Chi si occupa di arte lo conosce da anni. Le sue dirette, i suoi interventi scritti, i giudizi trancianti sugli artisti, con tanto di nome e cognome, sono diventati un’abitudine, cui sarebbe doloroso rinunciare. Sto parlando, ovviamente, di Luca Rossi, l’artista uomo comune che, celando come Banksy la propria identità, si è eletto coscienza critica dell’arte contemporanea. Il dialogo che segue, senza soffermarsi più di tanto sul segreto del suo nome, in cui anzi rinvengo un’efficace metafora della coscienza collettiva e della rete globale, sintetizza i punti salienti del Luca Rossi pensiero. Con tanto di pronostico sulla prossima Biennale.
Effetto bagnato
Lo spettacolo deve continuare. E le rassegne più importanti come le Olimpiadi o i monumenti più noti come il Partenone, di recente sottoposto a un discusso adeguamento, ne pagano le spese.
Hanno ucciso l’uomo ragno
Arte pubblica sì, arte pubblica no. Una riflessione su alcune recenti installazioni come Punto di fuga di JR. E su una mutazione antropologica in corso.
Sistematica va in pausa
Carissimi lettori e altrettanto care lettrici, la rubrica Sistematica è momentaneamente in pausa estiva. Riprenderà a indagare i nessi sistemici con la cadenza consueta a partire dal mese di settembre….
Sul lavoro interiore: Gabriele Sassone
Chiunque abbia letto o visto Henry Potter e la pietra filosofale – m’inorgoglisco per i miei riferimenti raffinati – sa benissimo che gli unicorni non si toccano: il sangue di questi animali, quintessenza del bene, dona infatti lunga vita, ma condanna a un’esistenza disgraziata. Nel romanzo di Gabriele Sassone Uccidi l’unicorno, la creatura appare al protagonista in piena notte, mentre si trova a scrivere l’intervento per un convegno in programma la mattina successiva. Un ospite importante ha perso il volo e lui è il rimpiazzo designato. Così, in uno stato di allucinazione causato dalla veglia, il delitto si consuma. Questo significa uccidere l’unicorno: rinunciare, in nome di un ingresso (dalla porta di servizio) nel mondo dell’arte, al meglio della vita. A quali condizioni? Lo abbiamo chiesto, tanto per cambiare, all’autore, che insegna Critical Writing alla Naba – Nuova Accademia di Belle Arti di Milano e collabora con Il Foglio, Mousse Magazine, Camera Austria e Flash Art. Uccidi l’unicorno. Epoca del lavoro culturale interiore (Il Saggiatore, 2020, Euro 19.00) è il suo primo romanzo.
Il teschio che ride. Colloquio con Dario Orphée La Mendola (Parte III)
Questa non è un’intervista con intervistatore e intervistato ma un libero, orizzontale scambio di vedute con Dario Orphée La Mendola, nato in occasione di Cenere, mostra itinerante sua e di Momò Calascibetta di cui sono stato il curatore, dedicata ai protagonisti del sistema dell’arte in salsa sicula. Una mostra satirica e perciò, come rivelano gli argomenti che abbiamo avuto la presunzione di trattare, decisamente seria.
Il teschio che ride. Colloquio con Dario Orphée La Mendola (Parte II)
Questa non è un’intervista con intervistatore e intervistato ma un libero, orizzontale scambio di vedute con Dario Orphée La Mendola, nato in occasione di Cenere, mostra itinerante sua e di Momò Calascibetta di cui sono stato il curatore, dedicata ai protagonisti del sistema dell’arte in salsa sicula. Una mostra satirica e perciò, come rivelano gli argomenti che abbiamo avuto la presunzione di trattare, decisamente seria. Davvero l’arte, quando non ha raccontato il potere, semplicemente non c’è stata?
Il teschio che ride. Colloquio con Dario Orphée La Mendola (Parte I)
Questa non è un’intervista con intervistatore e intervistato ma un libero, orizzontale scambio di vedute con Dario Orphée La Mendola, nato in occasione di Cenere, mostra itinerante sua e di Momò Calascibetta di cui sono stato il curatore, dedicata ai protagonisti del sistema dell’arte in salsa sicula. Una mostra satirica e perciò, come rivelano gli argomenti che abbiamo avuto la presunzione di trattare, decisamente seria.
L’involuzione del pensiero libero: Matteo Bergamini
“L’arte contemporanea sembra aver messo da parte i temi universali dell’esistenza e della spiritualità, ma anche quelli di una oggettiva critica sociale, e della ricerca di verità”. E ancora: “L’arte, nel 2020, ha seguìto i passi del giornalismo mainstream, associandosi a movimenti politici e ponendosi come propaganda visiva, auto-annullando al sua capacità di poiesis, di creazione poetica, di sguardo dell’altrove”. Basterebbero questi frammenti de L’involuzione del pensiero libero. Arte e giornalismo all’epoca del non detto di Matteo Bergamini (Postmedia, 2021, euro 12), che deduco dalla quarta di copertina, per intendere il suo spirito “incendiario”. Discuterne a tu per tu con l’autore – critico, giornalista, curatore e direttore responsabile di exibart – era il minimo che potessi fare.
Contro la cronaca: Vincenzo Cascone
Come ha risposto la street art alla pandemia? Con ironia, ma anche nel modo più banale. Le strade di tutto il mondo sono state intasate da donne in grembiule e mascherina, baci negati, Ultime Cene con l’aria – la distanza – tra i commensali. Persino la Girl with a pierced eardrum di Banksy, in un’inedita rivisitazione dei braghettoni di Daniele da Volterra, ha subito un ritocchino stile Covid 19. In tanta partecipazione creativa, reale e virtuale, la rassegna ragusana Bitume ha costituito una piacevole eccezione (qui una mia recensione https://segnonline.it/un-bellissimo-novembre-la-fabbrica-di-bitume-diventa-museo/). Sotto la direzione artistica di Vincenzo Cascone, già noto per aver ideato FestiWall, manifestazione di muralismo svoltasi sempre a Ragusa per quattro edizioni, oltre 30 artisti internazionali hanno lasciato il segno in una fabbrica abbandonata, realizzando, secondo Artribune, il miglior progetto di riqualificazione urbana del 2020.
Da che arte stai? Luca Beatrice
Il politicamente corretto vi deprime? Nostalgia di posizioni nette e battute spigolose? Niente paura: i libri di Luca Beatrice (l’ultimo Da che arte stai? è appena uscito per Rizzoli) o, se preferite, quattro chiacchiere con lui su Segnonline, sono la giusta soluzione.
Una disubbidienza attiva: Giuseppe Stampone
A chi lo interroga sulla natura del suo lavoro, Giuseppe Stampone risponde di solito di essere una “fotocopiatrice intelligente”: le sue immagini, infatti, sono tratte da Internet, o appartengono al patrimonio dell’arte universale. E tuttavia, in ragione del porsi come copie “meditate”, procedono a un simbolico ribaltamento del reale. Disegnate con una biro, il cui inchiostro ha la stessa densità della pittura ad olio, riscattano, attraverso la lentezza esecutiva, la dipendenza dalla fonte, rivendicando una “disubbidienza attiva” rispetto ai tempi brevi della globalizzazione. I temi? L’alienazione, il colonialismo, la spettacolarizzazione dei rapporti, il dramma dell’emigrazione. O, come nel nostro ultimo colloquio, le conseguenze della pandemia.
Lo specchio infranto
Omero è uno schiavista, e il bacio del principe a Biancaneve non è consensuale.
La sete
“Ho così tanta sete che è come se dentro la mia bocca ci fosse una città d’estate”, ha detto mio figlio dopo il giro in bicicletta nel cortile di casa con cui abbiamo terminato la giornata. Anch’io ho sete: di arte. E, nell’attesa che i musei rientrino a regime, sono diventato un lettore compulsivo.