Chiuso, riservato, negli ultimi decenni di vita ha dedicato alla pittura i momenti migliori, realizzando opere in cui una geometria perfetta – Angelo Guastella era anche un architetto – è la gabbia in cui i sogni, piccoli uccelli variopinti, intonano struggenti melodie. Raccontano di feste passate, in cui scorreva vino a fiumi, di cui sono rimaste, per la gioia dei ragni, che ne approfittano per tessere legacci micidiali, solo un manipolo di bottiglie impolverate, vagamente morandiane, cui si accompagnano, giusto per comprendere che si tratta di un sogno, una scala sospesa nel vuoto, uno specchio e una finestra, da cui si intravede in lontananza una casa su una collina circonfusa di palme. O ancora un vicolo aperto come gambe di donna, su cui si affacciano palazzi inaccessibili; al centro, smarrito, un ragazzo che si è da poco alzato da una sedia lasciandola vuota e cammina lento verso l’orizzonte, in cui si intravede, in un’atmosfera alla De Chirico, un’automobile che attraversa la strada, e una casetta isolata, una luna piena: figure, queste ultime, decisamente femminili, materne, in forte contrasto con l’automobile in corsa; quasi un romanzo di formazione, con il giovane, che ci dà le spalle, e in cui possiamo quindi indentificarci, posto innanzi a un bivio esistenziale: quale via scegliere, la famiglia, la piccola casa sulla collina, o il viaggio radente, a cento all’ora, verso mondi sconosciuti? Un viaggio che in un’altra tela, dove un nudo femminile è prigioniero di una bottiglia, si tinge di erotismo, con bottiglie erette qua e là – una, pressoché al centro, ha la forma di un pene – colline dalle morbide forme femminili e una farfalla in cielo, dalle ali spalancate, che richiama una vagina. In un altro dipinto, una serie di oggetti di fattura popolana, contadina, sono raccolti sotto la luna in un magico cerchio. Che mai staranno sussurrando? Forse qualche leggenda sanguinaria, una di quelle che i nonni ci narravano da piccoli che, anziché farci addormentare, ci lasciavano inquieti, con gli occhi spalancati. Le storie, proprio come i sogni, sono infinite. Fioriscono nei luoghi più impensati come una stanza vuota con la solita scala di Giacobbe e un orologio a lancette che, almeno due volte al giorno, ha ragione più di qualsiasi altro.
Angelo era convinto che la vita fosse un sogno. Ora che si è svegliato, gli auguro di sperimentare a pieno tutto ciò che, in questa terra polverosa, ha soltanto immaginato.