Sei un maestro nella pittura ad acquerello. Che cosa ti attrae di questa tecnica?
Non mi considero un maestro dell’acquerello, ciò che mi sembra importante è la consuetudine che ho intrattenuto con questa tecnica, cui mi dedico da oltre quattro decenni. Se mi si chiede cosa mi ha attratto o cosa ha creato un rapporto così duraturo, credo si tratti della relazione tra le mie origini orientali e l’acqua, gli elementi cartacei coinvolti. L’acqua ha un suo mistero; passada uno stato all’altro senza che noi ce ne accorgiamo. Quanto allacarta, in Oriente siamo soliti dire: “i bambini sono puri come la carta bianca…”.
Come sei solito procedere, realizzi dei bozzetti prima di accingerti al lavoro?
Tanto tempo fa, negli anni della mia formazione, facevo molti schizzi. Al giorno d’oggi accade spesso il contrario; dipingo alla prima su un foglio di carta bianca di grande formato, o schizzo strati su strati su un foglio bianco e poi osservo la superficie, vedo cosa mi offre, e prendo ciò di cui ho bisogno.
L’acquerello è stato praticato a vario titolo sia in Oriente sia in Occidente. Potremmo leggere la tua arte come un ponte, un legame tra questi due poli?
Il pubblico potrebbe leggere la mia arte come un ponte tra Oriente e Occidente? Non lo so e non ci penso. Credo che il modo in cui il fruitore si accosti al mio lavoro sia affar suo; non posso, e non voglio, influenzarlo. Dipende interamente da lui. I fruitori devono essere liberi di trovare nelle opere il loro significato.
Chi sono i tuoi maestri, gli artisti che ammiri o che hanno influenzato il tuo percorso?
All’epoca in cui parlavo con lui, il mio insegnante era un importante pittore cinese della scuola del Sud. Il suo nome è Zen Bu Zhing. È stato lui a “coltivare” me e il mio lavoro dall’inizio e oltre. Le figure più influenti e che più ammiro sono i contemporanei: Hans Hartung, Pieer Soulages, Marino Marini e Zoran Mušič. In America ammiro Leon Golub e Mark Rothko.
L’acquerello è sovente legato alla dimensione del viaggio: le tue opere cambiano a seconda dei contesti con cui entri in contatto o sono, piuttosto, visite sempre diverse al medesimo luogo: il tuo mondo interiore?
Credo che ci siano sempre entrambi, l’esterno e l’interno, le influenze esterne e l’insistenza interna. O per meglio dire “ciò che è” (l’esterno) e “ciò che riguarda” (l’interno). Quest’ultimo è forse più appropriato per un lavoro figurativo.
Prediligi, correggimi se sbaglio, le ambientazioni notturne: quale è il tuo rapporto con il buio?
Questa è una domanda interessante per me. Non credo di preferire le ambientazioni notturne, piuttosto preferisco che il lavoro non sia così simile a un normale acquerello. Questo perché l’acquerello è stato visto troppo spesso come uno studio preparatorio, dimenticando che può essere l’esatto contrario. Credo che la mia pratica riguardi la realizzazione di un “lavoro”, non di uno schizzo. Il lavoro è un risultato sviluppato sia a livello mentale che fisico, contiene strati di pensieri, coinvolge anni di esperienza pratica. E dovrebbe portare con sé tutto questo. Inoltre, come artista, miro a ricercare l’intelligenza umana, non l’”intelligenza di strada”, cioè l’espediente. Forse tutte queste riflessioni mi hanno portato al lato oscuro, o più oscuro dell’apparenza della facile improvvisazione nel fare arte.
Una tua serie passata fa esplicito riferimento alla caduta delle Torri Gemelle. Quale ruolo ha l’artista in un mondo sempre più dominato dalla violenza e dall’odio?
Il ruolo di un artista che vive nel mondo di oggi, di un individuo creativo che abitata quel regno della consapevolezza che è lo stato mentale di New York. È l’onestà dell’individuo creativo consapevole che attraversa questi casi tragici, che porta alla contemplazione del dolore attraverso l’arte e che da lì riconosce nuovamente la vita umana e il suo significato. Anche a un diversolivello di pensiero, l’acquerello proviene dal background di documentazione delle utopie sperimentate (la mia precedente esperienza di vita in Australia). Al giorno d’oggi tutte le utopie dell’umanità sono state sperimentate, e i conflitti sono una costante. Il 3 settembre 2001, dovevo volare a Salisburgo, in Austria, per una mia residenza d’artista; naturalmente non potevo lasciare l’America in quel momento, e due settimane dopo, l’Austrian Airlines mi chiamò per chiedermi se potevo cedere il mio posto a delle persone bloccate in aeroporto, perché alcune di loro erano malate, o a corto di soldi… Ho lasciato il mio posto aloro, e sono arrivato con due settimane di ritardo alla mia residenza nella fortezza di Salisburgo… Per queste esperienze che ho vissuto nella città di New York, posso solo essere onesto con ciò che è accaduto e rappresentare il dolore delle persone coinvolte. Allo stesso tempo credo che l’osservazione della nostra vita, qualsiasi cosa si possa ottenere guardando a ciò che ci succede, più che la ricerca della novità a tutti i costi, possa condurre l’opera sul fronte opposto del piacevole o dello sdolcinato.
L’acquerello nasce, storicamente, dalla contemplazione della natura. Che cosa, a tuo avviso, la natura ha da insegnarci?
Personalmente, vorrei coinvolgere l’acquerello, storicamente visto come un mezzo “leggero”, nelle questioni “pesanti” del nostro tempo, l’opposto della luce e della pesantezza che potrebbero consumarsi a vicenda nello stato ideale. Come ha scritto Eli Siegel, “Tutta la bellezza è un fare degli opposti…”.
A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai?
Vorrei dedicarmi al lavoro su carta e alla sua permanenza. Poiché il lavoro su carta è stato visto come un mezzo secondario. Come artista che si impegna da quaranta anni in questa pratica, non posso permetterlo, vorrei far sì che la gente, l’Europa rivalutasse il lavoro su carta, così come il mio impegno nel difenderlo.
