Calcaterra, Gli archi

Gli Archi e gli Strali di Foscolo

Foscolo non si lamenta dell’impossibilità teorica di affermare un’inattuale oltre l’attuale. In questione è per lui piuttosto il non darsi di un’inattuale finito che sia ad un tempo visibile udibile gustabile tastabile annusabile. È la storia delle cose, la loro strutturale incapacità ad appagarci pienamente, ciò che il vero artistico misura: essenzialmente cognizione di limiti e confini – non può mancare di annunciare: una radicale «inattualità dell’attuale», una ostinata obiezione a riconoscere che queste cose non sono affatto inconsistenti, pur nella loro irrimediabile complessità. Non si tratta ai suoi occhi né di negare l’attuale né di assolutizzarlo, ma piuttosto di leggerlo in rapporto continuo con l’atemporale e con l’incompreso.

a mio figlio Elias che si appresta 
a studi storici sulle “divisioni di classe …”.

Un giorno il prof. di latino e greco mi disse che la frase di Foscolo che preferiva era: “Tu non altro che il canto avrai del figlio / o materna mia terra; a noi prescrisse / il fato illacrimata sepoltura.”. Gli piaceva talmente che l’ha fatta scrivere anche sui muri nella sua stanza-studio. È una frase bellissima che possiamo usare in modo traslato. Sono necessari molti ragionamenti per toccare il cuore della lingua materna. È strano il lavoro del poeta: noi dobbiamo usare la nostra parte razionale per ottenere dagli altri un atto emotivo, un gesto impulsivo, un ingaggio istintivo di poesia. Se osserviamo il comportamento umano vediamo che l’irrazionalità dominava la nostra vita. Le poesie, i film, i fumetti, i linguaggi espressivi, le lettere di Jacopo Ortis, l’Empedocle di Holderlin sono sempre come appaiono realmente o sono come siamo noi nel momento in cui guardiamo e leggiamo? E i comportamenti sociali o estetici del poeta? Il mito della storia chiama nanosecondo quest’attimo minimo che passa tra l’accensione del fulmine dell’attualità e il colpo della conseguente inattualità di chi c’è dietro?

Un altro aspetto irrazionale sono le scansioni della storia e, a proposito di Foscolo, ci suggerisce Marco G. Ciaurro citando Francesco Belluomini: il passato cambia la semantica dell’impegno. Si è molto parlato dell’attualità dei coccodrilli bianchi nelle fognature di New York, ma non se ne è mai trovato uno. E un messaggio di Holderlin su Internet, e dunque, come fa un povero poeta inattuale a vivere tra le interlinee e gli algoritmi della scrittura infernauta? Finto anche questo sentimento, un semplice fotomontaggio. Per non parlare degli avanguardisti che attendono il potere sovrano, o i neo-classicisti che paventano un ritorno all’ordine assoluto. Queste credenze sono a solo beneficio delle antologie della letteratura ad uso disinformale! Viviamo in un mare di irrazionalità; e irrazionalità fa rima con emotività. Il “declino degli assoluti” della Gaia Scienza conferma, in maniera decisiva, il dramma del sapere nell’ansia modernista. La “gaiezza del sapere”, o l’ingenuità della cultura” non si potranno più trovare che al di là della coscienza infelice di Hegel e al di là della buona coscienza della Selbsteverstandlichkeit. Questa è una situazione di fatto, che non è tanto uno scandalo, quanto un invito a prendere coscienza più netta della funzione degli inattuali. Certamente bisogna sapere ascoltare le voci tragiche, inquiete, anacronistiche del nostro tempo, e in primo luogo quelle che muovono da Holderlin o da Foscolo; ma il compito dell’uomo comincia al di là di queste esperienze, perché non possiamo rinunciare a trovare un senso alla nostra ed alla loro inattualità. Non si tratta neppure di un ritorno al passato che l’evoluzione del mondo moderno ha messo in questione, né di sapere se bisogna prendere parte a questo mondo; ma se, in questo mondo in cui viviamo, possiamo ritrovare e affermare una rivolta della storia che anima un altro occhio inattuale.

Tra l’estate del 1797 ed i primi mesi del 1800, mentre Foscolo scrive l’Ode a Bonaparte Liberatore, La Luigia Pallavicini (Ode 1800) e nel 1802 all’Amica Risanata, Holderlin si dedica alla stesura dell’Empedocle. Come un occhio che tutto vede, ma non può vedere se stesso: così è la poesia.

Tema delle odi a Luigia Pallavicini caduta da cavallo e all’Amica risanata è quello della bellezza: “l’aurea beltade ond’ebbero/ristoro unico a’ mali/ le nate a vaneggiar menti mortali/”. Per la prima offre lo spunto la disgrazia caduta da cavallo occorsa alla genovese Luigia Ferrari. In quest’ode il poeta canta l’indole femminile ed esprime la sua ansia per la bellezza deturpata. Per la seconda lo spunto viene dato alla guarigione dell’amica del poeta Antonietta Fagnani Arese, la quale può così tornare a splendere nelle feste in tutta la sua “aurea beltà”. Ma dalla contemplazione della bellezza femminile, disegnata con leggerezza di tratti in tutte le sfumature, il poeta passa a deificare la bellezza stessa che viene eternata dalla poesia. Il suo stile è il perpetuo cambiamento, il suo carattere l’irrequietezza, la sua natura il tradimento dell’attualità come nuova forma di modernismo e di attualismo. Il linguaggio della poesia è un ventaglio che tutto comprende, destinato alla mutevolezza eterna e ogni sua faccia definisce uno stile dell’inattuale, uno diverso dall’altro. E una classificazione appare ardua, ma non impossibile.

Ma esiste un Foscolo inattuale? L’essere attuali si rivela un darsi più che un prendere. Alla base di tale rapporto tra la storia con eventuali tensioni e attriti saranno superati a beneficio di entrambi gli scambi di conoscenza. Come direbbe Edmond Jabes: “Incommensurable est l’hospitalitè du livre”. Pensando al F. Nietzsche che potrebbe scorrere nel Ritorno al Futuro di Ugo Foscolo, saremmo in grado di affermare un pensiero de La Gaia Scienza: “Nessuno è più di se stesso estraneo a se stesso”. È questa la drammatica esperienza vissuta dalla parola di Foscolo che fa del poeta di Zante l’uomo della incessante lotta interiore, una lotta che egli stesso conduce sino in fondo per e contro se stesso, per e contro gli ardui confini del modernismo. Di qui l’estrema “inattualità” della sua confessionalità e il suo valore tragico. L’esplorazione solitaria di se stesso, alla quale si abbandona un autore non solo “epistolare”, ha generalmente per scopo innanzitutto una esigente ricerca della verità personale e poi, a partire da questa verità, la realizzazione di una scrittura autentica. Ora in Foscolo vi è sì la confessione in cerca di una rigorosa attendibilità immateriale, ma seguendo questa ricerca, Foscolo s’impegna tanto a decostruirsi che a costruirsi, chiudendosi su una perimetrazione emozionale, psicologica e civile sempre maggiore. La vita e l’opera di Foscolo possono essere caratterizzate essenzialmente dalla frequenza di stati di elezione – le inattualità di F. Nietzsche – preparati, certamente, dal suo lungo e rigoroso ascetismo e che sono quelli in cui il poeta si è sentito nel mezzo della vita, “totalmente cerchiato dai Sepolcri, con un piede al di là di Campoformio e della Repubblica Cisalpina”. Ciò non vuol dire solamente che Foscolo abbia condotto la sua vita senza risparmiarsi e in disprezzo della morte. Avvicinarsi alla poesia di Ugo Foscolo significa fare un’esperienza di abbandono alla parola poetica e il disprezzo della morte. È vero, piuttosto, che egli si è orientato, istintivamente dapprima, poi sempre più consapevolmente, verso i confini della vita umana, quasi del tutto attaccato a ciò che è vita e forma, impegno e vissuto emozionale, Foscolo giunse a discernere in maniera quasi indicibile una risorsa invisibile e meravigliosa che gli conferì, nell’ultimo periodo della sua vita di poeta, una felicità unica, partecipandogli sentimenti più sereni e più buoni e la profonda certezza di essere inattuale, nella sua essenza, storica e classica. Il paradosso foscoliano aspetta, dunque, di ricevere oggi, dalla grazia intellettuale degli uomini, una giusta lettura e chiarificazione, il che, con esplicitazione fenomenologica, è possibile nel senso di questo libro curato da Domenico Calcaterra, che ospita interventi di Stefano Adami, G. Baldi, M. Baudino, G. Cascio, M. G. Ciaurro, L. Curreri, A.Favaro, A. Granese, F. La Porta, M. Palumbo, R. Paris, A. Picca, F. Tuena, G. Versace e che pone l’inattualità foscoliana, non come oggetto nel mondo, ma come anima nell’universo delle anime (Aguaplano 2021). Calcaterra pone l’accento sulla compassione, Baudino sulla necessità di attraversare criticamente lo stesso poeta, La Porta lo rende teatrale, Palumbo strumento di valori comuni, Cascio parte integrante del canone italiano, Granese ritratto di singolarità, Ciaurro congiunzione tra privato e politico, Adami vademecum del viaggio sentimentale, Favaro poeta-critico, Picca referente della storia del padre, Paris scrittura dell’autofinzione, Tuena nel rapporto con Pavia, Versace nelle ombre dei Sepolcri. Si chiede Ciaurro, rifacendo immaginariamente il verso a Foscolo, Pasolini e Magrelli: se il tema della meditazione memorialistica si è imposto in me, non è perché questa opera così profondamente preoccupata di comunicazione, e nello stesso tempo così pudica, testimonia una ripresa e un ri-fondamento originale del genere classico della meditazione? Qui, secondo Ciaurro, in un nuovo tipo di meditazione, si collocano la teoria estetica di Foscolo, Pasolini e Magrelli e forse anche di Francesco Belluomini e il loro discorso sulla  stessa realtà della poesia. Parliamo di poesia come quella, tra le forme artistiche, che più è co-genere alla filosofia e all’ontologia foscoliana, perché è l’arte che si radica in una nozione decisiva, quella di visione poetica. Tanto decisiva da costituire un tratto ineliminabile della tessitura di una teoresi che non ha remore nel dichiarare la precedenza della poesia sulla filosofia nel cammino verso l’essere. Ciò che bisogna salvare, non è lo spettacolo o la cosa inattuale di Foscolo, e non è neppure l’opera, considerata al di fuori del fatto che essa è sempre il simbolo di un’azione costituente (Gli Archi e Gli Strali, per l’appunto!), ma la “verticalità, che ci aiuti a riaccostarlo alla nostra sensibilità di contemporanei. Che il suo essere inattuale possa forse giovare come monito ad essere noi diversamente contemporanei del nostro tempo” (Calcaterra).

La generazione, divenuta adulta dopo il 1789, andò incontro ad esperienze esaltanti e allo stesso tempo deprimenti. La biografia di Foscolo (1778-1827) ne è una chiara prova. Foscolo fu giacobino nel 1796: scrisse l’ode-messaggio A Bonaparte Liberatore (in realtà più alla libertà che a Napoleone); s’arruolò tra I Cacciatori a Cavallo. Nel 1797, quando Napoleone appariva agli italiani come portatore di libertà, egli componeva la Ode … nella quale, fin dal titolo, sottolineava come la sua adesione all’azione ed al programma del “Generale” sia dettata dall’esigenza di portare in Italia la libertà. Atteggiamento dignitoso, che assume anche quando Napoleone vende l’indipendenza di Venezia col trattato di Campoformio e che ripete nel 1802 in occasione del congresso di Lione, allorché invita Napoleone a rendere indipendente l’Italia anche dalla Francia. 

In un autore come Ugo Foscolo, pur così capace di strutturare la sua complessa materia in un sistema di “archi e di strali” di ferrea organicità, l’ambiguità, ormai generalmente riconosciuta come propria del linguaggio poetico, compare anche in termini più specifici: come polivalenza e apertura dei segni, richiesta non solo dalla particolare poetica del tempo, ma ancor più dalla prospettiva inattuale, che vuole affermare ed esprimere una verità versificante, che per sua natura non è riconducibile alla univocità delle definizioni logiche e neppure alla linearità della dialettica filosofica, ma è contrassegnata dall’oltranza del protoromanticismo. Nella prospettiva protoromantica, il problema filosofico del rapporto tra l’uno letterario e il molteplice politico trova una risposta trasversale razionale/irrazionale di fede, nel mistero della coincidenza tra intimità e trinità, e nell’altro, ben più drammaticamente presente nel poema, sintesi di divino ed umano nel verbum incarnato e, di riflesso, nella creatura umana che, per la redenzione, sa essere speculum Dei. Si può parlare di massima drammaticità, perché il riconoscimento del mistero salvifico non implica pacificata acquiescenza e abdicazione della ragione, intesa in senso non riduttivamente intellettualistico, ma tensione estrema per affinare e potenziare pensiero e parola nella poesia. È appunto sul terreno della parola, nella sua manifestazione scritta e orale, come sottolinea Marco G. Ciaurro, che si gioca la grande scommessa da cui nasce il poema. Il riscatto e la sublimazione dell’umano – da portare nell’astruso sensistico – senza snaturare la specificità, senza annullare la pluralità delle essenze, rilegge ciò che Foscolo scrive il 13 maggio 1798, in un  singolare ritorno alla bellezza, alla poesia che placa le passioni e consola la miseria del nostro vivere. Tutta una lettera sullo sfogo, le gioie pure della vita, guardate con tenerezza struggente, fino a confrontarsi con il drammatico materialismo e l’angoscia che ne consegue: “Se io fossi pittore! Che ricca materia al mio pennello! L’artista immerso nell’idea deliziosa del bello addormenta o mitiga almeno tutte le altre passioni. […] Abbiate pace o nude reliquie (i miseri resti mortali) la materia è tornata alla materia; nulla scema, nulla cresce, nulla si perde quaggiù; tutto si trasforma e si riproduce – umana sorte”. 

«Ho stimato – scriveva – mio dovere di tentare con tutte le mie forze che l’Italia potesse in qualche modo risorgere. Però abbracciai il partito delle armi da giovinetto; la libertà, e se non altro l’onore stanno nelle armi». Ma, già nell’ottobre del ‘97, il baratto di Venezia con la Lombardia da parte di Napoleone, suscitò in lui una collera inerme e un’aspra frustrazione. «Se – penso dolorosamente – si fossero difesi fino all’ultimo sangue, né i vincitori avrebbero potuto vederli, né i vinti si sarebbero attentati comprarli!». Tuttavia preferì servire la Francia erede della rivoluzione, piuttosto che l’Austria. Ancora volontario combattè valorosamente contro gli Austro-russi (1799-1800), poi passò nelle Fiandre (1804-1806), dove Napoleone preparava l’invasione dell’Inghilterra. Ma scriveva a se stesso nel 1801: «Mi è risultato non esistere assolutamente né virtù né vizio e tutti essere nomi vuoti coi quali l’umana razza a norma dell’utile o del danno adonesta o deturpa le azioni e gli avvenimenti che tutti hanno principio, mente, moto e fine soltanto dalla forza, della quale gli infiniti minimi, incomprensibili accidenti voluti dal prepotente ordine universale noi chiamiamo fortuna».

Dopo l’idealismo giovanile, Foscolo tende al realismo che aveva trovato nel moderato Cuoco, il più lucido teorico e coerente sostenitore in Italia. E come Cuoco, legge Machiavelli e Hobbes, approdando alla concezione pessimistica che conosciamo, la quale affonda le sue radici anche nelle idee materialistiche e sensistiche del tardo illuminismo francese.

La formazione letteraria giovanile oscillò tra l’individualismo emotivo di stampo preromantico dell’Alfieri e il neoclassicismo solenne e esornativo del Monti e quello morale e civile del Parini. Però, al fondo della personalità foscoliana, vi era una sola  formazione classica, fatta di prima mano su testi greci (soprattutto) e latini: da Senofonte a Plutarco, da Omero a Tirteo, da Anacreonte a Saffo, da Tacito a Catullo ecc. Dopo la stesura dell’Ortis Foscolo prese le distanze dall’individualismo alfieriano e specialmente del neoclassicismo del già attraversato Monti. Egli venne a stringere un suo classicismo che si collegava a Winckelmann e alle esperienze culturali della più eterognea letteratura europea. La sconfitta delle idee democratico-giacobine di Foscolo-Ortis lo spinse ad elaborare una visione del mondo in cui gli ideali giovanili diventano illusioni, di cui gli uomini non possono fare a meno, se vogliono vivere. «Illusioni! – aveva esclamato Ortis – ma intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore».

La famiglia e la patria, la bellezza e l’amore, gli affetti e le malinconie, i rimpianti e i tormenti, le sparizioni e le debolezze, e innanzitutto la poesia sono illusioni che consentono agli uomini di vivere, non solo come esseri singoli ma anche come esseri sociali. E certo anche lo storicismo vichiano è presente in questa visione dei sogni, che tengono insieme l’individuo e la comunità. La scrittura poetica storica si configura come un’emozione vicina alla malinconia, che ci porta a ripensare qualcosa che fu e che non può più essere e mescola insieme l’appagamento per quello che si è vissuto dentro la lettura di un autore, con l’accettazione che si tratta di un tempo trascorso, un tempo che non tornerà se non nella rilettura stessa.

Se tutte le emozioni di lettura ci segnalano qualcosa e in questo senso ci servono, a cosa serve la rilettura di un poeta come Foscolo? La rilettura stessa può essere analizzata come risorsa esistenziale. La poesia storica che dà senso alla rilettura del presente: la malinconia foscoliana dell’inattuale come risorsa del presente! Dopo aver introdotto un sostanziale ritorno ad una sorta di dialettica dell’Illuminismo, la contraddizione della lettura, l’impulso alla critica del tempo, che solo l’ha messa in moto, si sarà infatti conflittualizzato nelle contraddizioni del nostro presente. Ne risulta il dilemma, che alla fine la lettura di Foscolo deve contestare all’autocomprensione della modernità: la possibilità di sottoporre ad una critica la modernità stessa. Una modernità che in questo momento rappresenta, insieme allo stesso anarchismo post-moderno, brutti concetti e brutte parole. La critica alla soggettività a potenza assoluta si rovescia ironicamente nel rimprovero rivolto dal poeta-filosofo alla limitatezza di quei soggetti, che non hanno ancora compreso né lui né l’andamento della storia. Dopo una tradizione di ricerca che ha guardato all’inattuale come fattore maladattativo, per non dire addirittura psicopatologico di per sé, a partire dalle origini del moderno o dalla stessa archeologia della modernità, diversi autori hanno svolto studi in cui si è dimostrato come il fatto di perdersi in letture inattuali nel lungo termine, rinforzi sensazione di vicinanza agli altri letterari “attualmente inattuali”.

E se la rilettura inattuale avesse anche una funzione esistenzial-politica, sì, ma in senso positivo e moderno? Domenico Calcaterra e colleghi hanno cercato di rispondere a questa domanda e hanno svolto una serie di studi partendo da ipotesi che l’inattualità foscoliana abbia la funzione di sostenere e rinforzare l’attribuzione di senso alla vita. Che l’inattualità sia innanzitutto una modalità dell’oblio è cosa sulla quale già Nietzsche nella Seconda Considerazione Inattuale (Sull’utilità e il danno della Storia per la vita, 1874), si era a lungo soffermato in termini che restano decisivi anche per noi. Per quel Noi – zoon politikon – che vorrebbe pensare ad un Nietzsche che sia distante dalle microfisiche del potere e lontano dalle logiche della governance. E poi, in quanto l’Inattuale è un tratto fondamentale sia della storicità individuale che di quella collettiva, non può restare estranea alla critica storiografica e a quelle fasi dense delle riletture nostalgiche. Detto molto schematicamente, è questo il quadro nel quale si inserisce Gli Archi e gli Strali. Foscolo inattuale (a cura di D. Calcaterra, Aguaplano, Perugia, 2021). Proprio, alcuni di questi autori, e in particolare Marco G. Ciaurro ha posto nei termini più radicali la questione: la scrittura di Ugo Foscolo non conosce l’oblio inattuale, ed anzi ne ha terrore. L’unica funzione positiva dell’inattualità è dunque – in questo contesto – quello di costituire il presupposto sul quale si fonda la memoria della tradizione storico-letteraria. Ma ciò implica che la storia sia una sorta di copia sbiadita, di surrogato della tradizione. Che l’inattualità sia qualcosa di impossibile è stato, per altro verso, sottolineato da Calcaterra, per il quale tuttavia l’ipertrofia della stratificazione critico-letteraria (condannata da Nietzsche) costituisce una chance positiva. Nell’universo della memoria letteraria realizzata nelle vesti della tecnica, della riproducibilità tecnica, i mezzi di comunicazione di massa costituiscono un medium privilegiato per il divenire della memoria artistica. Come ho cercato di esprimere nell’edizione del Festival di Corciano di quest’anno (+ Divenire. Dove inizia il nuovo esodo), la presenza totale del passato non è del resto, monolitica, ma è piuttosto moltiplicata e variegata dal mondo dei media e dalle nuove istanze della modernità e, quindi, anche Foscolo è sottoposto all’universo di «inattualizzazione attuale»!

Inoltre, è proprio questa contemporaneità del passato a costituire una chance positiva a livello estetico, come ci testimonia l’inattualità di Foscolo. Ma è effettiva parola, logos transitivo, quello rappresentato dalla scrittura poetica romantica? Ovvero dalla memoria storica dei Sepolcri, dalle Lettere di Jacopo Ortis? Di ameni colli aprichi e di notturni orrori cimiteriali? Di Giardini e campi di battaglia, di una scrittura che sente affetti e virtù imbalsamati in umane trasfigurazioni ideali. Si sente nel sottofondo la linea di svolgimento logico che dimostra l’utilità della tomba, quale segnalazione ai vivi di emulazione dei grandi, ma si impone di gran lunga la poesia, nella quale i motivi romantici si esprimono attraverso una forma tutta classica, armonica ed elegante.

Considerato da un punto di vista strutturalista, è il linguaggio piuttosto a rivelarsi come la storia di un lungo momento inattuale, ma attuale! Ma può anche accadere che sia la tradizione stessa a rivelarsi come un inconsapevole-volontario equivoco (orizzonte d’ambiguità), una sorta di rimozione che produce forme diverse di autoconsapevolezza rispetto alla storia letteraria nazionale. I Sepolcri nascono da questa tensione ideale e costruttiva del Foscolo. La tomba che dal punto di vista del materialismo sensistico è inutile, assolve una funzione fondamentale in quanto permette di dare alla vita umana valori-illusioni come l’affetto e la pietà dei vivi verso i defunti, il sentimento del farsi della civiltà, la tensione morale e politica e infine la poesia eternatrice dell’eroismo umano.

La poesia, nello svolgimento della personalità foscoliana, assunse una posizione preminente rispetto agli altri valori-illusioni. È la poesia, infatti, a trasformare le illusioni in leggende mitiche; sicché la poesia, per Foscolo, diventa la piattaforma avanzata della civiltà umana. Le Grazie, sono il punto di arrivo sia della filosofia sia della poesia del Foscolo. Gli ideali dell’Ortis diventano illusioni (ossia trasfigurazioni, ragioni-pretesti che aiutano a vivere) nei Sepolcri e ritornano ad essere speditamente concreti nelle Grazie, dove la casualità del vivere trova il senso della forza poetica, positiva della parola. La parola, la forma è, dunque, la zattera, l’arca che aiuta a vivere. D’altronde il classicismo del giovane Foscolo già faceva presagire questo approdo. La poesia, bella e armoniosa, costituiva il culmine della spiritualità greca. Il vero e il bene acquistavano spessore e respiro solo se rivivevano nelle opere attraenti dei poeti. La civiltà italiana aveva avuto il merito di mietere e incrementare il patrimonio ingente della poesia greca: «ond’io – dice il Foscolo in versi famosi – pien de natio/ aer sacro, su l’itala/ grave cetra derivo / per te le corde eolie …». Per qualche tempo le passioni sembrano legare il poeta agli eventi del suo tempo, ma quando costaterà il fallimento storico della sua generazione («l’Italia – scriveva nel 15 con parole inequivocabili – è cadavere; e non va tocco né smosso più ormai, per non provocare più tristo il fetore. E odo talvolta alcuni pazzi che vanno fantasticando vie di resuscitarla; per me invece la vorrei seppellita meco, e inondata dai mari, o arsa da qualche nuovo Fetonte che la pricipitasse addosso con tutto il cielo in fiamme, e che tutti e quattro i venti ne disperdessero le ceneri, e che le nazioni presenti e avvenire si dimenticassero l’infamia del secolo nostro. Amen»), egli ritornerà a privilegiare la poesia come suprema mediatrice e redentrice delle esperienze culturali, morali e civili di un’epoca storica.

Si potrebbe continuare a delineare i temi e i profili dell’inattualità foscoliana suggeriti da questa antologia critica. Ma è probabilmente più utile concludere ricordando che, nel loro complesso, questi approcci allontanano per molti versi dall’inattualismo che fa tendenza. Sembrerebbe che l’inattualismo della voce di Jacopo Ortis non derivi dalla necessità di creare un cono d’ombra per favorire la creazione astratta della storia. Gli «usages» posti accanto alle sentenze inattuali suggeriscono piuttosto che la metamorfosi del passato, la semantica dell’impegno, come lo definisce Magrelli, suggeriscono piuttosto che il programma stesso dell’inattualità sia una forma di creazione della nuova attualità: non si può più approfittare di uno sfondo di sepolcri che favorisca il potenziale demiurgo di un soggetto o di un’epoca; le produzioni di senso, storiche, artistiche ecc … sono inestricabilmente connesse con quanto lasciano da parte e rinnovano. È così che se non si può più demiurgicamente dominare il senso a partire dall’oblio, lo si può semmai tecnicamente, da strutturalisti, da filologi e da storici, smontare e rimontare, ovvero si può promuovere al di là di esercizi e tirocini, azioni al di là delle semplici performance, stimolanti (alla Pierre Bourdieu de La distinzione (1979)) anziché tranquillanti, in un orizzonte interpretativo, in un paesaggio politico vissuto ne Le Grazie. Il poema è composto da tre inni: il primo dedicato a Venere celebra il progresso della civiltà; il secondo, dedicato a Vesta, di cui fa sacerdotesse le sue amiche: Eleonora Nencini, Cornelia Martinetti e Maddalena Bignami, è un’esaltazione delle tre nobili arti: musica, danza e poesia; il terzo è dedicato a Pallade, ed esprime la missione di civiltà e di poesia delle Grazie che, per compierla, debbono preservarsi incontaminate dalla passione. Le Grazie, opera incompiuta, è la più densa concentrazione artistica di figurazione e rappresentazione, per la potenza espressiva ed elaborazione della parola. Il Foscolo così, con tutta la sua opera poetica, si colloca non solo tra Classicismo e Romanticismo, ma tra le più schiette parole giovanili di Walter Benjamin, sullo stesso tema: «Questa sarà la nuova gioventù: sobria e romantica. Ma noi non pensiamo che si possa fare a meno di questo tipo di romanticismo, che un giorno possa diventare antiquato, superato. Ciò che non può essere superato è la romantica volontà di azione. Romantica e giovanile: giacché questa volontà, che nell’uomo maturo può essere necessità e attività coltivata, in noi è vissuta in modo spontaneo, originario, assoluto, tempestoso. Dà sempre alla storia la sua impronta etica, e se anche non le dà un contenuto le trasmette il suo pathos (da: Romanticismo, un discorso immaginario agli studenti, 1913, W. Benjamin, I. Scritti 1906-1922, ed it. a cura di E. Ganni, Einaudi, Torino)». Foscolo, attraverso Benjamin, insegna come la virtù stia nel mezzo: accogliere ciò che è di nuovo senza dover necessariamente rifiutare l’antico. Nella sua opera non c’è la lotta tra classicismo e romantico, tra attuale e inattuale, tra grazioso e anti-grazioso, tra moderno e post-moderno: vi regna una «differance» al di là della ripetizione, che sfida le nuove pianure incolte dell’armonia.