La Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto in versione maxi a Napoli (Foto Pietro Marino)

Venere in Paradiso

Alle 5.30 del 12 luglio le fiamme divorano la Venere degli stracci extralarge di Michelangelo Pistoletto collocata a Napoli in Piazza Municipio, di fronte il molo Beverello, in occasione della rassegna Napoli contemporanea 2023. L’istallazione era uno dei tanti eventi programmati per celebrare il novantesimo compleanno dell’artista.

Ricordate la storia della morte di Eracle? A me è venuta in mente leggendo, non senza sgomento, delle fiamme che, ieri l’altro, hanno bruciato la Venere degli stacci di Michelangelo Pistoletto. Nel mito classico, l’eroe muore per mano della moglie Deianira che, ingannata da Nesso, gli fa indossare una camicia bagnata del sangue del centauro, lo stesso versato dall’eroe: qualora Eracle avesse indossato quella camicia, essa si sarebbe attaccata alle sue carni sino a straziarlo di dolore. Deianira, però, non lo sapeva. Era convinta che la camicia servisse a tenere Eracle lontano da altre donne; il che effettivamente è stato, ma a quale costo? C’è sempre un prezzo da pagare. Un prezzo che, in questo caso, coincide con la vita. Eracle muore, se così si può dire, per autocombustione: si getta su una pira. E, dissolta per intero la sua mortalità, ascende in cielo.

Ora, in che senso l’atto di ignobile violenza sulla Venere di Pistoletto ha qualcosa a che spartire con la morte di Eracle? Si tratta, con ogni evidenza, della mano criminale di un amante: della Venere come della città. Perché mai, si sarà detto l’incendiario, una delle patrie della Transavanguardia, della performance, dell’arte concettuale dovrebbe essere bruttata da scempi come questo? Intendiamoci, nessuno si sogna di criticare un lavoro storicizzato quasi quanto l’Orinatoio di Duchamp. È che, come l’Orinatoio in piazza, l’installazione a Napoli cambia significato: da critica artistica diventa atto politico. O meglio, diventa ostentazione politica di un gigantismo che soffoca ogni tensione innovativa. Trasformata in feticcio da un potere culturale che, per perpetuarsi, non esita a spacciare il moderno per contemporaneo, ritorna alla sua origine: si fa merce avariata, rifiuto da rottamare. Certo ci sono modi legali per liberare le piazze dai rifiuti e lasciare spazio al nuovo. Ma l’amore è cieco, e al cuor non si comanda. Auguriamoci che, consegnati alla legge i colpevoli, l’anima di Venere possa, finalmente, tornare in Paradiso: vale a dire in quei musei da cui, per fortuna nostra e loro, gli altri esemplari del lavoro non si sono mai spostati.

Ps. Il colpevole del rogo è stato identificato. Era un clochard di trent’anni. Le indagini in corso ne chiariranno tasso alcolico e intenzioni. Solo una raccomandazione: non rimettete la Venere in quel posto. Gli dei parlano agli uomini nei modi più impensati: i roghi, le catastrofi non sono punizioni. Sono solo avvertimenti che, purificandoci da ogni tracotanza, ci rendono più vicini all’infinito.

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