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S/language & s/confinamento (II parte)

Il contributo si propone di analizzare il nodo cruciale della riflessione del segno-vandalo all’interno del regime discorsivo della modernità e tarda modernità: è davvero concepibile una società senza graffiti? E l’immagine di un segno non coercitivo che va oltre l’immagine del graffio occidentale come connessione tra language (retinico) e slanguage (aretinico)? Un viaggio all’interno di uno sfavillante “tatuaggio” metropolitano, quello dell’antropologia più matura, e una riflessione che ci pone davanti a una risposta molto particolare alle due domande fondamentali della modernità: cosa è il graffito e cosa è la società che lo contiene

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S/language & s/confinamento

Poiché c’è consistenza del linguaggio metropolitano, ed è inevitabile che ci sia (il linguaggio è affare troppo serio per lasciarlo alle artistar), lo cercheremo in un’altra forma di post-situazionalitá: il «materialismo vandalo» di Jorn. A condizione, naturalmente, che queste differenze abbiano una qualche forma di distanza dagli spot pubblicitari di “Anselm” e dall’opera di Kiefer in generale. Il resto di questa deviazione è dedicato all’assimilazione dei segni e dei simboli dell’architettura medievale che costituiscono uno “slanguage” più esplicitamente vandalico rispetto alla piaggeria dell’arte dell’establishment.

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Scacchiera: postmodern o postmortem (III parte)

E non manca, sul fondo della scacchiera, chi sembra credere alla possibilità di costruire una sorta di alternativa all’egemonia culturale dell’arte contemporanea, magari rispolverando un tradizionalismo anch’esso d’antan. Riattaccare cioè con l’arruolamento dei sacerdoti? Sembra discutibile. Forse ci vorrebbe altro per scuotere la foresta dei giocatori di scacchi, per colpire la volatilità degli atleti. Non gli scacchi burlati e le traballanti damine, d’accordo, ma neppure gli epigoni di Emo e di Speer, tanto per fare dei nomi.

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«Engelssturz», di là da Kiefer (II parte)

L’incontro con l’opera di Kiefer ci mette di fronte, in modo dissociato, alla questione del fondamento artistico, sia come fine del fondamento, sia come sua trasformazione (disorientativa). Kiefer ripropone le questioni dell’arte del ‘900, situandole nella radicale disposizione della crisi; in questa balorda postmodernità il confronto con l’opera di Wenders può avvenire solo criticamente. 

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Oltre il determinismo tecnologico (I parte)

I soggetti nati e cresciuti nella simulazione non hanno mai visto oggetti non simulati, o vissuto esperienze indotte da interazioni non simulate. Gli alberi in Matrix sono simulazioni digitali, non esistono «alberi non simulati» di cui le persone abbiano fatto esperienza, che aggiungono o sottraggono informazioni a tutto quello che le persone sanno sugli alberi. Non sarebbe molto diverso scoprire che alberi, automobili e corpi umani, anziché essere fatti di atomi e particelle fondamentali come elettroni, protoni e neutroni sono fatti di bit, o qualunque cosa costituisca questi bit.

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Oltre la quarta dimensione, sui sentieri dell’AI (III parte) 

Con questo racconto mini Fantasy sulla quarta dimensione, si cerca di entrare nella psicologia del «punto, della linea e della superficie», tentando di rimanere nello spazio mentale della geometria multipla e infinita. Si tratta di un altro episodio di quest’ultimo ciclo saggistico, legato ai passaggi pluridimensionali dello spazio e del tempo nell’arte contemporanea. 

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Retinico o a-retinico. Procedure dissociative (II parte) 

Attribuire all’arte una partecipazione attiva nella sfera del semiotico richiede una valutazione della sua esatta collocazione all’interno del quadro generale della teoria della conoscenza, nonché una considerazione più precisa del rapporto che intercorre tra l’arte e le altre forme, meglio specificate, della conoscenza.

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Splendori e miserie. Lo spazio artistico tra: Abbott, Simmel e Duchamp (1 parte)

La pittura è bidimensionale, ma Simmel suggerisce che ha come scopo quello di dare l’impressione di una dimensione in più. Il fruitore deve avere l’illusione di spinte muscolari simili alle varie proiezioni della figura. La grande arte si distingue, dunque, attraverso l’espressione dei valori tattili: tanto più un’opera riesce a stimolare la nostra percezione tattile, tanto più si tratta di un’opera di valore. Occorre, innanzitutto, che essa riesca a dare l’illusione di toccare una certa figura.

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Sospensione temporanea

Questa settimana ho sospeso la pubblicazione del mio saggio, in segno di lutto per la scomparsa della carissima Lucia. Troverete pubblicato, invece, il mio ricordo per lei in homepage.

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Mia cara Lucia

Mia cara Lucia: ora tu te ne sei andata. E il «Ricordo» mi ha pregato di scrivere delle parole per te. Il «mio pensierino» “si attende qualcosa di solenne”, parole altisonanti e gravi, quali appunto un amico riesce a trovare di fronte alla morte, di fronte …

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Il vaso di Simmel e l’orinatoio di Duchamp

George Simmel rappresenta uno degli autori tedeschi più importanti di quella che viene chiamata fenomenologia del medium quotidiano. Dalla critica di tutto il mondo è considerato un vero e proprio maestro delle due dimensioni del reale e del concettuale. Il testo L’ansa del vaso, che risale a molti anni prima del ready-made, rappresenta il miglior esempio dell’invenzione dell’interstizio mediale, vitale e teatrale. 

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Cornici e schermi del vuoto mediale

Qualsiasi teoria cerchi di spiegare l’esistenza della cornice e della perimetrazione del vuoto, ignorando il sistema percettivo della finestra, è destinata al fallimento. D’altra parte, qualsiasi teoria si appoggi esclusivamente sul sistema delle arti visive è destinato a fallire anch’esso. Riprendendo e rielaborando le acquisizioni della ricerca di Georg Simmel dei primissimi anni del ‘900, si condensa qui, in una incalzante esposizione, ogni aspetto mediale dell’intelligenza delle cornici che caratterizza gli schermi. In particolare, analizzando i passaggi evolutivi attraverso i quali si sono via via differenziate le varie forme delle cornici vs gli schermi e viceversa, si delinea in modo quantico la differenza tra cornici insidiose e schermi capaci di “sentire”.

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In ciò che brilla: Leukòs [1]

Mi terrò sui bordi geologici della Lucania in un senso del tutto particolare. Descriverò un percorso apparentemente distante dal tema ma che tuttavia potrà introdurre, in guisa di soglie (di creta), verso ulteriori riflessioni su l’estetico e il politico. Si tratta qui di abbordare la società Lucana nei primi momenti dell’agire e del camminare, in quanto sorgente di suolo ma anche origine-ambiente (habitat). Per definizione l’originario di un territorio è colui che non parla, ovvero il suolo, la terra. Occorre dire che è parlato? In che senso questo è accettabile? La dialettica del duro e del molle governa tutte le immagini che ci facciamo della materia (Lucana) delle cose. Questa dialettica anima (dato che il suo vero significato risiede solo in un’animazione) tutte le immagini con le quali partecipiamo attivamente e intensamente alla vita profonda delle «sostanze». Duro e molle sono le prime qualificazioni ricevute dalla resistenza scultorea, la prima forma di esistenza dinamica del mondo Lucano. Niente è comprensibile nella conoscenza della materia Lucana se non vengono posti anzitutto i due termini dello spazio cretoso e della duttilità scultorea di quel territorio. Che cosa sarebbe una resistenza se non avesse persistenza e profondità sostanziale, la profondità stessa della materia contadina? La materia contadina ci fa conoscere le nostre forze, suggerisce una loro categorizzazione dinamica. Va da sé, che la realtà materiale che la rappresenta ci istruisce.

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Don Matteo Zaci Vuoto (II parte)

In un’epoca dominata dai mezzi-fini, il confronto con la nozione di vuoto, l’ontologia del niente, l’estetica del nulla sono luoghi di apparente libertà: perché in questi ambiti non esiste legge e si può tornare a discutere e contraddirsi. Il secondo testo su Don Matteo è un dialogo che solletica il “mettere sottosopra” e ne abbiamo bisogno, oggi più che mai. 

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Don Matteo Zaci Vuoto (I parte)

Affrontiamo il concetto del vuoto dal punto di vista della scrittura visionaria e torniamo molto indietro nel tempo, fino a raggiungere il momento prima della visione di Don Matteo, alla nascita dell’universo personale di «…un’impresa monastica»: non c’era niente, era Vuoto. Niente materia, niente forme di energia… Ma allora da dove è sorto tutto quello che adesso esiste nella sua storia e che ha percepito intorno al suo Sé? Evidentemente dal nulla.