppe Desiato

Giuseppe Desiato è stato uno dei maggiori interpreti di quella temperie culturale napoletana che tanto animò il territorio italiano ed europeo degli anni ’60, ’70 e ’80 del ‘900. Era nato a Napoli, in condizioni difficoltose, nel 1935, da genitori modesti e dall’amore della cultura di strada: l’esordio avvenne subito dopo la seconda guerra mondiale e il periodo della ricostruzione, nel ruolo del bambino-performer che è sempre rimasto. E con quel primo esordio meramente sociale, si conquistò la frase delle Satire di Giovenale: “Maxima debetur puero reverentia”.

Vacanze e servizi random 

Heuresis va in vacanza per un po’ di settimane. Quella di oggi è, forse, l’ultima pubblicazione prima della pausa estiva della nostra redazione. Torneremo con nuovi articoli, saggi e aggiornamenti…

Comm.medium vs “Liberato”

Per Liberato potrebbe valere ciò che vale per I. Bachmann: “Al poeta, nel più fortunato dei casi, possono riuscire due cose: rappresentare, riprodurre il suo tempo, e presentare qualcosa per il quale il tempo non è ancora venuto”. “C’è una maschera per la famiglia, una per la società, una per il lavoro. E quando stai solo, resti nessuno.” (Pirandello 1925: “Uno nessuno e centomila”)

Foglie al vento / Kaurismäki

La storia di Ansa e Holappa, due proletari sbattuti fuori più volte dai loro precari lavori, nell’antro di una città che, fin verso la fine, pare scassata e vuota, ma dove galoppa sotterranea (come accade sempre nei film di Kaurismaki) un concreto realismo tra “umiliati e offesi”: un’infermiera ti regala dei vestiti, due colleghe si autoaccusano per solidarietà di furto, un uomo salva cani dall’eliminazione. Anime asociali, filettate le une di fianco alle altre, sul divano di una casa modestissima, ma senza un colore o un arredo erroneo, sulla panchetta di un parco, contro le pareti azzurre del California Pub o davanti al palco del locale dove si fa esibizione canora dilettantesca, Get On, Baby!, un tango di Gardel, un lieder di Schubert, Mambo italiano, tutti in finlandese; e volti incomprensibili, battiti rapidissimi, quiete nervosa, spaccata ogni volta che qualcuno accende una radio (niente tv, nei film di Aki, solo cinema e radio), da un ininterrotto notiziario sulla guerra in Ucraina. Gli ostacoli che si frappongono tra Ansa e Holappa, e il coronamento di un’ipotesi di rapporto romantico tutto da scrivere, sono molteplici e partono dall’incubo della guerra che investe tutto, in ogni forma, dalle notizie alla radio all’angoscia che un paese come la Finlandia respira sul suo territorio. Indimenticabile il dialogo finale tra i due, quando Ansa e Holappa si ritrovano dopo una accidentale ospedalizzazione di lui e lei lo riaccoglie in compagnia di un cane ritrovato per caso. “Come si chiama questo cane?”, chiede lui, “Si chiama Chaplin”, risponde lei. Musica, titoli di coda e disperate interrogazioni!

Realismo, generosità e focale fissa (I parte)

Figuriamoci il vasto recinto delle scienze ingenerose come una grande estensione di terreno sparso di luoghi oscuri, disseminati ed occulti. Lo scopo della nostra critica (scopo che si oppone ai paradisi artificiali della post-critica) deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, (“generosi”) oppure di “moltiplicare sul terreno i centri di luce”. L’un compito è proprio del “cineasta realista” che crea, l’altro del “vaccino multivalente contro il pressapochismo virulento della superficie e della superficialità”. Dovendo riconoscere un’analisi della funzione di realtà nel cinema, forse è il caso di insistere con le parole che ci ha lasciato Antonio Bisaccia sulle funzioni della comunicazione: “La superficie ha senso e serve solo se sotto il suo derma abita la carne della realtà”.

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Semiopolis & s/confinamento (III parte)

“Non vogliamo trovare nessuna dottrina definitiva della scrittura metropolitana, ma la logica dei concetti di realtà e di relazione sociale. E questa riesce a fare quello che, spesso a torto, ci si è aspettati da un modus operandi. Quando si spiegano ad un amico i nomi delle «tag» o dei «graph», non si tocca ancora il concetto di luminosità. Si tratta di un concetto che ha relazioni dissimili con le differenti performance del writing. A chi dunque volesse dire che non ci rendiamo conto, a proposito delle lettere in movimento, che i loro concetti sono così «sconfinati» e «slanguage», si dovrebbe rispondere che, appunto, Lui (la voce anonima quanto il writing) ha rivolto la propria attenzione all’analogia tra questi scarsi concetti, ma che le diversità risiedono nelle relazioni con altre carenti e marginali graffiature”. 

S/language & s/confinamento (II parte)

Il contributo si propone di analizzare il nodo cruciale della riflessione del segno-vandalo all’interno del regime discorsivo della modernità e tarda modernità: è davvero concepibile una società senza graffiti? E l’immagine di un segno non coercitivo che va oltre l’immagine del graffio occidentale come connessione tra language (retinico) e slanguage (aretinico)? Un viaggio all’interno di uno sfavillante “tatuaggio” metropolitano, quello dell’antropologia più matura, e una riflessione che ci pone davanti a una risposta molto particolare alle due domande fondamentali della modernità: cosa è il graffito e cosa è la società che lo contiene

S/language & s/confinamento

Poiché c’è consistenza del linguaggio metropolitano, ed è inevitabile che ci sia (il linguaggio è affare troppo serio per lasciarlo alle artistar), lo cercheremo in un’altra forma di post-situazionalitá: il «materialismo vandalo» di Jorn. A condizione, naturalmente, che queste differenze abbiano una qualche forma di distanza dagli spot pubblicitari di “Anselm” e dall’opera di Kiefer in generale. Il resto di questa deviazione è dedicato all’assimilazione dei segni e dei simboli dell’architettura medievale che costituiscono uno “slanguage” più esplicitamente vandalico rispetto alla piaggeria dell’arte dell’establishment.

Scacchiera: postmodern o postmortem (III parte)

E non manca, sul fondo della scacchiera, chi sembra credere alla possibilità di costruire una sorta di alternativa all’egemonia culturale dell’arte contemporanea, magari rispolverando un tradizionalismo anch’esso d’antan. Riattaccare cioè con l’arruolamento dei sacerdoti? Sembra discutibile. Forse ci vorrebbe altro per scuotere la foresta dei giocatori di scacchi, per colpire la volatilità degli atleti. Non gli scacchi burlati e le traballanti damine, d’accordo, ma neppure gli epigoni di Emo e di Speer, tanto per fare dei nomi.

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