La Sistematica è un “Ramo delle scienze biologiche che si occupa dello studio e dell’identificazione delle relazioni tra esseri viventi e fossili e rappresenta tali relazioni in sistemi gerarchici che, a loro volta, ne costituiscono la classificazione” (Enciclopedia Treccani). Questa rubrica di Andrea Guastella non riguarda tuttavia gli eucarioti, ma il Mondo dell’arte descritto come sistema (Lawrence Alloway, “Artforum”, 1972), e non ha alcuna pretesa di elaborare tassonomie. Si propone, questo sì, di indagare le relazioni sistemiche – “Qual è il significato e la funzione culturale, sociale ed economica dell’arte figurativa nella situazione attuale? Qual è il rapporto esistente fra valore estetico e valore economico in una società in cui anche la produzione artistica tende ad essere connotata e condizionata ormai in forma sempre crescente dal mercato e dalla moda? In che misura l’attuale interazione organica fra la rete internazionale delle gallerie e quella dei musei, che caratterizza il mondo dell’arte contemporanea al suo livello più alto, incide sulle modalità creative degli artisti e su quelle della fruizione da parte del pubblico?” (Francesco Poli, Il sistema dell’arte contemporanea, Laterza, 2009), e si dovrebbe continuare – attraverso la viva voce dei soggetti interessati: critici, collezionisti, galleristi, curatori. Persino gli artisti, se si comportano bene, hanno diritto di parola.

Luigi Citarrella

Alla ricerca di un ideale: Luigi Citarella

“L’archeologia non sarà più studiata nei marmi o nei bronzi, ma sopra i corpi stessi degli antichi, rapiti alla morte, dopo diciotto secoli d’oblio”. Così dichiarava ormai due secoli fa Giuseppe Fiorelli, l’archeologo che, a Pompei, anziché saccheggiare le tombe in cerca di preziosi, organizzò gli scavi in modo sistematico e soprattutto ebbe un’ottima pensata: prendere i calchi dalle vittime dell’eruzione del Vesuvio. La sua intuizione era semplice e geniale; consisteva nel colare gesso liquido nel cavo lasciato da uomini e donne intrappolati dalla cenere vulcanica. Quando il primo corpo venne alla luce, dovette dominare lo sgomento: quasi tutti gli abitanti di Pompei erano infatti morti rannicchiati, come per proteggersi, in posizione fetale, o recavano piuttosto arti contratti da violente contorsioni. Il calco evocava la realtà. La rendeva leggibile, evidente, sebbene sviluppata in superficie: la materia, una volta perduta, non si può recuperare. È questo, a pensarci bene, l’assillo di chiunque realizzi una scultura. Un assillo risolto, nell’opera di Luigi Citarrella, attraverso un processo di astrazione: come forme scampate all’eruzione di un vulcano, le sue statue bianche, dalla superficie sovente scabra e respingente, rappresentano uomini, donne, “ragazzi di vita” spaesati come i luoghi da cui sono sottratti: i colori sono rimasti lì, nelle strade colme di odori, di rifiuti e di carcasse abbandonate; strade in cui la vita fermenta, ma a patto di non sconfinare, di non passare il recinto in cui il potere trionfa, limitando le aspirazioni degli ultimi e dei diseredati. Grazie al lavoro di Luigi, il bimbo sulla Vespa, la ragazza dalla testa di motore assediano, con il loro silenzio, il nostro campo visivo. Non hanno apparenza né bellezza per farsi desiderare: non sono forme pure, oggetti di contemplazione. Sono soltanto corpi vuoti, involucri strazianti: alla ricerca di un Ideale.

La tela di Penelope: Silvia Scaringella

Tra il novembre e il dicembre dello scorso anno, presso la Sala Kounellis di Palazzo Belmonte Riso, sede del Museo Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo, si è inaugurata “Senza titolo”, installazione temporanea di Silvia Scaringella a cura di Andrea Guastella. L’istallazione – una serie di teli dipinti a inchiostro giapponese di misura modulabile disposti al suolo su binari sfalsati – si è accompagnata “alla grande installazione di Kounellis di palazzo Riso, tra la pesantezza degli armadi poveri, comuni e rudimentali, e la leggerezza nell’essere sospesi: un contrasto, uno scontro tra equilibrio e gravità da cortocircuito visivo” (Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona) che ha creato artificialmente l’“ombra” degli armadi di Kounellis e ha costituito il palcoscenico ideale per una performance di danza di Noemi Crocilla e Giulia Tartamella, con la regia di Salvo Agria. Ne abbiamo discusso con l’autrice che, come ha scritto Claudio Strinati,“vive in sé questa esperienza di condivisione tra arte e scienza che ha assimilato sin dai suoi esordi probabilmente guardando con appassionato acume certi suoi grandi predecessori come Cornelis Escher e, più direttamente a lei vicino, Renato Mambor, da cui ha dedotto un afflato creativo attraverso il quale rielabora, ripropone e radicalmente trasforma un tema ormai profondamente sedimentato nelle nostre coscienze, quello della donna artista che predilige in modo assoluto la plasmazione della materia secondo uno spirito di vera e propria capacità e volontà generatrice. Uno spirito che non può non essere pensato come peculiarità assoluta femminile”.

Arte e politica: Corrado Gugliotta

In un suo libro recentemente ristampato, Artecrazia. Macchine espositive e governo dei pubblici (DeriveApprodi, 2021, euro 20), Marco Scotini rileva come “l’esponenziale proliferazione di esposizioni di arte contemporanea e biennali dedicate alle tematiche ecologiche, di gender e, adesso, questioni di razza, in modo da mostrare un’emancipazione progressista, dovrebbe essere intesa in termini di un processo di pacificazione (anti-conflittuale) e artwashing che tende solo a ristabilire l’arte come un sistema autocratico di capitale, funzionale alla riproduzione di gerarchie sociali e al mantenimento dell’ordine”; l’arte contemporanea, anzi la sua presentazione in realtà sistemiche, non sarebbe insomma solo il riflesso del reale, ma un modo per rendere accettabile la ingiusta divisione dei beni e dei ruoli che lo contraddistingue. Stando così le cose, realizzare mostre pubbliche equivarrebbe a correre sul filo del rasoio. Fortunatamente Scotini, in vitale contraddizione con sé stesso, continua a lavorare. E lo stesso vale per Corrado Gugliotta, gallerista impegnato se mai ve ne fu uno, che ha fatto della sua impresa – la galleria Laveronica di Modica, dove appunto è in corso una rassegna curata da Scotini – un punto di riferimento imprescindibile per chi intenda affrontare il binomio arte-politica nella sua articolazione di pratiche artistiche, documentaristiche e di militanza attiva.

Il capitale umano: Andrea Bartoli

Non stare passivamente ad aspettare che qualcuno ti finanzi, ma immaginare, sulla base delle risorse disponibili, possibilità di riuso, facendo leva in primo luogo sulla più preziosa: il capitale umano. È questo il segreto di Andrea Bartoli e Florinda Saieva, rispettivamente notaio e avvocato: coppia di coniugi dell’agrigentino che, in dodici anni di lavoro “matto e disperatissimo” ma, a giudicare dai loro sorrisi, estremamente gratificante, sono riusciti a rivitalizzare il centro della città di Favara, privo di abitanti e abbandonato al suo destino, attraverso la Farm: percorso verso il futuro in cui l’arte e l’architettura giocano in prima squadra, determinando un concorso di energie che va ben oltre il contesto locale. Oggi la Farm è esperienza paradigmatica di come luoghi votati alla bellezza e alla cultura siano rinati, e abbiano affidato ai quattro venti i loro semi. Abbiamo ripercorso le tappe salienti di questa grande avventura in una conversazione senza peli sulla lingua con Andrea, soffermandoci in particolare sui fatti più recenti, come l’espansione della Farm a Mazzarino.

Giuseppe Veneziano

Icona Pop. Giuseppe Veneziano

Incorreggibile distratto, i nomi sono da sempre la mia croce: scrivere Daniel anziché Damien (Hirst) o Bansky anziché Banksy, è il minimo che mi possa capitare. Lo stesso mi succede col pittore Veneziano: per tutti, Giuseppe; per me, Domenico. Sì, Domenico come l’artista rinascimentale che, emigrato a Firenze, provò a unire il cielo con l’inferno: il colore dei fiamminghi e la crudele prospettiva. In questo caso, però, la mia colpa è veniale. Come Domenico, Giuseppe, sicilianissimo a dispetto del cognome, ama citare i grandi del presente e del passato, contaminandone i soggetti e persino gli stili. Il tutto all’insegna di un Pop che, per quanto disprezzato dalla critica ufficiale, va sempre più configurandosi quale linguaggio elettivo dell’arte contemporanea.

L’arte di domani. Emilio Isgrò

Il Seme d’arancia ingrandito e “piantato” in varie città d’Italia, a cominciare da Barcellona Pozzo di Gotto per finire a Palermo, dove l’ultimo Seme d’arancia in pietra siciliana sarà accolto il 5 marzo prossimo presso Palazzo Branciforte, è una delle opere più note di Emilio Isgrò. Che ad esso ha dedicato una Teoria del seme: in una società che tende a celebrare solo le cose grandi, che non hanno bisogno di esser replicate, il seme è quasi invisibile. Rappresentarlo in dimensioni giganti significa “segnalare una condizione di malessere che ormai sfugge completamente a chi continua a non capire (o non vuole) che la concretezza finanziaria è cosa naturalmente ben diversa dalla concretezza dell’arte e della vita” (Isgrò Seme d’arancia, Electa, 1998). Da questo punto di vista, la posizione di Isgrò non è cambiata. In questo nostro colloquio continua a scagliarsi contro l’arte “intesa come voce del bollettino di Borsa” e programmata a tavolino. Ma senza preconcetti sul presente – vedi l’apertura di credito alla prossima Biennale – e con la ferma speranza di “riaccendere le luci”, a pandemia conclusa, sull’arte di domani.

Turi Sottile

La traccia di un gesto: Turi Sottile

Dipingere, diceva Picasso, è il mestiere del cieco, di uno che non dipinge ciò che vede, ma ciò che sente, ciò che racconta a sé stesso riguardo ciò che ha visto. Negli ultimi tempi Turi Sottile la vista l’ha quasi persa realmente; ciò tuttavia non gli ha impedito di cimentarsi, a ottantasette anni compiuti, in dipinti straordinari, sovente di grandi dimensioni. Né, tantomeno, di riflettere, visto che il pittore lavora in primo luogo col pensiero, sull’arte contemporanea. Lo abbiamo intervistato in margine alla sua ultima mostra, visitabile presso il Silva Suri Museum di Marina di Ragusa sino al 12 febbraio.

In situ: Team Zona Blu

La seconda edizione di SITU Festival, progetto d’arte contemporanea all’interno di spazi sacri, ha preso forma dal 27 al 29 agosto 2021 nella cornice architettonica barocca di Militello in Val di Catania, un piccolo centro dell’entroterra siculo inserito fra i Borghi più belli d’Italia e dal 2002 patrimonio mondiale dell’UNESCO.

Fotografare il tempo: Attilio Scimone

Vi siete mai seduti a un tavolo di artisti fotografi nati in epoca analogica, prima cioè dell’avvento delle foto digitali? A me è capitato non troppo tempo fa, in occasione di una mostra di Attilio Scimone, La terra metafisica, che ho avuto il piacere di curare. La mia impressione è stata di partecipare a una cena di pittori nei primi anni di diffusione della fotografia, con alcuni innamorati del nuovo mezzo e ansiosi di sfruttarne le mille potenzialità, come ad esempio la possibilità di limitare al minimo l’uso dei modelli; altri, al contrario, preoccupati dalla concorrenza, vale a dire dalle perturbazioni di mercato determinate dall’ingresso di un competitor moderno, rapidissimo e di modeste pretese. Le novità recenti, dai cellulari ai social network, sono in effetti tali e tante da richiedere un’attenta riflessione. Che abbiamo provato a formulare con Attilio il giorno dopo, ad animi placati, non sulla base di teorie astratte ma della sua esperienza artistica e professionale.

Il curator dei curatori: Francesco Piazza

Vincenzo Monti si era visto affibbiare da Ugo Foscolo questo sapido epigramma: “Questi è Monti poeta e cavaliero / Gran traduttor dei traduttor d’Omero”. Appellativo, a pensarci bene, non proprio benevolo, ma rivelatore di una pratica essenziale per chiunque intenda tradurre un testo: confrontarsi con le traduzioni dei colleghi. Ora, applicare lo stesso schema alla curatela artistica, cambiando per giunta l’oggetto della cura, non è affatto scontato. Francesco Piazza, infaticabile fautore di trame trasversali, è uno dei pochi ad esserci riuscito.

Devozione alla bellezza: Antonio Presti

Quando il diavolo ti lusinga, diceva mio nonno, vuole l’anima. Quando, in altre parole, il sistema che hai combattuto per una vita ti sostiene, è giunto il momento più difficile: quello in cui l’ego rischia di vincere sull’amore per la libertà. Antonio Presti questa prova l’ha superata, e non da ora. Dopo tre attentati, e un ventennio di processi per il presunto abusivismo di Fiumara, nessun riconoscimento – neppure la nomina (rifiutata) ad assessore alla cultura, ai tempi di Crocetta, nella giunta siciliana – è riuscito a incrinarne la “devozione alla bellezza”. Che anzi si esprime, a dispetto di critiche recenti quanto fuori tempo massimo, in forme rinnovate.

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