Pasquale Leccese

Antonella Marino ricorda la vicenda artistica di Pasquale Leccese, scomparso lo scorso 30 agosto, che avrebbe compiuto 66 il prossimo 3 settembre.

Sapevo da tempo che Pasquale Leccese stava combattendo il solito, tragico, “brutto male”. Era stato lui stesso ad informarmi, durante un incontro alla scorsa Biennale di Venezia, con la forza e la fiducia di chi era convinto che il peggio fosse già passato. Anche ultimamente, in un breve scambio di messaggi, aveva manifestato la sua inesauribile energia progettuale: tante le idee che bollivano in pentola e le iniziative in fase di attuazione. Ultima, annunciata a giugno, la rassegna “Posterinthecity”, con interventi artistici in spazi pubblicitari milanesi; pendant dei lavori “Appesi a un chiodo” pensati per i pazienti dell’ospedale San Paolo, sempre a Milano. Ma soprattutto il lancio delle attività del ristrutturato capannone fuori città, a Cuggiono nell’area del Parco del Ticino: a metà tra studio, galleria e luogo di raccolta della sua ricca collezione. Una nuova scommessa per un gallerista atipico, che della mobilità fisica e mentale aveva fatto la sua cifra (“Se si è irrequieti si può stare tranquilli”, amava citare). Così da cambiare periodicamente la sede della sua storica galleria Le Case d’Arte, inaugurata nel 1986 e, dopo la versione vetrina di Via Circo e il loft in zona Porta Ticinese, approdata agli inizi del 2022 nel più periferico e sperimentale quartiere di Turro. Perché, diceva, “gli spazi condizionano molto l’artista”: di qui l’invenzione di formule espositive originali, da interventi site specific sul muro, avviati con John Baldessari, alle esposizioni a cadenza e variabile, da “ogni tre mesi” a “una mostra alla settimana” che prevedeva confronti con studiosi di diverse discipline. Ma gli spazi condizionano anche il gallerista, visto che uno dei suoi progetti più bizzarri, “My New Office”, lo aveva visto trasformare momentaneamente in proprio ufficio scorci urbani banali di diverse capitali da “abitare” temporaneamente per strada, operazione di stampo situazionista-performativo documentata in un divertente libretto edito da Postmediabooks nel 2021. 

Per questo la notizia della sua scomparsa è giunta drammaticamente inaspettata. Eppure avrebbe dovuto mettermi in allarme il fatto che, per la prima volta, Pasquale Leccese quest’anno non aveva fatto capolino a nessuna delle iniziative sparse dell’estate pugliese (come il Festival dei Sensi, di cui era un habituè), che trascorreva di solito nel suo buen retiro nella campagna di Cisternino. L’ultima presenza che io ricordo da queste parti risale a un anno fa a Polignano, la località balneare frequentata da ragazzo a pochi km da Bari, dov’era nato nel 1957. Proprio qui aveva festeggiato allora il suo compleanno, il 3 settembre, facendosi uno speciale regalo: la proiezione notturna su una parete del museo Pascali del video di uno dei suoi artisti amati, il duo svizzero Fischi & Weiss, con l’immagine virale di un gatto domestico (Büsi, 2001). A conferma di un legame non scisso, sia pur ambivalente, con la sua regione. Ma anche indizio di alcune costanti del suo atipico percorso professionale: la volontà di connettere situazioni locali e contesti internazionali, la capacità di valorizzare gli spazi, il guizzo ludico nell’affrontare la vita e l’arte di chi pascalianamente interpreta il gioco come attitudine conoscitiva e la serietà di chi si impegna a non prendere il “lavoro” troppo sul serio. 

Gallerista atipico, estroso, istrionico e visionario, “giornalista, cercatore e giardiniere” e pure curatore. Ma soprattutto “compagno di strada degli artisti”, con una particolare sensibilità verso i talenti, e per certi versi lui stesso artista. Una parabola difficile da incasellare, costellata di storie e aneddoti, che lui stesso quatto anni fa si divertì in parte a raccontarmi in un rilassato incontro nella sua bellissima proprietà in Valle d’Itria, quel “trullishire” (la definizione è sua) di cui involontariamente era stato un apripista. In quell’occasione mi rivelò le modalità del suo primo, casuale “inciampo” nell’arte: “A 18 anni nel ’74, durante una trasferta a Roma, mi ritrovai ad un concerto nella galleria L’Attico di Fabio Sargentini. Dopo sei ore di musica indiana ero stanco e mi sedetti su una strana struttura allungata: dai rimproveri del gallerista scoprii che si trattava della “Colomba della pace”, il missile di Pino Pascali! Per me fu piuttosto scioccante”. È la preistoria di un percorso avviato con una prima collaborazione con la gallerista barese Marilena Bonomo e decollata, dopo una permanenza di otto mesi in Australia (“da un mio parente lontano: la meta più gettonata era Londra, ma io non avevo abbastanza soldi”) col trasferimento nell’80 a Milano, “una città di cui sentivo il fermento sotto i piedi. Lì entrai in contatto con i primi stilisti, e conobbi subito i principali artisti emergenti. C’erano poche gallerie all’epoca, ma tanta voglia di fare e un clima di fiducia: intercettando la mia energia Lisa Ponti, direttrice di Domus, mi chiese infatti di collaborare, dandomi così la possibilità di aggiornarmi, di andare spesso a New York”. È in questo contesto di intrecci tra arte e moda (“fu Versace a farmi conoscere Andy Warhol”) che, dopo un’esperienza con il gallerista Franco Toselli, nell’86 Leccese aprì appunto la sua Case d’Arte (omaggio dichiarato a Depero). E da qui inizia poi una fase di pendolarismo con Colonia, città artisticamente vivace della gallerista Monika Spruth, la potente ex moglie. Il loro è stato un sodalizio anche professionale, durato 15 anni (e due figli). Fu proprio lei, mi rivelò Pasquale, a spingerlo dopo 20 anni a riannodare i rapporti con la Puglia, con l’acquisto del complesso di trulli ristrutturati con eleganza “no frills”, rispettosa dell’ambiente e del paesaggio. Da qui sono passati tanti ospiti illustri, artisti e musicisti internazionali: tra i primi Cindy Sherman, “che con mia grande sorpresa accompagnava l’amico David: ossia David Byrne, perchè con i Talking Heads aveva un concerto in zona!”

Molti altri nomi si sono avvicendati nel tempo, talvolta lasciando tracce su un territorio che è andato via via popolandosi di una comunità non necessariamente stanziale di presenze di culturale spessore. Propiziata, Pasquale ne era convinto, anche dal carisma spirituale di Lisetta Carmi, la fotografa genovese sua grande amica che qui aveva fondato un hashram. Proprio da questa considerazione due anni fa lui si era fatto attivatore di un’inedita iniziativa editoriale, il magazine “The Egg Journal” che chiamava a raccolta le energie di artisti e intellettuali legati alla Puglia e di cui sono stati realizzati tre numeri. La capacità relazionale era del resto un’altra qualità di questo vulcanico protagonista dell’arte contemporanea. Gli era valsa l’incarico prestigioso e oneroso di direttore artistico di Miart dal 2001 al 2007 (anche se nonostante l’impegno profuso, l’intento si smuovere e compattare il sistema dell’arte milanese non ebbe risultati all’altezza delle sue attese) e di presidente dell’associazione Start Milano dal 2006 al 2012.

Ed è stata proprio questa attitudine a creare sinergie, insieme alla generosità empatica nei rapporti personali, la ragione dei profondi legami di amicizia instaurati con tanti artisti ed esponenti del mondo dell’arte (e non solo), che giustamente ora lo piangono. Ha rappresentato la sua specificità e, dal suo punto di vista, anche un limite al successo economico. Così infatti si era ironicamente auto descritto in una bella intervista sulla rivista Zero, pubblicata a marzo 2022: “Un mercante ha un talento: quello di vendere. Io non ce l’ho. Però mi sono ostinato a voler vivere vicino agli artisti, vicino all’arte e alle loro situazioni e ho dovuto fare di necessità virtù. Ovvero riuscire a capire che il talento può essere anche quello di individuare delle situazioni che hanno lo zeitgeist del momento – non da un punto di vista di vendita o meno – ma per la capacità di mettere insieme i fili di un discorso. Essere la punteggiatura in un discorso, far quadrare delle teorie, delle idee. Trovare delle finalità, delle connessioni. E su questo posso dire di aver avuto una chance”.