Come nascono i tuoi lavori dall’idea al primo abbozzo alla realizzazione finale? Fati tutto da solo o ti avvali di collaboratori?
L’opera d’arte che preferisco è quella che nasce da “un’ispirazione rubata”, da un momento della mia vita catturato tra i tanti che mi colpiscono e fissato in maniera indelebile su un foglio di carta straccia o su un tovagliolo di un bar. Spesso quegli schizzi “rubati” al trascorrere ordinario della giornata, diventano vere e proprie ossessioni artistiche, per finire quindi a riempire una tela nel caso dei quadri o a modellare la materia nel caso delle sculture. Sicuramente quando ti avvicini alla scultura monumentale è praticamente impossibile realizzare tutto da soli… Ovviamente ci vuole una squadra di lavoro, se non altro un insieme di collaboratori che ti assistano nel mettere in pratica quello che magari era solo un disegno su un foglio bianco.
Qual è la tua giornata-tipo? Hai dei riti particolari quando crei?
Mi piace molto dipingere e scolpire in silenzio. Senza musica… senza distrazioni esterne… il processo creativo è un dialogo continuo tra il cuore e la mente, e durante questo dialogo preferisco non avere distrazioni. La musica in qualche modo evoca ricordi, sposta l’attenzione da ciò che hai davanti, che dovrebbe rappresentare il presente e il futuro, a ciò che hai vissuto. È per questo che preferisco “un’arte silenziosa”: è così che vivo l’arte proiettata verso il futuro…
Qual è il tuo rapporto con l’imprevisto e con l’errore?
L’errore è alla base di ogni creazione artistica. Non esiste un’opera artistica che non contenga errori in fase di creazione. Altrimenti saremmo di fronte ad un’opera di design. Tra il bozzetto preparatorio e l’opera finita ci sono infinite opere d’arte, tante quante le immagini e le manifestazioni intermedie che si frappongono tra il momento del concepimento e l’opera finale. Il processo di creazione presuppone che l’artista si senta infinitamente piccolo davanti alla sua opera non ancora iniziata e finalmente “quasi pienamente” soddisfatto una volta che decide di chiudere il dipinto o la scultura che aveva iniziato. Questo infinito percorso di errori è alla base della sperimentazione che ogni artista deve provare durante il suo percorso.
La tua opera per il Padiglione Camerun della 60esima Biennale Arte di Venezia è all’insegna della contaminazione tra le tecniche tradizionali e il digitale. Puoi parlarcene?
Ho iniziato ad avvicinarmi all’arte digitale un po’ per gioco, un po’ per tentare di spiegare le mie opere d’arte cubiste, spesso criptiche e di difficile comprensione ad una prima vista. Nel corso degli anni ho imparato che l’arte digitale poteva avere una sua consistenza anche svincolata dall’arte fisica, a patto che il processo di creazione fosse genuino e in linea con il mio percorso artistico esattamente come lo era l’arte tradizionale. Negli ultimi mesi ho provato a fondere i due mondi, spesso intesi dai molti come mondi disgiunti, e ho capito che in realtà l’arte digitale può permettere all’arte fisica di avvicinarsi all’arte cinetica con estrema facilità. Da qui l’idea di sviluppare per la 60esima Biennale di Venezia un Abbraccio phygital, una scultura che grazie alla Realtà Aumentata passa da opera d’arte a esperienza artistica. E tutto ciò nell’ottica di voler democratizzare l’arte e renderla più fruibile. L’arte infatti spesso viene intesa come mezzo di comunicazione solo per gli addetti al settore. Invece l’arte dovrebbe poter parlare a tutti… A questo progetto di Realtà Aumentata ho voluto affiancare lo sviluppo di un Software, sviluppato grazie all’intelligenza artificiale, che permette ad ognuno di noi di scolpire il proprio “Abbraccio”, letteralmente giocando con l’opera d’arte. Un modo di vivere l’arte che quindi rende protagonista il visitatore, non più l’artista che ha concepito l’opera iniziale.
In ragione della tua inclinazione a sperimentare, sei stato accostato ai Futuristi. Ti ritrovi in questo paragone?
Beh, certamente il fatto che per i “futuristi” l’arte dovesse in qualche modo stupire, colpire e divertire è sicuramente un elemento di vicinanza con la mia arte. Il Futurismo, in particolare quello italiano, ha “sfornato” dei veri e propri talenti. Rimango sempre affascinato dagli studi di Boccioni come scultore, da quanto l’artista materico che c’era in Boccioni fosse sia così contemporaneo tutt’oggi, a distanza di così tanto tempo…
Di recente, proprio come i Futuristi, hai pubblicato un manifesto. Precisamente un “Manifesto di Arte Democratica”. Di che si tratta?
Come prosecuzione del lavoro artistico che ho portato avanti negli ultimi anni, la pubblicazione di un “Manifesto di Arte Democratica”, il primo della storia, mi è sembrato il passaggio più logico. Come forse saprai, ho iniziato a maturare l’idea che l’arte dovesse avere scopi legati alla sostenibilità già nel 2015, con la realizzazione dell’opera intitolata ReArt, realizzata con materiali di scarto e nata principalmente con la finalità di valorizzare i rifiuti urbani come opera d’arte. Mi sono poi confrontato con i concetti di inclusione e superamento delle barriere, prima culturali (con le prime opere dell’Abbraccio – 2015 e 2016), poi fisiche (con la realizzazione nel 2017 della Bocca dell’Etna E Version, la prima opera d’arte per persone affette da Sindrome di Dalton). Sono quindi passato attraverso l’esperienza del Web3 e del Metaverso, e lì ho capito chiaramente il valore che può avere il possesso universale dell’opera d’arte rispetto alla proprietà univoca della stessa. Quest’anno alla Biennale di Venezia ho presentato un progetto legato all’intrattenimento artistico e al concetto che un’opera d’arte può anche diventare parte fondamentale del processo di apprendimento artistico attraverso il gioco. L’Abbraccio Phy Version infatti è un’opera che non solo va vista ma va vissuta…. Questa via mi ha portato a scrivere 10 semplici punti che classificano un progetto di arte democratica. Il “Manifesto di Arte Democratica” vuole essere uno strumento guida per tutti coloro i quali vogliono provare a dare alla propria arte, sia essa pittorica, scultorea, musicale, letteraria, poetica, una visione più ampia rispetto al semplice esercizio di stile finalizzato solo al piacere estetico. L’arte non è più il fine ma il mezzo per trasmettere un messaggio più ampio di democrazia.
Pensi che gli artisti siano ancora in grado di incidere, positivamente, sul reale?
Più avanza la tecnologia e l’intelligenza artificiale, e più l’artista diventa una figura centrale e nodale del mondo in cui viviamo. Una figura che in qualche modo è sempre più l’unica capace di scrivere frasi emozionanti nel libro della storia. L’artista infatti oggi non è più chiamato a rappresentare in maniera fotografica il mondo che lo circonda, come magari poteva essere richiesto ad un artista rinascimentale. L’artista oggi è la cartina di tornasole del cambiamento, colui il quale osserva il mondo e lo descrive con la sua poetica.
Qual è il tuo atteggiamento verso lo spirituale?
Ognuno di noi vive il mondo spirituale in maniera personale. Spesso la religione ci dà una chiave di lettura, ma quello che effettivamente viviamo dentro di noi è qualcosa di assolutamente personale.
A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai?
Diciamo che sono diversi i progetti cui sto lavorando… posso rivelarne solo qualcuno… ad esempio, in questo momento sono focalizzato sullo studio cinetico dell’arte, sulla trasposizione phygital di alcune sculture fisiche. Mi diverte molto l’idea che l’arte fisica inizi a muoversi, che diventi intrattenimento e divertimento, all’insegna di un’arte democratica e popolare.