Artisti si nasce o si diventa? Ai lettori di Echaurren, Orphée, Sassone e Jarry Saltz l’ardua sentenza.
Intelligente come un pittore: Walter Bortolossi
Gli artisti da frequentare sono quelli che, andando oltre il presente, sanno vedere il futuro. Ci riescono perché sono proprio le loro intuizioni a renderlo attuale. E poco importa che, come di solito accade, in un primo momento quasi nessuno se ne accorga. Così, tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, mentre i più sembrano “spinti da una necessità quasi fisica di trattare le questioni razziali, la sessualità e il multiculturalismo, ma soprattutto la globalizzazione” e “gli artisti più rappresentativi dell’epoca abbandonano progressivamente il lavoro incentrato su un unico medium per iniziare a dialogare trasversalmente su più discipline, tecniche e strumenti” (Edoardo Di Mauro), Walter Bortolossi, pur non trascurando le nuove frontiere dell’informatica, specie per quanto concerne la distorsione delle immagini, si concentra da subito su questioni radicali: “l’eclisse delle ideologie, il termine di un secolo improntato al progetto politico e la sua sostituzione con l’amministrazione tecnica dell’esistente, la centralità dell’apparato tecnico scientifico oltre che di quello economico”. Il risultato è una pittura colta, densa di sensi secondi, sebbene rivestita di forme popolari, che avrebbe incuriosito persino Duchamp. Studio come un pittore? L’esatto contrario.
Contro gli stormi dei pappataci
Di solito, quando si parla di nomine, come nel caso della Biennale di Venezia o della Quadriennale, in Italia si celebra un minuto di silenzio. Stavolta, però, qualcuno ha protestato. Ed è stato puntualmente redarguito. Ecco la cronaca – da spettatori ironici e neutrali, in attesa di sentire i diretti interessati – dei fatti più recenti riguardo la doppia nomina di Gian Maria Tosatti
Il ruggito del coniglio
Tempi duri per Firenze, tra censure al suo simbolo e gonfiabili d’acciaio. Per fortuna ci soccorre il sarcasmo di Vezzoli.
Abbasso il Corpus Christie’s: Pablo Echaurren
Se c’è un’accusa che è davvero impossibile rivolgere a Pablo Echaurren è di mandarle a dire. Il suo ultimo libro, Adotta un artista e convincilo a smettere per il suo bene (Kellermann, 112 pagine, euro 13), con una postfazione altrettanto esplosiva di Gianfranco Sanguinetti, ultimo situazionista e sodale di Guy Debord, è un’invettiva contro la mercificazione dell’arte che unisce alla trattazione sistemica un talento per lo slogan da memorizzare e ripetere in cor(te)o che si affaccia sin dal titolo: nella seconda metà degli anni ’90 Echaurren aveva fondato insieme al cyber-artista Giuseppe Tubi il partito del tubo. Uno degli slogan era appunto “adotta un politico e convincilo a smettere”. E se facessimo lo stesso coi critici-curatori per tutte le stagioni?
Il giardino dell’arte: Claudio Strinati
Ho letto con piacere e gusto insoliti Il giardino dell’arte di Claudio Strinati (Salani, 2020): un viaggio di formazione alla scoperta delle bellezze d’Italia dove la realtà e la finzione, l’interpretazione e la suggestione si intrecciano mirabilmente, tracciando una mappa dell’arte nel nostro paese precisa e al tempo stesso aperta, sempre sul punto di venire aggiornata da uno spunto originale. Un libro che – e questo è forse il suo aspetto più intrigante – pur privilegiando la conoscenza dell’arte del passato, non rifugge dal confronto sul presente, senza passare sotto silenzio i condizionamenti che determinano la creazione artistica: gli stessi riguardo a cui il sistema, più che felice di discutere di questioni generali, non tollera il minimo rilievo. Perciò ho rivolto a Strinati alcune domande. Le sue succinte risposte rivelano, a chi sappia intendere, ben più di trattazioni articolate. Per il resto si rimanda volentieri alla lettura del Giardino.
“Spigolature”
La spigolatura, per chi non lo sapesse, è la facoltà data un tempo ai poveri di raccogliere le spighe disperse nei campi, dopo che il grano era già stato tagliato e raccolto in covoni. Poi, declinata al plurale, è diventata il titolo di una rubrica di aneddoti della Settimana Enigmistica. Ed è appunto alla categoria delle curiosità, dei fatti stravaganti che va ascritta la polemica riportata ieri mattina da riviste e giornali.
Il mediatore artistico: Ghislain Mayaud
Qualcuno mi ha detto un giorno che i condomìni sono un’invenzione del diavolo. Non sbagliava. Ne ho avuto la prova quest’estate, non tanto per i rumori molesti degli altri – sotto il mio palazzo c’è una discoteca sotto le mentite spoglie di una pizzeria – fortunatamente silenziati dalle misure emergenziali, quanto a causa dei miei. Pare infatti che i movimenti delle sedie della mia sala da pranzo arrecassero disturbo a un vicino sottostante, salito in processione alla soglia di casa in più di un’occasione a protestare. Peccato che, nella maggior parte dei casi, io fossi nell’appartamento accanto, da mia madre, rendendo i suoi lamenti proverbiali. I miei figli, che coi soprannomi non scherzano, lo hanno ribattezzato Feltrinelli: non come il famoso editore, ma come le spugnette antirumore da applicare alle sedute da lui tanto lodate. Che, a pensarci bene, non valgono i tappi per le orecchie, tipo quelli che si usano in piscina. Scherzi a parte, posto che i dialoghi tra le arti oggi somigliano a quelli tra me e il mio vicino, ho pensato di discuterne con l’amico Ghislain Mayaud: critico, poeta, curatore, docente di Accademia. Non vorrei essere nei panni dell’amministratore del condominio, ma se c’è qualcuno che per cultura, educazione, larghezza di vedute possa tentare una mediazione, questo è lui.
Arte e “discriminazione”: Massimiliano Alioto
Ahimè, non sono Jackson Galaxy, musicista di notte, comportamentista per gatti di giorno. Non so come aiutare i padroncini dei cuccioli artigliati e zannuti ad educare i loro “cari” a non sporcare il canapè. Jackson Galaxy – mio figlio è un suo fan sfegatato – lui sì che ci sa fare: prendi una lettiera più grande, compra la cuccia riscaldata, sposta in soggiorno il tiragraffi. Rimedi efficacissimi. Almeno se paragonati alla tecnica crudele di mio nonno: ogni qual volta il mangiatopi non rigava dritto, lo afferrava per la collottola e sfregava delicatamente il suo musetto sulle margheritine. Roba da telefono azzurro! Se il vostro bimbo al nido subisse lo stesso trattamento, come reagireste? Pedagogia, ci vuole. Noi umani – presumo anche i felini – abbisogniamo di un continuo training emotivo. Qualora qualcuno ci metta alla porta, come minimo proviamo a scassinarla. Qualcosa del genere è accaduto di recente con l’introduzione del green pass: misura di salute pubblica a mio modo di vedere utile – sono plurivaccinato da prima dell’estate – ma la cui imposizione ha determinato l’insorgere di polemiche feroci, con tanto di dimissioni di direttori di museo e di mostre cancellate. Ne ho quindi discusso con Massimiliano Alioto, uno dei primi artisti a inscenare una protesta netta – l’annullamento di una personale – che gli ha guadagnato, oltre a una benevola menzione di Camillo Langone tra i suoi eccellenti pittori, ostracismi e risposte feroci. Il solito artista a caccia, come ha suggerito in un post al vetriolo Luca Beatrice, dei proverbiali quindici minuti di celebrità? Lungi da me schierarmi. Certo è che, prescindendo dalle difficoltà che le restrizioni impongono, specie con riferimento ai turisti stranieri, a una realtà travagliata come quella dei musei, l’“io non posso entrare” di fronte a uno spazio comune, sia esso chiesa, biblioteca o ambiente espositivo, è un concetto decisamente problematico, su cui vale la pena ragionare.
La passione culinaria
Esibire il sedere sullo sfondo dei luoghi più belli del mondo è diventata una moda anche in Italia. Non sempre, però, come è accaduto questa estate in Sicilia, i posteriori dei performer sono ben graditi.
Il direttore delle cose normali: Luigi Biondo
In Sicilia i direttori dei musei regionali non vengono scelti attraverso bandi pubblici, ma tra gli alti funzionari dell’amministrazione. Questa politica, in una realtà complessa come quella siciliana e, soprattutto, ai sensi dell’attuale quadro legislativo, è la sola praticabile. E non è neanche detto sia sbagliata: somma infatti, al curriculum scientifico, comunque indispensabile, competenze amministrative conclamate.
Il laboratorio dell’arte: Luca Rossi
Chi si occupa di arte lo conosce da anni. Le sue dirette, i suoi interventi scritti, i giudizi trancianti sugli artisti, con tanto di nome e cognome, sono diventati un’abitudine, cui sarebbe doloroso rinunciare. Sto parlando, ovviamente, di Luca Rossi, l’artista uomo comune che, celando come Banksy la propria identità, si è eletto coscienza critica dell’arte contemporanea. Il dialogo che segue, senza soffermarsi più di tanto sul segreto del suo nome, in cui anzi rinvengo un’efficace metafora della coscienza collettiva e della rete globale, sintetizza i punti salienti del Luca Rossi pensiero. Con tanto di pronostico sulla prossima Biennale.
Effetto bagnato
Lo spettacolo deve continuare. E le rassegne più importanti come le Olimpiadi o i monumenti più noti come il Partenone, di recente sottoposto a un discusso adeguamento, ne pagano le spese.
Hanno ucciso l’uomo ragno
Arte pubblica sì, arte pubblica no. Una riflessione su alcune recenti installazioni come Punto di fuga di JR. E su una mutazione antropologica in corso.
Sistematica va in pausa
Carissimi lettori e altrettanto care lettrici, la rubrica Sistematica è momentaneamente in pausa estiva. Riprenderà a indagare i nessi sistemici con la cadenza consueta a partire dal mese di settembre….
Sul lavoro interiore: Gabriele Sassone
Chiunque abbia letto o visto Henry Potter e la pietra filosofale – m’inorgoglisco per i miei riferimenti raffinati – sa benissimo che gli unicorni non si toccano: il sangue di questi animali, quintessenza del bene, dona infatti lunga vita, ma condanna a un’esistenza disgraziata. Nel romanzo di Gabriele Sassone Uccidi l’unicorno, la creatura appare al protagonista in piena notte, mentre si trova a scrivere l’intervento per un convegno in programma la mattina successiva. Un ospite importante ha perso il volo e lui è il rimpiazzo designato. Così, in uno stato di allucinazione causato dalla veglia, il delitto si consuma. Questo significa uccidere l’unicorno: rinunciare, in nome di un ingresso (dalla porta di servizio) nel mondo dell’arte, al meglio della vita. A quali condizioni? Lo abbiamo chiesto, tanto per cambiare, all’autore, che insegna Critical Writing alla Naba – Nuova Accademia di Belle Arti di Milano e collabora con Il Foglio, Mousse Magazine, Camera Austria e Flash Art. Uccidi l’unicorno. Epoca del lavoro culturale interiore (Il Saggiatore, 2020, Euro 19.00) è il suo primo romanzo.