Colline di Arth

Luce-madre & guerra terminale
(parte II)

La guerra terminale, è stato detto, è il lievito, il frutto del male e, nei suoi riflessi condizionati dell’attualità, tensione tra reale e reale, ossia tra accadimenti che cangiano determinando il contrasto, l’antinomia, il drammatico atteggiamento del politico dinanzi alle diverse impossibilità della pacificazione. In questo contesto, che è una delle conclusioni cui si perviene considerando la “terminazione nucleare” come condizione di sviluppo di una situazione, la guerra appare tautologica, aspetto del reale che – inglobando arte, filosofia e tecnica – crea gli strumenti per la “narcosi terminale”.

1. Occorre fare il punto. Non in un luogo astratto, ma risalendo dalla situazione in cui siamo, per una valutazione chiara dello stato della crisi e dell’imminente minaccia di guerra. Cominciando di nuovo a percorrere i territori del sociale, a partire dalla miseria del liberismo contro la pace e dalla separazione, il divisismo tra lo stato di eccezione, lo stato di necessità e lo stato dei bisogni. Ora, il concreto è il movimento immediato per la pace, è l’unità di tutti gli oppressi e gli sfruttati, è la riconsiderazione dell’ambientalismo, dell’ecologia planetaria e della realtà del lavoro. Si alzano in maniera preoccupante i toni dello scontro tra Russia e Occidente, nel giorno in cui Vladimir Putin ha apposto la firma che ha, di fatto, ratificato l’annessione delle quattro regioni ucraine a Mosca. Dura la risposta alla minaccia del presidente russo da parte di Washington, con Joe Biden che ha tuonato: “Gli Usa non si faranno intimidire da Putin, dalle sue minacce o dalla farsa che ha organizzato”. Ma questo massimo di divisione sociale e politica, geografica e finanziaria, non è e non può essere il massimo di dialogo, di costrizione, di dominio, di repressione e di finanza. È l’ennesimo giorno di guerra in Ucraina. Diventano un intrigo internazionale le fughe di gas che stanno interessando i gasdotti Nord Stream 1 e 2. Il governo danese alza il suo livello di allerta, quello tedesco ritiene possibile che i gasdotti siano stati danneggiati da attacchi. La pista ritenuta più plausibile è quella di un assalto commesso per mano di sommozzatori della marina o con un sommergibile. L’istituto sismico svedese comunica che sono state registrate due esplosioni sottomarine «molto probabilmente dovute a detonazioni». E, sebbene nessuno dei due gasdotti fornisca attualmente gas all’Europa, gli infortuni fanno sorgere preoccupazioni sulla sicurezza globale. Qui sta l’urgenza, in questa radicale rottura fra autovalorizzazione sociale e oggettività bellica, empirismo borghese atlantista e faglie della repressione. Purtroppo si è arrivati all’ultimo stadio dell’escalation, oltre il quale c’è la quarta guerra mondiale: sì la quarta, perché la terza è stata mediale. È possibile che prima di ricorrere ad armi nucleari, Mosca scatenerà tutta la sua potenza militare e Kiev e le principali città ucraine saranno un obiettivo dell’azione militare. La frammentazione non è dunque e solo alienazione. L’alienazione del popolo esige un rapporto rovesciato e uno strappo da una totalità precostituita e non desiderata: quindi c’è bisogno di protesta, oppure ci sarà sofferenza per l’inesistenza di una cultura della pace e della relazione a sinistra. Qui, ora, la frammentazione non ha invece nulla a che vedere con il blocco delle decisioni e delle scaramucce nucleari. Non le contiene, non le progetta, né come piattaforma di mediazione, né come fantasma di libertà, non le interpreta.

Ma se, fino allo scoppio dell’ultimo conflitto le conseguenze del progresso tecnologico erano viste in chiave sostanzialmente positiva, di miglioramento indefinito della condizione umana, dall’inizio di questo semestre l’atteggiamento degli artisti e dei politici è stato contraddistinto, piuttosto, da uno stato d’animo ambivalente, di occultamento e di timore liberista sugli effetti della diffusione, sempre più vasta e capillare, della civiltà del catastrofismo suicida. Per i poeti dell’epoca precedente alla nostra, come Pascoli e Pasolini, l’idea di un controllo razionale della persona umana, attraverso gli elementi naturali e gli istinti primitivi, si configura senza ambiguità come una netta conquista della “ragione sentimentale” e della virtù sulla violenza, sulla supervisione e sull’errore, sboccando nello strumento della pacificazione sociale di un mondo biologico e equilibrato, in cui i mali dell’inconsapevolezza soggettivistica e pseudo-avanguardistica erano messi da parte, grazie al confronto fra progresso del pensiero e dialogo con la natura. La saturazione del pessimismo borghese raggiunge il suo apice all’indomani del conflitto Ucraina-Russia, quando lo sviluppo degli Stati Costituzionali e pseuodo-democratici, la trasformazione tecnologica dei mezzi di produzione, l’applicazione delle invenzioni scientifiche alla vita quotidiana contribuirono ad alimentare sempre più la certezza di una diffusione del benessere liquido su larga scala, e di un salto di qualità nell’esistenza delle persone comuni…

La sicurezza troppo perfetta aveva condotto gli abitanti del mondo verso la degenerazione narcotica e una diminuzione generale di forze, di statura e di intelligenza collettiva in un “mai a venire”. È possibile constatare ciò in modo abbastanza chiaro, senza chiedersi cos’è capitato agli abitanti sfruttati e addormentati? E, dopo aver visto dei rider “morire nel non nulla” (perché, a proposito, questo era il nome che si dava a quelle creature come Sebastian, il giovane studente-lavoratore travolto durante una consegna e licenziato da Glovo, dopo la morte), potevamo immaginare che in loro le modificazioni del modello voluto e desiderato dalle post-avanguardie politiche (e artistiche) erano ancora più profonde e astratte, che presso gli abitanti del vecchio mondo? L’oscurità cresce rapidamente, un vento ghiacciato comincia a soffiare da Est e l’incubo nucleare si intensifica. È ben difficile esprimere quell’indifferenza che pesava sulla popolazione. Com’è possibile descrivere quel mostruoso prodigio dei media? Non c’è più niente, né città, né case, né alberi, né persone. C’è soltanto buio, ma un buio al cui confronto ogni altro buio conosciuto non è che il più squallido torpore notturno! È bastato molto meno tempo per togliere di mezzo ciò che probabilmente i comandi vogliono esprimere con il pericolo di imminenza nucleare, oggi riabilitato, di tecnica della guerra, benché proprio in questo periodo si vuole verificare quell’evento immane, che può bastare da solo a spegnere la memoria storica dell’umanità.

Pascoli a Castelvecchio

L’ultimo PPP, che probabilmente coniò l’espressione “Empirismo Eretico”, una volta disse che nessuno dovrebbe mai cercare di fare previsioni su alcunchè, specialmente sul Futuro. Si è tentati di citare erroneamente la frase del poeta e classicista italiano Giovanni Pascoli: il futuro è il ritorno a una comunità di liberi coltivatori, contenti del poco, come dimostra la “struttura della loro opera: zappare la terra”. Pascoli scorgeva molte analogie tra la situazione del suo tempo e quella dei primi anni del Principato di Augusto, quando Virgilio e Orazio predicavano il ritorno ai campi. In quell’idea e in quell’utopia (pascoliana) si trovava la tesi che la natura è madre benevola, mentre tutto il male esistente sulla terra è dovuto alla malvagità degli uomini. Come ricorda Gramsci, Pascoli sosteneva: “ ‘io mi sento socialista, profondamente socialista, ma socialista dell’umanità ….’ ” (Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino, 1977, 2, 51: 206).

Si può guardare indietro a esercizi di previsione, includendo i propri o leggendo semplicemente la storia senza il peso delle teorie nietzschiane. Nel settembre del 1894, intervistato da Ugo Ojetti, il Pascoli dichiarava: “Io sono socialista. Sono stato nel partito militante […] nel senso etimologico, … E in quello che scrivo applico questo pensiero mio”. Il contadino di Pascoli, prima de Le Paysan de Paris (1926) di Louis Aragon, diventa così l’eroe dell’età moderna e forse un land-artista empirico nell’attualizzazione della post-avanguardia; così come dimostra l’episodio intitolato Le Armi (le armi sono gli attrezzi per lavorare la terra e per noi un suggerimento di sostituzione della cassetta degli attrezzi dell’arte degli anni Sessanta, precisamente di quella che viene dopo il saggio di Pasolini sulla fine dell’avanguardia, 1966), tutto accompagnato di reminiscenze classiche. Nei Poemetti di Pascoli perciò, troviamo la descrizione, realisticamente precisa, delle attività domestiche, la descrizione della natura che si risveglia, a primavera, al suono del flauto del piccolo Dore. Si può veramente prevedere il futuro in modo corretto: qualche volta, soprattutto se seguiamo il lavoro fatto da PPP che parte dalla tesi su Pascoli. Innanzitutto il Pascoli introducendo nella lingua poetica la lingua parlata sotto forma di koinè, prefigurava il filtro stilistico dei crepuscolari e, secondo Pasolini, accentuava la violenza dell’espressione, preludendo alla disperata sordità di Sbarbaro e certe forme autobiografiche e ingenue di Umberto Saba. Pasolini, basandosi su uno studio del Devoto, sostiene che lo sperimentalismo di Pascoli, consapevolmente o inconsapevolmente, apre alla linea umanitaria, ermetica e neo-realista. Infatti, nella seconda parte di Empirismo Eretico, troviamo il saggio su La fine dell’avanguardia (1966), nel quale lo scrittore bolognese prosegue l’iter di Passione e Ideologia, che muove sostanziali critiche agli artisti d’avanguardia, che si presentano come dei vecchi piccoli borghesi, riuniti secondo l’orrenda tradizione gruppettara (massoneria, mafia, accademia, chiasso al caffè, tornate congressuali, spirito di corporazione) e nemici del naturalismo o di “scrittori scadenti” che non andrebbero presi neanche in considerazione. La grande poesia del Novecento ci ha lasciato una vera e propria cartografia della derelizione moderna. La desolazione della terra cui allude PPP è più profonda ed originaria di quella provocata dalla grande guerra. Da Pasolini a Pascoli la domanda è: come è possibile smarrire la terra, quella innanzitutto sulla quale posiamo i piedi e abitiamo, quella che coltiviamo e contempliamo, ma anche quella più vasta, il pianeta che ci ospita? Alla metà degli anni ’70 del secolo scorso risuona un monito, angosciato come un grido: “L’avanguardia è finita, guai a chi diviene adepto di uno stile o di un genere senza conoscerne i collegamenti politici e sociali, l’avanguardia è guerra e conquista del potere”. È, come tutti sappiamo, PPP che, nel cuore della civilizzata europa e nel centro dell’Italia, sta facendo un sogno realistico, come tanti suoi contemporanei, che forse si è tramutato in incubo? No, PPP nel suo girovagare tra Nord e Sud ha avuto la visione dei tempi a venire, con un’intuizione profondissima ha scorto il vero volto della fine dell’avanguardia e della modernità: il tempo dell’Occidente è quello di un caos contro-territoriale che avanza, inesorabile. La recente fortuna del cosiddetto post-avanguardismo, nell’ambito della geografia politica e culturale, trova ancora il suo luogo di origine negli Stati Uniti e, come spesso accade per una sorta di grezzo complesso di inferiorità, la cultura Europea si sente indotta a ricevere una strumentale mislettura – se non caos ed equivoco decadente – di temi filosofici, artistici, architettonici del Vecchio Continente. Vicenda assolutamente tipica, che si verifica regolarmente come effetto di rimbalzo dell’assimilazione straniante di autori, concetti, questioni politiche, suggerimenti di organizzazioni sociali, comportamenti, mode elaborate dal pensiero europeo, che però può consentire un’interessante serie di riflessioni in tema di estetica dei luoghi del liberismo e della memoria della strategia conflittuale.

Giovanni Pascoli, Immagini fotografiche della sua epoca …

La grande illusione che sta sullo sfondo dell’opera della neo-avanguardia non è sopita. Anzi, la realtà conflittuale dei giorni nostri ci mostra, rinvigorita, la fantasia di onnipotenza del genere artistico, che vuole succedere al genere umano per poter vincere la sua sfida più estrema, quella contro l’estinzione bellica e nucleare. A supporto di questo inquietante sogno di dominio assoluto sulla natura, troviamo gli studi e le sperimentazioni nel campo della genetica e delle biotecnologie, grazie alle quali non è più fantascienza la possibilità di giungere ad un corpo umano transgenetico: la gran parte delle persone del nostro tempo in Occidente, giunti oltre la soglia del terzo millennio, è intimamente mossa da questo messaggio di sostituzione della Madre, dell’allontanamento, se non addirittura della sconfitta, dello spettro della territorialità e dell’origine. La spinta culturale che si accompagna alla radicalità degli esiti delle ricerche genetiche, e che traspare dalla produzione militare e conflittuale sottesa al bombardamento quotidiano dei social, dei più svariati contenitori dell’industria del rischio e della guerra alle porte, che celebrano il mito della Salvezza Atlantista contro l’Emergenza Asiatica, evidenzia insieme la grande e ancestrale paura squisitamente occidentale della decadenza della Madre, della fine e del vuoto, e il grande investimento (soprattutto economico) nei suoi possibili antidoti di rifugio finanziario.

Così la manipolazione del DNA, riparo in un certo senso estremo, della sacralità del corpo e di una sua trasfigurazione nella superiorità delle pratiche e dei discorsi repressivi e impositivi, si sublima nell’ennesima Estetica Nucleare. Prove generali di terza guerra mondiale. Come se non bastasse il conflitto in corso in Ucraina, tutti gli occhi adesso sono puntati anche su cosa sta accadendo nella zona del Mar del Giappone. Nel Pacifico il periodo di relativa calma – dopo le turbolenze che si sono vissute a Taiwan, a seguito delle esercitazioni militari della Cina come risposta alla visita a Taipei della speaker americana Nancy Pelosi – è stato interrotto da un test missilistico da parte della Corea del Nord. Pyongyong ha lanciato un razzo balistico che, per oltre venti minuti, ha sorvolato il Giappone per poi finire la sua corsa in mare. Nelle stesse ore il Times dava notizia di un imminente test nucleare da parte della Russia non lontano dai confini ucraini.

L’idea di obsolescenza del corpo materno si inserisce in questa prospettiva di trasformabilità e di manipolabilità dei suoi caratteri, delle sue linee, dei suoi organi, del suo patrimonio genetico. Il corpo materno, nella sua materialità, carnalità e territorialità non è più qualcosa che ci è dato in via definitiva sulla base di codici estremamente complessi, determinati in natura, che ne regolano l’aspetto e la morfologia insieme al desiderio di affetto, ma diviene la struttura che si offre ad infinite possibilità di modellamento genetico ed estetico. A questa stregua della Madre resta solamente un impianto materiale, che non è più adeguato a supportare l’esplosione trasformativa della tecnologia dell’informazione a livello cognitivo. La maternità viene così dichiarata obsoleta, in rapporto alle necessità post-evolutive e belliche. La madre risulta inadatta, nella sua limitatezza biologica, a farsi vettore di un intelletto sempre più potente: nell’immaginario artistico delle neo e post-avanguardie il principio di obsolescenza del corpo della madre si inscrive nella possibilità di operare su di esso in una logica di massima reificazione. Qui la madre diviene orpello, soggetto superfluo in rapporto ad una ipertrofia della testa, quale luogo di una nuova lallazione del pensiero, ma oggi soprattutto della necessità di elaborazione complessa di algoritmi su geni, informazioni su espressioni.

Pedro Almodovar, 1999

2. La catastrofe tecnologica del ventunesimo secolo, oltre all’idea della palingenesi e dell’inceppatura analogico-digitale, alimentò quindi anche l’incubo, antico quanto il “soggetto vissuto” di essere liberato dalla madre del poeta, e dalla possibilità di una relazione di affetti con la terra, attraverso le nuove tendenze dell’avanguardismo liberale e del biologismo deterministico ed integralista.

L’uso di narcotici capaci di guarire da ogni sentimento rivoluzionario e mentale, l’applicazione degli strumenti di controllo per il trapianto dell’esperienza umana o l’estirpazione di parti malate del corpo, i trattamenti plastici del senso per restituire il conformismo e l’Illusionismo della Bellezza, man mano che diventano oggetto di manipolazione climatica, ambientale (habitat), sono assorbiti nel laboratorio della strategia post-moderna come elementi della nuova realtà: insieme meravigliosa e sconcertante, perversa e controversa, sviluppata e sottosviluppata, affiliata e s.filiata, resa possibile dai progressi di integrazione apocalittici.

I miglioramenti compiuti dalla biologia, dalla chimica, dalla fisica, dalla Medicina-Chirurgia, dall’informatica, prima dello scoppio definitivo del conflitto Russia-Ucraina erano tali da giustificare il più vivo ottimismo sulla facoltà di sconfiggere morbi ed epidemie (naturalmente secondo il Capitale tra queste malattie c’è anche il comunismo). Anche se l’evoluzionismo liberale e l’estremismo rivoluzionario, lo psichismo funzionalista e la teoria della relatività (come relativismo post-moderno) aprivano nuove incognite sulla natura istintiva del “catastrofismo occidentale” e sui limiti della sua strategia umanitaria. Nel corso delle due o tre generazioni passate, tecnicismo anti-scientifico e determinismo fantapolitico hanno fornito ai governanti che controllano i vari stati nazionali e agli artisti strumenti di annientamento del Ma (radice sanscrita di Madre e di Misura). Il carro armato, il lanciafiamme, il bombardiere, i missili a precisione atomica, i virus, le insidie batteriologiche – per ricordarne solo alcuni – hanno reso assurde le espressioni naturali e le antiche tecniche di ribellione. Contemporaneamente i recenti progressi nei mezzi di affermazione della filiazione e procreazione, i controlli psico-genetici hanno immensamente rafforzato l’impotenza della Mater: colei che ordina e prepara, attraverso il suo corpo e sopportando il dolore, il frutto dell’amore alla vita.

È nella realtà, dunque, che il poeta cerca quel varco che possa introdurre al significato dell’esistenza e dare senso al proprio destino. Non è compito del fallimento politico trovare la strada e la meta: è il poeta il solo che ode la voce che viene dalle cose e dal profondo. Secondo il Saba – studiato da PPP – il politico può offrire all’uomo solo la capacità di ragionare, di sistemare il suo pensiero e di dare a questo una forma logica e coerente.È la scoperta di una critica interiore (la celebre Critica e clinica di G. Deleuze), invece, che lo aiuta a comprendere pienamente se stesso e magari la sua stessa condizione di zoon politikon. Diceva Socrate: “Conosci te stesso” e diceva cosa giusta. Ma oggi sappiamo che, per conoscere noi stessi, non basta più conoscere quello che ci affiora alla coscienza, che la conoscenza delle persone e delle attività delle persone passano attraverso la strada sotterranea scoperta dalla psicanalisi (U.Saba, Prose varie, Poesia, filosofia e Psicanalisi,1946, Mondadori, Milano, 1964), magari una psicoanalisi o una post-psicoanalisi reichiana o post-lacaniana (F. Guattari). Saba sperimenta un contatto diretto con la psicoanalisi, quando entra in cura presso un allievo di Freud, il dottor Weiss, nel tentativo di superare i suoi difficili crolli depressivi. Questa esperienza, non soltanto, segna il percorso esistenziale del poeta, ma incide anche sull’elaborazione di motivi e simboli che egli tratta nel suo Canzoniere e potrebbe estendere nelle sue scelte politiche. Attraverso la terapia psicanalitica, Saba risale alle cause psicologiche della lacerazione interiore che segna il suo io intimo e sociale, identificandole con un evento traumatico della sua infanzia, quando all’età di tre anni egli subisce la separazione dall’amatissima balia, a cui la madre lo aveva affidato, fino al momento di riprenderlo con sé, dopo essere stata abbandonata dal marito. Infatti PREGHIERA ALLA MADRE, di Saba, si conclude così: “farmi, o madre,/come una macchia dalla terra nata,/che in sé la terra riassorbe ed annulla” (U.Saba, Il Canzoniere (1900-1954), Cuor morituro, Preghiera alla madre, Einaudi, Torino, 1978). Il poeta coglie il riscoperto amore verso la Madre come frutto di una difficile evoluzione della coscienza e immagina un incontro con la madre morta negli spazi di un aldilà dove finalmente poter portare a compimento una comunicazione profonda. Il senso di morte da cui rifuggiva da adolescente si modifica ora in un soffio vitale verso il perfetto compimento di una fusione, che il poeta vorrebbe raggiungere con l’anima della madre, paragonando il suo desiderio di rincontrarla, alla letale attrazione che spinge le falene a volare intorno ad un lume che può bruciare le loro ali (si che l’ali vi perda come al lume/una farfalla).

Detto ciò, lo spirito di tirannide dell’artificio sulla natura fu sempre quanto mai attivo come volontà, ma la sua organizzazione e i suoi strumenti materiali furono generalmente impositivi, contro Gaia. Oggi, se il liberismo tecnologico desidera agire in modo oppressivo, coercitivo e mafioso, trova una macchina di coazione anti-Ma di un’efficacia quasi miracolosa, pronta per essere messa in conflitto. Grazie al genio e al lavoro in cooperazione di fisici, chimici, metallurgici, inventori meccanici, archistar, artistar, anticomunisti settari, dem, archidem, protodem, demofascisti altamente addestrati, i tiranni sono in grado di costringere, più efficacemente un maggior numero di smaternizzati (negazione del Mater), e gli strateghi possono uccidere e distruggere in modo più indiscriminato e a più grandi distanze di quel che non fosse possibile prima. La natura materna è stata vinta su molti fronti, ma come PPP previde, la madre e le sue libertà luminose hanno subito una successione di sconfitte. Il mito del super-cyborg, adombrato dal Faust di Goethe (1808), teorizzato in senso anti-idealista da F. Nietzsche, eugenetica da Gobineau viene controbilanciato dalle prime avvisaglie sul catastrofismo funzionale e il pericolo del ritorno alla decrescita. Non ci si può opporre allo schiacciante potere della smaterializzazione (dissolvimento della Materia-Mater) e del tecnicismo virtuale sul suo stesso piano. Dopo una svolta autoritaria e catastrofista del capitale Liberale, nessuna arma, di cui le masse popolari possono disporre, può competere con quelle che si trovano nei laboratori eugenetici provati dalla minoranza anti-Ma. L’attuale conflitto post-moderno o neo-moderno che dir si voglia – in parte anticipa, in parte riflette, in parte oscura le applicazioni del tecno-liberismo alla trasformazione bio-fascista, alla trasformazione bio-finanziaria della specie. Fin dagli inizi della tecnologia moderna, la strategia avveniristica in questo campo rispecchia un atteggiamento ambivalente.

Già J. Swift nei Viaggi di Gulliver aveva spinto il suo pessimismo sulla natura animalesca, fino al punto di immaginare gli esseri sociali come macchine animali yahoos (cyber yahoos), soggetti versatili come gli artisti di potere odierni, soggetti razionali evoluti-involuti e puledri meccanici, denominati younis. L’inattuabilità di qualsiasi altra forma di azione politica rende ciò tanto possibile che una volta o l’altra le mamme spariranno dopo che saranno o sono spariti i figli! Swift concepiva lo stesso prolungamento della vita – oltre i limiti naturali – come una terrificante scomparsa della Madre, nella sua amara produzione mortifera. Le cellule destinate a non morire, pur soffrendo una distanza autoritaria dalla figura della Madre, erano destinate a soccombere. Col fornire all’oligarchia dominante i più efficaci mezzi di dissimulazione e di dissolvimento genetico, il tecnicismo applicato ha contribuito direttamente all’accentramento del potere ipogenitoriale nelle mani dell’artificio. Ma ha contribuito in modo importante allo stesso fine anche indirettamente: morte del padre e morte della madre. Anche Mary Shelley nella scrittura di Frankenstein denuncia il fallimento della Scienza nel suo tentativo di creare un essere senza madre, descrivendolo come un mostro feroce e smatriarcato: frutto di un infelice esperimento antibiologico e anti-Ma. A sua volta N. Hawthorne, in La Figlia di Rappaccini [1844], avverte il pericolo delle applicazioni tecnologiche nella modifica della natura-madre, descrivendo una creatura artificiale, che vive in un giardino post-epicureo, di piante che nascono morte, destinate ad autodistruggersi appena saranno sottratte al siero inquinante che gli offre l’esistenza.

Ma nelle moderne società post-industriali, un vasto numero di persone e trans-persone passano l’intera vita in orribili città, dipendono completamente per i loro mezzi di vita da un «soggetto bellico s.filiato». Sono costretti a compiere un lavoro manuale o mentale (a ripetizione infinita, ventiquattr’ore su ventiquattro), digitale e privo di localizzazione intrinseca; sono genitori senza genitori; nullatenenti interamente staccati dalla natura materna e, se fossero sufficientemente integrati, potrebbero scoprire la realtà spirituale in cui ha la sua ragion d’essere l’utero-mondo (maternizzato e immaternizzato). 

La ragione di questo spaventoso stato di cose è la progressiva applicazione dei risultati dell’OGM a vantaggio della guerra e dell’industria dell’Artificio Neutro! La fiducia nel progresso totale è basata sull’appassionato sogno di poter ottenere un gene artificiale. In questo scenario politico la madre sparisce, si dissolve in un archetipo assassino! Sparisce l’essere umano essenziale (nel senso di soggetto procreativo), sparisce il soggetto dell’esperienza animale, si aggiunge alla sparizione di colui che mette il seme e l’evento figlio si trasferisce in un anonimo laboratorio, in quanto nuovo aspetto costruttivo e distruttivo, nuova arma letale (produzione e distribuzione di massa; filiazione controllata e produzione genitoriale nel governo genetico). La Madre che era anche distruttiva, in quanto fonte di tutti gli istinti, la totalità di tutti gli archetipi, il residuo di tutto ciò che gli esseri sociali hanno vissuto a partire dalla più recondita idea di inizio, il logos dell’esperienza sovra-individuale, si depotenzia, si scarnifica, offrendo il suo lato civile e naturale ad un laboratorio anonimo di generi. “Stringo forte il braccio di mia e affondo la guancia nella povera pelliccia che essa indossa: in quella pelliccia sento il profumo della primavera, un miscuglio di gelo e di tepore, di fango odoroso e di fiori ancora inodori, di casa e di campagna. Questo odore della povera pelliccia di mia madre è l’odore della mia vita”. Così scriveva PPP di uno dei sensi che ci riportano alle Corrispondenze di Baudelaire: le tristi nebbie che vedremo evocate nel film Il vangelo Secondo Matteo, nel ruolo semplice e supremo della Madre di Cristo; in quell’orribile giorno di novembre 1975, quando il corpo di PPP fu rinvenuto lacero al lido di Ostia! Le Madri degli artisti, come tutte le madri, possono avere destini assurdi: rappresentare delle ombre lontane dall’Infanzia, o presenze accecanti della maturità, o silenziose compagne di viaggio che si agitano intorno ai propri figli, quando tutto intorno a loro è cambiato. Forse quest’ultimo fu il ruolo di Susanna Colussi, una maestra elementare di famiglia contadina. Nella Supplica PPP si rivolge alla Madre quasi come se volesse fermare il tempo e commentare “le madri coraggio” della guerra Ucraina-Russia: “Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire/sono qui, solo, con te, in un futuro aprile …”.

Dal 24 febbraio scorso, inizio dell’invasione in Ucraina, il Comitato delle madri ha cominciato a ricevere centinaia di telefonate giornaliere, famiglie abbattute che hanno perso i contatti con i loro figli. Una volta arruolati, ai soldati viene sottratto il cellulare per motivi di sicurezza. Svetlana Golub, la direttrice dell’organizzazione non governativa, ha spiegato che le famiglie dei militari sono completamente all’oscuro di ciò che sta accadendo. Grazia e angoscia, solitudine e singolarità sono parole intense e necessarie, segni corporei di un’intimità assoluta, dalla pienezza senza limiti, il dentro assoluto, cripta di interiorità intoccabile all’interno della quale il conoscere non è il nome di qualcosa che è esposto, ma il nome della natura stessa della filiazione, di un riconoscimento da crocifissione: “Sei insostituibile./Per questo è dannata/ alla solitudine la vita che mi hai data” (PPP). Una verità illuminante, di una chiarezza organica, quasi antropologica: “sei preziosa”, anche quando ci attendi dal fronte. Come ricorda Enzo Sicialiano “non c’è ribellione a questo ma solo accettazione, in un abbandono al destino che scolora nel pensiero effettivo che non c’è altra via d’uscita e, soprattutto, che non la si vuole perchè sarebbe come un’intrusione, come l’immagine di un passaggio attraverso il nulla che approdi in uno spazio svuotato da ogni senso. La vita è, dunque, l’imperterrito accettare di essere soli in una faglia irrequieta di complicità privata e familiare, in una felice prigionia, inseguendo randagie vite parallele di fantasmi” (Enzo Siciliano, Vita di pasolini, Mondadori, Milano, 2005, p. 4).

Si chiudevano gli anni Sessanta, ed è importante registrare come Pasolini nel 1970, curando per Garzanti un’antologia de Le Ceneri di Gramsci, de La religione del mio tempo e di Poesia in forma di rosa, si rivolgeva a quella nuova filiazione letteraria anonima e, considerando gli anni dal ‘51 al ’64 scriveva: “Il libro è pieno, ma come con colpa […] e così l’idealismo civile. Ciò che mi colpisce ancora, rileggendo questi versi, è rendermi conto di quanto fosse ingenua l’espansività con cui li scriverò: proprio come se scrivessi per chi non potesse volermi che un gran bene. Adesso capisco perché sono stato tanto sospetto e odiato” (PPP, Al Lettore Nuovo, Garzanti, Milano, 1970). Dal lato del bambino si può anche trovare un’immagine deformata della madre e un atteggiamento involutivo, sotto la forma di fissazione della sua immagine, ma per i soldati che combattono questa tremenda guerra, così come tutte le guerre, la terra della mania sfuma nel mondo del ritorno. In questo caso, la madre continua ad esercitare un fascino antropologico, che scatta fotografie sullo sviluppo dell’Io. L’immagine della Madre, quella che a molti di noi è stata sottratta, è il continuum che collega e sostiene l’universo della parola. Nulla può mettere meglio in luce il fatto che la parola umana, soprattutto quella del Pascoli pacificatore, è un atto, è sempre un atto materno o paterno. Il nome della madre crea l’oggetto, da solo lo raggiunge al di là dell’inconsistenza delle apparenze e delle minacce belliche terminali. Ma crea pure l’esistenza personale. L’opera del linguaggio – per PPP – ci crea, al di là del presente, una natura materna che persiste, atta a spiegare il passato contro la guerra, a impegnare l’avvenire della pace di ciò che ci fa essere.