Rosa Mundi

Il giardino delle Vergini

Si è conclusa il 10 marzo scorso a Palermo presso Palazzo Branciforte, sede della Fondazione Sicilia, l’antologica di Rosa Mundi Il giardino delle Vergini, una rassegna esaustiva dell’intera produzione dell’artista, lunga ormai trentatré anni, dalle prime opere pittoriche del secolo scorso ai lavori in marmo e pietra selezionati per la Biennale di Venezia del 2022 alle più recenti composizioni video e fotografiche prodotte durante i suoi ultimi viaggi in Senegal e a Cipro, dove ha vinto l’Awards per la Biennale d’arte 2023. Ripercorriamo in tre puntate, con la guida di Andrea Guastella, un allestimento scenografico che ha immerso i visitatori nel mondo di luci e ombre dell’artista, in dialogo con le musiche originali di Mario Bajardi, Alberto Bof, Carlo Condarelli e Jacopo Lo Bue: un sogno ad occhi aperti dove oggetti d’uso quotidiano e materiali riciclati, come la plastica o i petali appassiti delle rose, riacquistano, tra l’incanto delle Esperidi e il roseto del Canto dei Cantici, la “verginità” perduta.

Rosa Mundi non è soltanto una inesauribile creatrice di figure e installazioni: è la sua una interpretazione del cosmo che in ogni aspetto obbedisce a un disegno, un copione in cui fonti storiche e biografiche, tradizioni filosofiche, metamorfosi alchemiche sono evocate da immagini incantate. La prima, che offre il titolo a questa antologica, in cui si ripercorrono le tappe di un lavoro trentennale, dai primi dipinti del secolo scorso alle sculture in marmo e pietra per la Biennale di Venezia 2022, alle più recenti composizioni video e fotografiche prodotte durante i viaggi in Senegal e a Cipro, è un simbolico giardino.

Come nel film di esordio di Sofia Coppola, Il giardino delle vergini suicide, in cui un gruppo di donne finisce segregato in una casa e nel verde circostante, anche l’artista, varcate le imponenti mura di Palazzo Branciforte, territorio di confine tra il mare e la città, tra ere e dimensioni, vi rimane intrappolata. Soltanto all’apparenza le tre sfere armillari che aprono la mostra ci portano lontano, nei fondali oceanici o nelle località più sperdute del Nord Europa o dell’Oriente; in realtà, in un allestimento che si snoda nella Cavallerizza del palazzo e nelle enormi stanze vuote del suo secondo piano, ogni movimento verso l’esterno, come scontrandosi contro una barriera, si rovescia in un ritorno, in uno scavo interiore. Lo testimoniano i continui riferimenti alla vita privata dell’autrice, alle sue abitudini, in particolar modo ai costumi della sua adolescenza e dell’infanzia, che ci restituiscono un’atmosfera sognante; simile, per molti aspetti, a quella fatta di profumi e rossetti, vinili dei Kiss e cataloghi di viaggi fuori porta che la Coppola dissemina nei suoi stalli verginali. Di fronte a queste tracce, noi tutti ci sentiamo il ragazzo del film che, durante una festa, con la scusa di andare in bagno, annusa i trucchi di una delle “vergini”, o come quello che prova a sciogliere il mistero di un’altra leggendone il diario, raccattato tra i rifiuti, rendendosi finalmente conto di come sia difficile far crescere una rosa. Di loro, delle vergini, non si sa quasi nulla, ma è proprio questa ignoranza, che nel caso di Rosa Mundi è anche mancata conoscenza del suo nome, a trasformarne gli scarti in reliquie fascinose. Sia come sia, la storia non si ripete mai due volte. Il suo percorso non è predeterminato.

Sviluppandosi per via di interazioni e coincidenze, configurazioni e decisioni, si incontrano sempre alternative. A volte sono i secondi o i millimetri a incanalarne il corso. Tutto questo Rosa Mundi lo sa bene; non a caso, una pietra miliare della rassegna è una installazione composta da un cerchio e da una tavola. Il cerchio è una sorta di ruota della fortuna: al suo interno sono fissati, come in un atlante, dei simboli celesti, allusivi agli eventi che possono segnare una giornata. Pare che l’artista e i suoi figli la compulsassero ogni mattina, a mo’ cabala, facendola girare. La tavola accoglie a sua volta una scacchiera, con il re in scacco matto. Ciò non ostante, sotto torri medioevali, che rimandano alle quinte del Guidoriccio da Fogliano attribuito a Simone Martini, affresco particolarmente amato dall’autrice, ci sono pure un arco, e una freccia: gli strumenti adatti a vincere, a colpire la preda. Non è dunque solo il caso, o una necessità stringente, a decidere il destino. Conta tantissimo il coraggio, la determinazione. È l’uomo – la donna – a scegliere, mediante il proprio agire, se ascendere alla divinitas del Creatore o sprofondare tra le bestie; un agire che richiede, sempre e comunque, sacrificio. Perciò, nell’istallazione che ho appena evocato, Rosa Mundi affigge alla tavola una coda recisa dei suoi capelli biondi.

Le sarà costata cara, ma è il prezzo da pagare perché le energie maschili e femminili, la grazia e il vigore di una seconda e di una terza installazione, nella medesima sala, si equilibrino a vicenda, come gli estremi di una clessidra. 

(segue)

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