L’ecopolitica di Pasolini
… a ridosso dei “CSC” (terza parte)

Il discorso di Pier Paolo Pasolini non ha solo un valore utilitario; esso adempie anche una funzione che implica, per essere compresa, considerazioni ecopolitiche e non solo storiche, geografiche, sociali e fisio-economiche. L’ecologia antagonista di PPP non si limita dunque a far tacere i suoi sentimenti: ella suggerisce nuove idee, contribuisce ad introdurre nuovi dibattiti di opposizione e di contraddizione, tanto estranei al pensiero tradizionale quanto lo sono quelli che si incontrano oggi in alcune fronde del FRIDAYS FOR FUTURE. Fridays For Future è quello del 24 settembre 2021. Gli scioperi globali a sostegno dell’ambiente tornano in scena: il 24 settembre i movimenti ritorneranno in piazza per chiedere maggior impegno sulle politiche ambientali.

Il campo dell’ecologia ha occupato una parte importante della riflessione di Pier Paolo Pasolini, nei suoi ultimi anni. Con l’apertura mentale e politica che lo contraddistingueva, PPP ha coniato i concetti di “volgar’eloquio” e “genocidio organico” che, come nello stile suo e degli intellettuali dissidenti che lo affincavano, avevano la funzione di congiungere aree diverse. Non sorprende, quindi, che PPP parlasse, indirettamente, di «ecologie» enunciando lo sterminio di civiltà, collegando il tema ecologico “classico”, oggetto di riscoperta e interesse politico sul finire degli anni Sessanta, con i vari e differenti movimenti “verdi” e con l’ecologia politica, mettendo in questione i fondamenti strutturali delle società nelle quali si manifesta la crisi ambientale. A queste due ecologie se ne aggiungeva una terza, l’ecologia critica, che aveva a che fare con la situazione di finitezza esistenziale dei soggetti sovradeterminati dai flussi di disoccupazione, marginalità oppressiva, solitudine, inoperosità, angoscia e nevrosi, conseguenti al continuo sviluppo del lavoro meccanizzato e alla rivoluzione tecnica e consumistica: condizione sottoproletaria, degrado, scadimento, incuria.

Questa riflessione sulla fatiscenza totale, incidente su una società delicata, come quella italiana a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, nei suoi scritti concerne la messa in discussione del modo in cui si vive su questo pianeta, nel contesto dell’accelerazione dei mutamenti tecnico-scientifici e del considerevole incremento dei consumi e della dimensionalità umana ed esistenziale. Si tratta, scrive e ricorda PPP, molto prima dei profeti del movimento giovanile, affiancatisi al ‘77, di mettere a fuoco i problemi del razzismo, delle relazioni interpersonali, dei disastri tramandati da un’urbanistica che si pretendeva moderna, di una creazione artistica liberata dal sistema del mercato, di una pedagogia capace di inventare i suoi mediatori sociali ecc. Questa problematica altro non è, in fin dei conti, che quella della produzione di esistenza umana nei nuovi contesti storici, quella che non ha tenuto conto della tradizione contadina e soprattutto del ritardo della militanza d’avanguardia rispetto alla classe terragna. In una battuta, di determinare quali processi di soggettivazione, nel quotidiano e nel sociale, opporre alle pratiche di assoggettamento e dominio del capitale che passano attraverso i processi di devastazione ambientale: una dissidenza sociale, che possa sviluppare delle azioni specifiche che tendano a modificare e a reinventare i modi di essere all’interno della vita di comunità, della famiglia, del contesto urbano, del lavoro, della rilettura di Gramsci; e una ecologia politica radicale che reinventi il rapporto del soggetto con il corpo, con le fantasie, con il tempo che passa, con i “misteri” della vita e della morte, con la natura, con l’istinto, con la dimensione del tragico, in cerca di antidoti all’uniformazione opprimente della società dei consumi.

PPP è stato, dunque, uno dei precursori nel comprendere che ci fosse bisogno di un percorso di “sviluppo sostenibile”, che coinvolgesse non l’individuo, ma l’intero genere umano. «Credo nel progresso, non nello sviluppo» disse Pasolini, in una intervista televisiva del 1973. Questa riflessione faceva parte di un lungo discorso de “Gli scritti corsari”(Milano 1975), dove avvisava, senza saperlo, sull’idea di «crescita e de/crescita sostenibile», come potrebbe essere intesa oggi dal Climate Social Camp. Secondo il poeta, il progresso come rafforzamento del vincolo umano e miglioramento continuo, si obietta alla rappresentazione dello sviluppo inteso in termini economici. PPP prendeva atto di un residuo tra gli interessi della politica e quelli della comunità. La politica aveva dimostrato di essere ben lontana dal farsi carico del bene comune e della società. Petrolio, ad esempio, nasce dalla consapevolezza, maturata tra gli anni Sessanta e i primi Settanta, che il nuovo potere deve essere disegnato per essere capito e criticato radicalmente. Ma per riprodurlo, PPP sente l’esigenza di “fondare ex novo (in una concettualità da volgar’ eloquio)” la propria scrittura, di inventare una forma radicalmente nuova di «semiosi del degrado», caratterizzata da una pluralità di scelte stilistiche, formali e speculative: il non-finito rigido, gli elementi ritardanti, l’allegoria benjaminiana come figura retorica privilegiata. È però soprattutto politica, e non estetica, la scelta di rifondare la propria scrittura e il proprio sapere ecologico, di vagliare il proprio impegno artistico, al fine di innalzare una gigantesca cattedrale nel deserto della coesistenza, un monito biotico, per ricordare in che tipo di società viviamo e verso quali mutazioni antropologiche stiamo andando incontro (qui si veda una possibile fondazione dell’antropologia ecologica).

È PPP stesso a promuovere l’immagine della chiesa metropolitana (allegoria benjaminiana) per spiegare la maestosità della propria opera: l’ambizione di essere illeggibile e perfettamente coerente, simmetrica al punto tale che ogni sua parte avrebbe collaborato, nelle intenzioni dell’autore, al disegno generale. Petrolio(Torino 1992), in conclusione, ci invita ad immergerci nella contemplazione dell’inquinato, di una contemporaneità devastata dalla corruzione, un’umanità assoggettata e annichilita da un potere che sembra capace di qualsiasi cosa: ma è sempre possibile provare a disinnescare il rullo omologante di questo sadico presente, che ci illude di essere carnefici, che ci invita a godere delle forme più indistinte del possesso. Pasolini ci esorta a ridere, a rifiutare integralmente e radicalmente le logiche del nuovo potere; ma anche a conoscerlo fino in fondo, ad immergerci negli abissi di questo habitat infernale, per comprenderne i meccanismi di assoggettamento attraverso le illusioni che promuove. È un impegno radicale di conoscenza e di rifiuto, quello che ci prescrive Petrolio: una metamorfosi individuale che ci liberi dall’illusione del possesso e che ci renda pienamente consapevoli della formosità dell’essere vittime.

Pre-ambolo: Erano passati alcuni giorni dall’ultimo viaggio nei Climate Social Camp di Venezia; Pierpaolo e Antonio erano seduti uno di fronte all’altro, con le pizze fumanti (che mandavano un delizioso profumo) e il mandolino a spalla, per un rilassato senso di «armonia/ironia italiana».

“Sempre pizza e mandolino?” direte.

Se a loro piace così! Ma la parte importante non fu la pizza, ma il dopo-pizza. La notte scendeva piena di incanto. L’armonia delle stelle veniva leggera, smorzata dalla sovranità luminosa della luna. L’immenso respiro della città dormiente saliva … saliva insieme allo stormir dei sintetizzatori, aggiunti a pizza e mandolino, e il suono aleggiava come uno spirito tecnologico nel regno della notte. Sublime eroismo! Che trova nel soffio sonoro di quei pochi strumenti l’espressione più concreta di una tecnica che non basta a se stessa, strumenti della sua contemporaneità.

  • Sai Anto – incominciò PP – quest’ultima avventura ha lasciato una traccia importante dentro di me.
  • Hai ragione – disse Anto – è accaduto anche a me.
  • Durante l’anno in cui si è insediato il Drago, – continuò Anto – io ho molto inseguito le politiche culturali del regime. Per capire, per approfondire. Forse per riempire il vuoto lasciato dalla tua mancanza (del «Volgar’ eloquio» e della «Bestia da Stile») e ho visto che si sono fatti avanti gli Evola con uno Spirituale nell’Arte di contrabbando, un traffico illecito che spaccia filosofia e arte metafisica neo-accademica, contaminando le miserie delle avanguardie e delle neo-avanguardie; magari rivendicando terra e cultura spiritistica.

“Dove vorranno arrivare questi nuovi fascisti e occultatori?” si chiedeva PP ascoltando in silenzio.

–    Nelle nuove manifestazioni culturali aizzate dall’estrema destra, si ripropone un vecchio modo di imparare: si chiama compito di occultamento, o di propaganda spuria (Alliance pour l’Europe des Nations); ovvero il sovvertire la deriva mondialista e tornare alle tribù fondate su Dio, onore e Patria; la Perentoria diffusione dei “Figli del Sole” (gli allievi attuali di Evola); quelli che si scagliano contro il Mandolino e le prelibatezze per poi autoesaltarsi in una sorta di carcere estetico, inneggiano alla Terra della Metafisica!

“Come la prende larga” – pensò PP – che immaginava il finale e disse:

–    Ah e di cosa si tratta?

–    Si tratta di sviluppare l’attenzione ad un trucco antropologico in tutti i suoi aspetti, come se fosse vita vera, non solo esercizio politico-culturale. Sin dalla prima pagina di Petrolio esplicita il suo intento programmatico di scrivere un «Satyricon moderno»: un’opera aperta, intesa come forma-progetto, sporca,inquinata e persino potenzialmente infinita. Infatti, sia Petronio che PPP – con le debite distinzioni– plasmano mediante un «disordinante soggettivismo» ogni pagina delle proprie opere, senza dare adito né all’obiettività del verismo né al protagonismo di enigmatici narratori sussidiari. Entrambi progettano un realismo fittizio simulando il verosimile, anticipando autori come Jean Baudrillard e innestando su una matrice di fondatezza le personali visioni e istanze di narratori e uomini.

–    Si tratta di vedere come qualcuno vuole o vorrebbe mettere la democrazia a rischio, aspirare a cambiare la Costituzione e introdurre il presidenzialismo. Questo “Qualcuno di Estrema Destra” vuole ancora aiutare gli Imprenditori, considerare la Metafisica-Borsa di Milano a quotarsi nel Paradiso Fiscale di altri paesi più sicuri, dove hanno sede molti Big del Made in Italy. Di cedere all’estremismo di Evola e di fomentare la riforma incostituzionale, l’uomo solo al comando, distruggendo il principio di uguaglianza economica (sovranismo economico); ispirarsi a Bannon, avere amici come Orban e Abascal; mettere una faccia assennata al populismo di destra, condividere lo stupro sui Social Media …

–    Mi pare molto filosofico e neo-sciovinista tutto questo; e al critico d’arte che grida “Enjoy!”, i paralipomeni del godimento mancato piaceva e piace?

–    Sì ma piaceva e piace soprattutto a lui; lui che fa la fanfara dei laureati in filosofia e che rivendicano il primato situazionista o forse fascista? Infatti abbiamo dovuto cominciare a elaborare nei particolari un progetto che da un bel po’ mi frulla per il cervello.

–    Ti va di parlarne?

–    Certo! A partire dai libri, dalle pizze in faccia e dei cordofoni suonati per quelli che se li meritano. I libri sono la mia «passione (e Ideologia, (1948-1958), Milano 1960)», amo leggere e rileggere, non potrei vivere senza riletture; ed in questo preciso momento storico a partire da Dieci Inverni di Franco Fortini (Dieci inverni. 1947-1957, Roma, 2018), Le Ceneri di Gramsci (1957), Trasumanar e Organizzar (1971), Il linguaggio come lavoro e come mercato (di F. Rossi-Landi, Milano, 1968), so cosa opporre alla solita provocazione metafisica dei “Figli del Sole” (tre segmenti: social-nazionale (gentiliano; o «figli dell’intestino»); aristocratico-pagano (evoliano) e quello cattolico (tradizionale).

–    È una passione antifascista che ci accomuna molto! – disse PP.

–    Anche se io amo più la rilettura, come antidoto, e mi sento un po’ imbarazzato nella scrittura, tu invece hai una fantasia sconfinata e in questo momento sei in grado di opporti a questo piattume che va dritto, dritto al Fascismo …

–    Ebbene, io pensavo di cominciare a costruire dei talk come il Volgar’ Eloquio, di partire da un’auto-ecosemiosi fino allo scritto finito. La forma romanzo è la risultante d’uno scosso processo di vivificazione dell’oggetto-libro e di una rabbiosa complicità omertosa dei fruitori, figlia della letteratura di consumo. Pertanto, PPP decostruisce i canoni costitutivi e gli ammiccamenti narrativi di stampo borghese. Ragion per cui il linguaggio che adopera a volte è saggistico, a volte è lirico, a volte è triviale ed erotico, a volte è estremamente articolato e caustico. Così lo scrittore inventa nuove forme significative e ordina il romanzo in funzione d’una logica che soppianta ogni possibilità d’incasellamento. Lascia che il materiale s’accumuli su se stesso, che si sovrapponga, in modo da creare polisemie avvelenate e plurime gradazioni semiotiche. Petrolio appare, quindi, come un romanzo eco-politico sui generis: lo specchio d’una realtà depauperata, cupa, inimmaginabile e fortemente contagiata.

–    Cioè diventare editore o editor – disse Anto.

–    Sì, e ho provato a pensare a tutte le tappe che servono per arrivare a quel risultato di stesura; proprio come in un compito di realtà.

–    Ah sì? Raccontami dall’inizio!

–    Per la prima cosa bisogna avere degli interlocutori veri, come questi ragazzi del Climate Social Camp; cioè conoscere degli «autori diffusi che vogliono ri.leggere» lo stesso linguaggio come una forma di praxis ecologica, ovvero cambiare punto di vista; vuol dire considerare il linguaggio dal punto di vista del processo, piuttosto che dal risultato: l’ultimo intervento, pronunciato a Lecce il 21 ottobre 1975, solo pochi giorni prima della tragica morte, dove sono condensati “tutti i motivi dell’eresia disperata dell’ultimo PPP”. In serrato contraddittorio dialettico con un pubblico di studenti e professori, ma anche con l’attuale critico d’arte che rivendica la metafisica di Evola, PPP risponde alle pressioni avalutative di un ipotetico intellettuale in crisi, proponendo discorsi, dubbi e sfide intellettuali, che attraversano i principali temi della sua “eresia”: il genocidio consumista, l’omologazione delle culture subalterne, il destino dei dialetti e delle lingue minoritarie, le rivendicazioni degli indipendentisti, il ruolo della scuola e il paradosso della descolarizzazione, la mutazione conservatrice del partito comunista, la figura emergente del “nuovo chierico progressista”, la retorica del decentramento e delle autonomie, l’idea di una utopistica “destra sublime”, la censura e la falsa tolleranza, la mercificazione consumistica del sesso, la personale abiura rispetto ai film della Trilogia della vita. La lezione – dibattito di Pasolini dal titolo “Volgar Eloquio”() – ha luogo a Lecce durante la mattina del 21 ottobre 1975. Per l’occasione, viene utilizzata l’aula magna del Liceo Classico, affinché oltre ai docenti “corsisti” possano partecipare anche gli studenti. L’incontro è introdotto e moderato da Piromalli, ed inizia con la lettura, da parte di Pasolini, del monologo finale del suo dramma Bestia da stile (all’epoca ancora inedito, poi in Teatro, Milano 1979). Tra i primi versi che Pasolini legge compare l’espressione volgar’ eloquio, scelta dall’autore come titolo del suo intervento. Ma dopo questa breve premessa, Pasolini propone di passare immediatamente al dibattito: la “lezione” si sviluppa quindi attraverso le risposte dello scrittore ai quesiti e ai dubbi proposti da docenti e studenti. Io uno lo conosco già, sei tu. E sei tu che mi devi ricordare di Bestia da Stile (in Volgar’eloquio, 1987), per poter recuperare il discorso sull’ecologia! – esclamò PP ridendo.

–    Beh, confesso che mi piace molto rileggermi e rileggerti. Ma col mio lavoro di Bibliotecario conosco anche tanti scrittori che mi corrisponderebbero, se proponessi loro di rileggere i loro testi (Dante, Petronio). Naturalmente occorrerebbe una linea editoriale di rilettura: io pensavo alla rilettura immediata di Bestia da Stile, soprattutto della citazione di Orelli, di una ripetizione differente …

–    Il primo punto è presto detto:

«Il volgar’ eloquio: amalo.

Porgi orecchio, benevolo e fonologico,

alla lalìa («Che ur a in»)

che sorge dal profondo dei meriggi,

tra siepi asciutte,

nei Mercati – nei Fori Boari –

nelle Stazioni – tra Fienili e Chiese –

Poi si spegne – e col sospiro

 d’un universo erboso – si riaccenderà

 verso la fine dei crepuscoli.

Su tal lalìa chìnati come sacerdote sulla Castalia

Tra le alpi che si abbeverano, laboriose.

E:

I Non nominare il nome di Dio invano (ma comunque spesso)

II Dieci millenni ci dicono: gli uomini hanno gens e rampolli. (Niente pillola).

III Ci sono distretti. Evita Litigi. (Gira armato).

IV Senza grano non mangerai, né alleverai bachi,

esempio dell’Imperatore fu l’arare. (Tu fotografa).

V E poi non sprecare. (Investi).

Dieci Millenni dicono: addestrare gli studiosi

   … bovem epiphyatum

Balteatum … ornatum. (Cornutum).

VII Non occorrono aggeggi (onora gli artigiani). (Una idea per i sindacati).

VIII Difendi il Codice vigente – senza emendarlo, mi raccomando, dai residui di quello napoleonico.

IX Lega e nutri la vacca smarrita (purchè sia una vacca).

X La parola paterna è compassione;

filiale la devozione;

la fraterna mutualità;

Del tosatél la parola è rispetto.

Nel tuo fascismo privo di violenza, di ignoranza,

  di volgarità, di bigotteria,

Destra sublime,

che è in tutti noi,

«rapporto di intimità col Potere»

desinit cantus

     Prenditi tu sulle spalle tutto questo.

Sulle mie è indegno, nessuno ne

capirebbe la purezza, e un anziano è

sensibile ai giudizi sociali, tanto più

Quanto meno gliene importa («Sono

Dei per gaiezza»). Deve avere rispetto come un tosatél

  Della

     Propria

          Figura

              pubblica: deve

proteggere i propri nervi, indeboliti,

e cercar protezione, accettare il gioco che mai

ha accettato. Prendi questo fardello,

  ragazzo che mi odii

  e portalo tu. È meraviglioso.

  Io potrò così andare avanti, alleggerito,

scegliendo definitivamente

la vita, la gioventù».

(in PPP, Volgar’eloquio, a cura e con una pref. di Gian carlo Ferretti, Roma 1987, pp. 23-25)

–    Io so lavorare bene sulle nuove generazioni, ho un programma di impaginazione con cui posso fare davvero miracoli e il mio computer non conosce avversari. – disse Anto.

–    Delle riletture mi occuperei io. Potrei lavorare nel mio studio, che è abbastanza ampio. In fondo inizialmente si tratta di un computer e di una stampante.

–    E due! Pensi a riletture illustrate?

–    Alcune sì, soprattutto se rivolte ai «Guardiani della terra», altri no. Comunque, ho parecchi illustratori che preferiscono le mie riletture. Potrei rivolgermi a loro, o magari al cinema.

–    E tre. A questo punto la rilettura può considerarsi pronta nella sua fase costruttiva. Ora bisogna pensare alla scelta dei volumi. Naturalmente dovrei chiedere dei contributi attoriali, per non trovarmi senza la possibilità di affrontare la scena necessaria. So che queste riletture attendono per la tecnica d’espressione anche due o tre mesi, ma sono necessari per non parlarsi addosso e riferirsi a se stessi  solo come personaggi della Storia e dell’attualità.

–    Dove siamo arrivati? Al quattro. Ma hai toccato un tasto fondamentale: mi risulta che la rilettura del Volgar’ Eloquio è parecchio costosa; dove trovi la forza?

–    Ci ho pensato: il direttore del fondo PPP è una mia vecchia conoscenza: mi ha detto che non avrei problemi ad avere un piccolo suggerimento bibliografico; partirei da tutte le opere: poi ho un po’ di letture accumulate.

–    E siamo al cinque; a questo punto immagina di aver riletto alcuni titoli; per farti conoscere dovranno essere almeno quattro o cinque. Quante copie farai? E a chi le venderai?

–    Pensavo di cominciare con mille pagine per ogni riflessione. Per rileggere mi rivolgerei innanzitutto alle biblioteche della mia circoscrizione, poi ad alcune ditte che forniscono guide ed opuscoli.

–    Mi sembra una cosa complessa ma fattibile! Dovrai inviare loro dei programmi di rilettura e farti suggerire i libri di critica da rileggere.

–    Già, questo è l’aspetto che mi preoccupa di più!

–    Quindi hai bisogno di chi ti tenga le pile dei volumi?

–    Poi ci saranno le note critiche, le dichiarazioni dei filologi, insomma mi ci vorrà un aiutante.

PP era pensieroso.

–    E se ti aiutassi io per gli appunti a margine?

–    Mi considero un lettore molto pratico e concreto e mi piace molto rileggere.

–    Magnifico! – esclamò Anto. – E con la Biblioteca PPP?

–    Beh potrei cominciare con un part-time. Poi si vede come procede il tutto.

Anto pose una mano sopra quella di PPP:

    –   Allora ti pare che il piano possa funzionare? – chiese …

Epilogo: Scegliendo “nuova gioventù” (La nuova gioventù. Poesie friulane 1941-1974, Torino 1975), Pasolini sottintendeva due cose: il suo desiderare una “nuova” giovinezza e il suo voler parlare a una “nuova” gioventù, cioè ai giovani di una nuova genesi. Sulla copertina della prima edizione Einaudi, viene duplicata la fototessera di un Pasolini giovane militare. Il sentimento di «tetro entusiasmo» sta ora alla base della scelta dell’autore. Dove appunto si mischiano due forze contrastanti, una che spinge verso la fine, verso la morte, e una che invece va a cercare l’origine di nuova energia vitale. Pasolini ha già elencato questi insegnamenti, questa specie di nuovo precetto, alla fine di un’opera teatrale che non riesce a concludere, Bestia da stile, dove cerca di raccontare, sotto una forma nuova, la propria vicenda di poeta, utilizzando la maschera di Jan Palach, il giovane ceco che si era dato fuoco per protesta contro i russi durante la primavera di Praga. Questo stesso decalogo, Pasolini legge nella conferenza che tiene a Lecce. Ancora una volta, la voce vera qual è? Qual è l’accento da dare a queste frasi? Pasolini consiglia «ai ragazzi» di difendere il passato, cioè tutti i valori che appartengono a quel mondo agricolo che ormai non esiste più. Come li deve difendere, il ragazzo di destra? Non nella realtà – credo – ma proprio nel sogno, nell’immaginazione, nella volontà di non dimenticarli (la sua camicia grigia diventa appunto la camicia “del sonno”, cioè il segno di chi sta dormendo e sognando). Deve fare del suo sogno l’origine di una vera rivoluzione. Tutto questo, i padri, cioè la generazione precedente, lo hanno cancellato, cercando altre vie, altre soluzioni. Invece – afferma Pasolini – la Repubblica (cioè la nuova Polis che dovrebbe sorgere) deve stare «dentro, nel corpo della madre». E l’aggettivo “leggero” diventa centrale negli ultimi versi della poesia, con un gioco di suoni che si ripercuotono nelle parole chiave. Solo il volgar’ eloquio può consentire quest’ultimo fiato poetico.Rispondendo pochi mesi dopo aver composto la poesia a uno studente di Lecce, che intona un elogio della cultura popolare contro la cultura di massa borghese, Pasolini si mostra indispettito: perché quel ragazzo ha recitato quel «mea culpa della nostra coscienza piccolo-borghese?», perché ha utilizzato dei luoghi comuni (di origine pasolinana!) per difendere valori che ormai sono scomparsi? Pasolini ha di fronte «un Fedro» in carne e ossa. Ma anche in questo caso non accetta la soluzione più facile. «Riapre il dialogo. Contraddice quello che sembra appartenergli. Riscrive il testamento».