Il boom dell’arte contemporanea iraniana e mediorientale negli ultimi anni si è sgonfiato. Cosa ti aspetti nel prossimo futuro?
Il riconoscimento internazionale dell’arte iraniana, dopo la rivoluzione, è cominciato con il cinema. I registi iraniani come Abbas Kiarostami e Mohsen Makhmalbaf che si sono aggiudicati premi internazionali e di recente Asghar Farhadi, vincitore di due premi Oscar, suscitano ancora oggi un certo interesse nel mondo.
All’inizio del 2000 un amico australiano a Teheran acquistava moltissime opere d’arte contemporanee locali. Incuriosito, un giorno gli chiesi il motivo e lui mi rispose che in Iran ci sono artisti che producono opere di grande valore a bassissimo costo. Adesso non è più così, gli artisti adesso vendono a prezzi internazionali, per questo motivo ritengo che il boom sia un po’ calato.
Ma allora si potevano comprare le opere di artisti importanti come Farideh Lashai, Reza Derakhshani, Afshin Pirhashemi, Bita Fayyazi e Maryam Salour a prezzi veramente convenienti.
Nel giro di pochi anni, quelle opere hanno avuto accesso ai mercati esteri e sono state prezzate secondo una logica internazionale. Io stesso avevo acquistato un lavoro di Reza Derakhshani a 1000 euro. Oggi lo stesso lavoro vale almeno 50 volte tanto.
Ci sono ancora artisti molto richiesti come Mehdi Ghadianloo (pittore), Parviz Tanavoli (scultore) Sahand Hesamiyan, Tala Madani che producono tanto e vendono tutto.
Ritengo però che avere tantissime richieste non fa bene all’arte. L’artista cade nella trappola del commercio, ripete sé stesso e dedica attenzione e tempo alle opere, secondo le loro aspettativa di vendita.
Da iraniano all’estero, cosa pensi di quanto accade nel tuo paese? Ritieni che l’arte riguardi solo l’estetica o che debba, piuttosto, assumere una precisa posizione sul presente?
Io uso moltissimo acciaio inox, un materiale più riflettente in paragone allo specchio. Perciò i miei lavori prendono la forma e il colore del loro ambiente. La gente si ferma davanti alle mie sculture e scatta selfie con in background decine di immagini riflesse sulle superfici riflettenti. Poi, puntualmente condividono le loro foto sui social. In questo modo i miei pannelli scultorei sono diventati uno “specchio” della realtà del paese. Basta confrontare le foto scattate 3 anni fa con le immagini delle donne tutte con foulard in testa e le foto di oggi con le donne senza velo. Le mie sculture sono molto sociali, senza pretendere di rappresentare un manifesto sociale o politico.
Se dovessi riassumere, brevemente, il tuo concetto di scultura e architettura, che cosa mi diresti?
Definire architettura e scultura è più difficile che farle. Ogni piccolo lavoro cerca di uscire dai limiti stabiliti dalle definizioni correnti. Il mio tavolo (“Black Panter”), che come dice il grande Fulvio Merolli è più una scultura che arredo, non solo vuole uscire dai suoi limiti disciplinari ma sembra scappare letteralmente dal posto dove sta! Il tavolo è uno degli oggetti più statici di un ambiente. Così decisi di creare un tavolo che desse l’impressione di movimento. Per disegnarlo mi sono ispirato all’anatomia dei felini. Anche Jup sembra più un gorilla stilizzato che una sedia da tavolo. Comunque, nonostante la sua forma sfaccettata e angolare, è molto comoda, perché avevamo fatto uno studio ergonomico abbastanza accurato sui prototipi in acciaio. Quindi Jup funziona, anche se non si può dire che sia una vera sedia.
Nel 2019 ho progettato una villa per un’artista iraniana, che l’ho chiamata “un giocatolo per abitare (A Toy for Living In)”. Il progetto è stato pubblicato su DESIGNBOOM. La mia idea nasceva come una battuta al famoso concetto di Le Corbusier: “Casa: macchina per abitare”. La villa, che assomiglia più ad una tardigrada che a una costruzione, prende forma direttamente dalle funzioni volute dal cliente. L’unica differenza è che io, anziché tradurre le funzioni in linguaggio architettonico, le ho tradotte in linguaggio plastico, come se si trattasse di una scultura con delle funzioni all’interno.
A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai?
Mi sto indirizzando verso sculture da starci dentro o da attraversare, come se fossero dei minuscoli edifici. Per gli oggetti più piccoli, sto sperimentando forme più espressive e quindi credo di dover ampliare il mio repertorio dei materiali. Vorrei portare il mio lavoro all’esterno e ho già alcune richieste per sculture all’aperto.