Quando vidi per la prima volta le uova di Salvatore Cammilleri, pensai subito Questo non è un uovo. Le opere, a dispetto dell’apparenza Pop, mi ricordavano il “Disturbatore silenzioso”, come i contemporanei chiamavano Magritte. Erano, sono, una provocazione continua, un dubbio aperto sul reale. A cominciare dallo stile: i colori sgargianti, e le forme seriali, rimandano al Pop, ma i titoli contraddicono il concetto, aggiungendo un che di macabro, di cupo e sepolcrale. Altre volte il medesimo effetto è ottenuto mediante la monocromia, anzi l’assenza di colore, come negli Achromes, i panini al caolino di Manzoni, o attraverso la collocazione delle uova in sequenza, come su una rigida scacchiera: l’uovo è cibo, immagine di vita in potenza, ma, una volta scelto e lavorato dall’artista, diventa presagio di rovina.
Il Ceci n’est pas une pipe in calce alla pipa di Magritte significava soltanto che la sua non è una pipa, ma il disegno di una pipa. Il Questo non è un uovo di Salvatore non si limita a negare l’equivalenza tra somiglianza e affermazione; solleva, piuttosto, una domanda esistenziale: perché proprio l’uovo? Non sarà perché “uovo” fa rima con “uomo”? In fondo l’uovo, come l’uomo, non è una sfera: è imperfetto, come la vita umana. E come la vita umana, per la sua fragilità e piccolezza, induce al riso. Sfido chiunque a non rotolarsi sul tappeto davanti a un rilievo con sei uova dorate intitolato Erano eccellenze, o di fronte a Romeo e Giulietta, due uova in camicia col bianco in comune, o a Memento mori, un uovo che si appresta a piombare giù da un piano. E tuttavia, con Leopardi, non so se il riso o la pietà prevale. Tanto più semplice, immediata, è l’espressione, quanto più tragico è il senso suggerito.
A Salvatore – lo dimostrano i suoi titoli grotteschi – piace un gioco che io stesso, da bambino, praticavo: dire ai grandi che l’uovo alla coque non è buono, che non si ha alcuna intenzione di mangiarlo, quando tuorlo ed albume sono stati già succhiati e ciò che si offre al cucchiaino del padre, che finge a sua volta di aggredirlo al posto nostro, non è nulla più del guscio, di un vuoto simulacro. No, questo non è un uovo: è un principio universale. Una realtà assoluta come i generi e le specie, non si capisce se corporea o incorporea, se esistente separatamente, nel pensiero, oppure oggettivata in un corpo materiale; concetti intorno a cui i fantasmi di Boezio e di Porfirio, di Abelardo e di Guglielmo di Champeaux stanno ancora a discettare. Tanto più che Questo non è un uovo è un lavoro che non c’è, che non esiste. Salvatore, almeno sino ad ora, non ha mai utilizzato tale nome. Eppure, perché esista, basta condividere la sua sfrenata immaginazione, la sua ironia sferzante, il suo incredibile rigore. Basta riconoscere che le uova – uova vere – non sono quelle che egli crea: siamo noi che, dubbiosi o divertiti, tra una lacrima e un sorriso, fissiamo imbambolati i suoi lavori.