Conoscendo la genesi della pittura astratta e realista si può dire che Guttuso non è appartenuto a nessuno dei due stili. Infatti il pittore astratto si attiene alle regole della pittura come fa il pittore realista, pena il non essere considerato un bravo pittore. Guttuso, invece, pur avendo attraversato l’esperienza dell’astrattismo per poi passare al realismo, non si è mai servito pedissequamente delle regole, cosicché la sua pittura apparentemente realista, non lo è, a meno che non lo si voglia considerare un cattivo pittore.
Per chiarire meglio questo concetto mi rifaccio al percorso di Guttuso, ma potrei dire anche a quello di Picasso che meno timidamente ha fatto il suo stesso percorso; un percorso per intenderci, senza regole, per quanto sia possibile, e che solo un grande artista può intraprendere. D’altronde questa è l’unica strada per entrare nella storia dell’arte, le altre, se hanno una meta, di sicuro non è quella di passare alla Storia.
Nasce così nel secondo dopoguerra la pittura neorealista di Renato Guttuso.
A questo proposito Alberto Moravia, riferendosi a Guttuso, settant’anni fa scriveva: “Diciamo subito che l’esistenza di un modo siffatto, giustificato e confermato da una adeguata forza espressiva, sono la prova dell’unicità di Guttuso artista; quell’unicità insostituibile e inequivocabile propria all’arte che è sempre un fatto individuale e particolare prim’ancora che universale e collettivo”.
In questo modo penso di avere chiarito il ruolo dell’artista, che non è quello di sapere dipingere e nemmeno di applicare le regole della pittura con parsimonia, due pratiche molto legate al periodo accademico.
Riferendosi sempre agli anni Cinquanta, scriveva ancora Moravia: “Il mondo moderno è rovinato e profondamente turbato, senza alcuna eccezione, e domani si guarderà al nostro tempo come ad uno in cui l’umanità discese ad uno dei livelli più bassi della sua storia, come all’epoca della Guerra dei trent’anni, per esempio. Gli artisti rispecchiano nelle loro opere e, spesso, ahimè, nelle loro mediocrissime persone, questa crisi del mondo moderno”.
Orbene, mi domando, tra altri settant’anni, del nostro tempo dove si incoraggia l’intelligenza artificiale a fare arte, cosa avranno da dire le nuove teste pensanti, senza prostrare l’animo sensibile dei poeti?