Fotografia concettuale

“Si dipinge col cerviello et non con le mani”. Così Michelangelo in una sua lettera: una riflessione che azzera almeno un secolo di discussioni sull’arte “pensata”. Interpretando, stavolta, un sonetto del celeberrimo autore, Andrea Guastella dice la sua sulla cosiddetta “fotografia concettuale”.

“Non ha l’ottimo artista alcun concetto / c’un marmo solo in sé non circonscriva / col suo superchio, e solo a quello arriva / la man che ubbidisce all’intelletto”. 

Ricordate il sonetto del grande Michelangelo? Potremmo metterlo in prosa, pressappoco, così: “L’ottimo artista non ha alcuna idea che il solo marmo non racchiuda già in sé con ciò che ha di superfluo, e solo al ‘concetto’, vale a dire alla forma perfetta, perviene la mano che obbedisce all’intelletto. 

La mano cui allude Michelangelo è ovviamente quella, armata di scalpello, di chi incide la pietra, e il marmo è il blocco su cui essa si avventa; e tuttavia l’immagine – Michelangelo parla di artista in genere – si adatta anche al fotografo. Persino a quanti cercano il “momento decisivo”. 

La loro scelta di una data inquadratura, o delle soluzioni di sviluppo, non nasce forse da una precisa riflessione? 

In questo senso il marmo è esemplare dell’oggetto con cui ogni artista si confronta. È duro, resistente, non si lascia piegare facilmente. Proprio come la realtà: “Il mal ch’io fuggo”, prosegue Michelangelo rivolgendosi all’amata, “e ’l ben ch’io mi prometto, / in te, donna leggiadra, altera e diva, / tal si nasconde; e perch’io più non viva, / contraria ho l’arte al disïato effetto. / Amor dunque non ha, né tua beltate / o durezza o fortuna o gran disdegno, / del mio mal colpa, o mio destino o sorte; / se dentro del tuo cor morte e pietate / porti in un tempo, e che ’l mio basso ingegno / non sappia, ardendo, trarne altro che morte”. 

E cioè: “Il male da cui fuggo, e il bene che ricerco, / donna leggiadra, altera e divina, / si nascondono in te e, per condurmi alla morte, / la mia arte non giunge all’effetto che mi aspetto. / E del mio male, del mio destino, della mia cattiva sorte / non hanno colpa Amore, o la tua bellezza, / o la durezza del tuo cuore; / se in esso porti, allo stesso tempo, la pietà e la morte, / e la mia povera mente non sa, / pur ardendo, trarne altro che morte”. 

Michelangelo, in altre parole, si lamenta di non riuscire a togliere, insieme al “soverchio”, il male della donna, lasciando solo il bene. 

La natura della donna – cioè dell’arte, che è donna, in latino “domina”, padrona dell’artista – va sempre interpretata. 

È per questa ragione che, sia che traffichi instancabilmente con gli specchi e le luci del suo teatro di posa, sia che rimanga ore ed ore in attesa di un evento, sia che punti tutte le carte sul dopo, sulla postproduzione, come accade assai spesso con le foto digitali, non c’è un solo “ottimo artista” che non sia “concettuale”.