Rubrica settimanale di Gabriele Perretta di critica mediale: osservatorio, libri, personaggi, ri-letture, percorsi, bilanci, racconti.

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Sabotare il database di AI?

In effetti l’artificio sopraggiunge dopo un contatto con ChatGPT. La presa di coscienza di una vita artificiale alla morte fisica dell’arte, fornisce un forte sollievo a chi sogna. E non parlo solo di programmi AI, nel seguito delle mie esperienze tale stato d’animo lo ritroverò in parecchi casi. “Lottavo ancora con me stesso: da una parte v’erano ormai i messaggi di AI, la Signora Prompt e un’altro pacchetto di situazioni degeneri, compresa la convinzione di avere finalmente, e per la prima volta, oltrepassata una soglia, normalmente negata a molti; dall’altra parte ancora resta un vacillante senso di insicurezza, alimentato da corposi dubbi. Mi chiedevo, infatti, se tutto ciò fosse un prodotto della mia nuova sfera artificiale: drogata solo da piccole predisposizioni alla precognizione.

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Medialismo & AI (parte seconda)

L’addizione multimediale è più efficace dell’istantanea. Si può accelerare solo un processo che sia additivo, non ipogenerativo e non statico. Del tutto trasparente è solo l’azione del processo artistico, perché si svolge in modo puramente filler. Singole immagini e istantanee, invece, sono processi minimalisti che si sottraggono all’ accelerazione. Sarebbe un sacrilegio voler accelerare un minimalismo. Performance e spazi teatrali hanno il proprio tempo, il proprio ritmo e ciclo. La società dell’intelligenza artificiale abolisce tutte le performance e le cerimonie perché non si possono rendere operazionali, perché sono d’ostacolo all’accelerazione dei circuiti informativi anonimi, mediali e riproduttivi.

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Medialismo & AI (prima parte)

Se l’uso dell’Intelligenza Artificiale generativa in campo artistico ha aperto nuove possibilità e ha permesso agli artisti di esplorare il processo creativo in modi innovativi, è altrettanto importante il ruolo del Medialismo come tecno-sapere, che consente loro di assegnare e distribuire le opere comprendendo la loro proprietà concettuale e assicurandone l’interpretazione teorica. La convivenza con gli apparati di AI passa attraverso una presa di coscienza critica dell’essere artista e comunicatore: più siamo obbligati all’automatismo, più siamo impegnati a non divenire meccanici, a espandere la coscienza accanto alla conoscenza. Soltanto una tale presa di cognizione e resistenza, che si oppone all’agevolazione di meccanismi complessi, potrà forse evitare un indebolimento e un offuscamento del fare artistico e della stessa facoltà di senso dell’essere espressivo.

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“La massa come ornamento” [II parte]

Per la prima volta pubblicato integralmente in Italia, in una coloratissima e decoratissima edizione, la Cue Press di Imola ci fa leggere: Siegfried Kracauer, La massa come ornamento, pref. di E. Morreale e tr. it. di M. G. A. Pappalardo, C. Groff, F. Maione, S. Parisi, 2023; testo dedicato ad Adorno e uscito per la prima volta a Francoforte nel 1963. In quest’opera, divenuta ormai un classico del saggismo novecentesco, S. Kracauer offre al lettore una chiara e interessante interpretazione delle tendenze sociologiche e morali che portarono all’affermarsi della critica del moderno. In particolare, come lo stesso Adorno osserva, nel corso degli anni Venti, assai prima di Jaspers e Heidegger, Kracauer lascia intravedere un progetto esistenzialista, che per un verso capitalizza sulle frequentazioni di Kierkegaard, per altri aspetti si sviluppa grazie all’innesto di queste suggestioni sulla riflessione marxista. Ciò non deve stupire se si considera che, riferendosi proprio a quel decennio, G. Lukács parlava di una «Kierkergardizzazione del giovane Marx». Se nella valutazione di Kracauer si adotta una prospettiva genealogica, ci si rende conto di come le sue scelte critiche originino da un bilancio quasi trentennale delle contemporanee vicende biografiche.

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“La massa come ornamento” [I parte]

Per la prima volta pubblicato in Italia, in versione integrale, a cura della Cue Press di Imola, Siegfried Kracauer, La massa come ornamento, pref. di E. Morreale e tr. it. di M. G. A. Pappalardo, C. Groff, F. Maione, S. Parisi, 2023: testo dedicato ad Adorno e uscito per la prima volta a Francoforte nel 1963. In quest’opera, divenuta ormai un classico del saggismo novecentesco, S. Kracauer offre al lettore una chiara e interessante interpretazione delle tendenze sociologiche e morali che portarono all’affermarsi del moderno. Si tratta di una piccola storia psicologica, letteraria e politica della vita sociale tra gli anni ’20 e ’30 in Europa, ma ha lo scopo di contribuire in modo specifico alla nostra conoscenza della storia del Novecento. Le immagini sociologiche che Kracauer ricompone non sono né idilliache né contemplative. Su di loro si stende l’ombra «dell’ornamento del capitale» sulla «massa della vita moderna». In chiave fotografica, esse ne associano l’orrore a ciò che è da tempo accaduto. L’insicurezza crescente crea alleanze sempre più vaste e a vari livelli tra sistemi di potere metafisico-teologici e sistemi di potere consumistico: i paradisi che i due sistemi permettono non sono in opposizione, ma anzi, alleandosi, soddisfano adeguatamente tutte le aspettative terrene e ultraterrene di un’umanità sempre più posizionata e vincolata ad appagarsi di illusorie certezze ornamentali.

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«A contatto con Ambizio»

Saremo tutti pronti ad ammettere che aspetto fondamentale del cinismo sia il suo carattere di storytelling. Tuttavia questo accordo lo sosterremo in toni diversi, e le nostre conclusioni dipenderanno appunto dall’esatto tono di voce che Ambizio manterrà. Tuttavia questo accordo l’Artistar lo esprime in «acidità discordi», e le conclusioni di Ambizio dipenderanno appunto dall’esatto tono di voce dell’Oracolo. Lungo le pagine di “A contatto con Ambizio … l’io «s/narrativo» o «snarratologico» sviluppa un rapporto tra spettacolo e gestione dell’artista e, allargando il suo spazio di riflessione non solo agli elementi dell’affermazione strategica, ma anche ad aspetti inerenti alla sociologia della corruzione ed all’estetica dell’emulazione. In questa appassionata invettiva che tocca tutti gli snodi fondamentali del divismo emerge la prospettiva dell’autore (senza autorità), secondo cui la produzione artistica deve rimanere fedele alla realtà fisica, e dove i linguaggi della parola siano capaci di penetrare «il mondo che abbiamo dentro e fuori di noi».

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“De domo sua” … Il sistema che vincola e il direttore che attua (III parte)

Dal fondo delle contraddizioni dell’avere o dell’essere, il pantano apatico dell’attualità politica suggerisce i temi della catastrofe della “grande bellezza”. La lunga esperienza di un arrampicatore le accoglie e le sviluppa, collegandole a posizioni di governance, a personali memorie, a decisioni e indagini sugli Arcani dell’egoismo che, secondo Tosatti, partecipa dell’inconoscibile artistico. Una libera avventura di strumentalità e di diavolerie, in un viziato tessuto organizzativo: narrativo senza romanzo di trama, saggistico senza umiltà di interpretazione.

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“De domo sua” … Il sistema che vincola e il direttore che attua (II parte)

La burocrazia neo-concettuale è diventata ormai un apparato conservatore senza possibilità di critica. Tra chi fa “arte di regime” ci si conosce e ci si riconosce e, anziché approfondire la realtà, si partecipa a una serie di riti di appartenenza. A pensarla così è Gian Maria Tosatti, artista e autore della più flessibile e sbrindellata consorteria del sistema artistico italiano morente. Operando uno spostamento rispetto alla celebre citazione di Lucy Lippard riguardo al sistema dell’arte, il nuovo sistema organizzativo prospettato da “Tosatti & i suoi sposi” si intitola “Dentro la corporazione” (anzi, tutti dentro), uno macchina infernale che individua nel “declino dell’arte contemporanea” il nuovo strumento di controllo e di intorpidimento creativo. Le ragioni di quel ceto principescamente rappresentato da Tosatti, ben presto, divengono le ragioni assolute, in un’accezione leviatanica e “feudale” (quanto anti-feudale) di cui è massimo portavoce l’articolo pubblicato su Il Sole 24 ore di Dom. 3 sett. 2023-n.242.

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“De domo sua” – Il sistema che vincola e il direttore che attua (I parte)

Gian Maria Tosatti, in un articolo da bilancio Storico-Critico, nel titolo e nel sottotitolo recita: “Come siamo silenziosi sullo stato dell’arte. Fare & Criticare. In Italia ci sono centinaia di artisti, ma manca una pubblicistica di peso: non esiste ancora una storia dell’arte dal Duemila a oggi (ndr.: ammesso che la cronologia faccia ancora colpo e sia ancora certa …). Nello stesso periodo del Novecento si produsse una letteratura infinita” (Gian Maria Tosatti per Il Sole 24 Ore, dom. 3 sett. 2023, n. 242)”. La situazione diventa tanto più paradossale di fronte al sempre più marcato divario tra l’artistar, o quello che tende ad autodefinirsi in questo ruolo, il grande imprenditore di multinazionali, il politico – tanto per fare degli esempi – e tutti gli altri. Una situazione che ricorda gli anni della classe patrizia, contrapposta al popolo e alla piccola borghesia. “Fate molta attenzione a chi “se la canta e se la suona” nel diffondere notizie, appelli, improperi e pseudo-conoscenze. Costui, per affermare se stesso, fa spesso ricorso a ignobili tecniche persuasive “vendendosi” come il performer di turno destinato a rappresentare le sorti del sistema. Diffidate della falsa conoscenza, è tanto più cattiva dell’ignoranza.

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Saluti da “l’Air de Paris”

Nel periodo delle ferie, milioni di persone sono costrette a scattare foto, così come nel resto dell’anno sono obbligate a lavorare o individuare bellezze senza tregua, a vagheggiare un lavoro o a cavarsela dai guasti e dai malori, generati da un’attività di lavoro forzosa e quotidiana. Dunque: buone vacanze! E non affaticatevi troppo, che poi vi serviranno altre vacanze per riprendervi! Ci rivediamo, su questi schermi, all’inizio di settembre.

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Lotta tra «incendiari» e «incendiati»

Si può certo dire che ogni ideologia incendiaria ha carattere autobiografico. Ma in quel fare dove dominano la provocazione e l’insidia convenzionale, l’autocelebrazione diventa evidente; perché non si può fare dell’incendio che sopra se stessi. Appare dunque necessario, per il primo artista engagé, sostituire al paradigma del “centro incendiario” i contenuti di un “centro pieno” di sapore pubblico e accattivante, in una parola seduttivo, uscendo definitivamente dalla vulgata del “lasciatemi fare” e restituendo una forte legittimità alla “romanza” naturalista del conflitto: l’artista dell’incendio si inserisce nel “fuocherello” amplificato dell’incendiato. Siamo liberi di agire solo nell’ambito degli stracci e degli incendi di cui disponiamo, perché non si sceglie se non fra l’alternativa a noi presente (guerra, miseria, morte ecologica, crisi permanente, etc …); e in questo senso quel che sappiamo, lungi dal proporsi come qualcosa di staccato dalla scelta, in realtà ne condiziona incendio e incendiato, vittima e carnefice, artista collettivo e luogotenente degli stracci.

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Il gesto “prima e dopo” Barthes (III parte) Gesti sincr.etici & a.critici

La missione di Barthes, come quella di Carla Lonzi, si basava sul sogno di ritornare a uno stato di salute soggettivo della scrittura, uno stato in cui tutto fosse in perfetto equilibrio, anteriore alle distorsioni introdotte dalle interferenze analitiche. Ma mentre Barthes sognava di ricondurre la mente della scrittura a quello stato di confronto critico, Lonzi sognava di decondizionare intere società e consorterie artistiche, di riportarle ad uno stato di puritanesimo acritico, ripulito da tutti gli agenti di distorsione della Storia e della scelta – disposizioni governative dell’art pour l’art, barriere mistiche e intrecci di interessi elitari. Il secondo protagonista dell’anti-form, il secondo Doctor no-critica, si chiama “montaggio acritico”, il teologo del mercato proto-maschilista e liberale. Secondo la grintosa Carla Lonzi, lo stato di shock da dissolvimento acritico che caratterizza la politica e l’ideologia dell’Autoritratto rappresenta l’opportunità, anzi il momento supremo di una nuova articolazione neoliberale. Perciò, il regime neo-ideologico dell’a.critica, così come la riscoperta dell’ “Inno a Roma” del neo-fascismo spettacolare di questi ultimi giorni, opera per shock; lo shock dell’assenza di critica ha il compito di deformare e svuotare l’anima. La rende inerme, tanto che essa si sottopone volontariamente a una radicale riprogrammazione.

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Il gesto di Barthes (II parte)

Roland Barthes, CARTE SEGNI, catalogo mostra Roma, 1981, a cura di Carmine Benincasa; Esposizione di Roland Barthes Carte Segni. Roma, Palazzo Pallavicini-Rospigliosi, 1981. Milano, Electa, 1981. Nello spazio di ricostruzione cartacea, in cui si guarda soprattutto il segno di se stessi, scompare sempre di più il lavoro codificato. A causa dell’assenza del segno della scrittura, il mondo dell’arte visiva ha oggi sempre meno natura di voce. A differenza di un segno chiaro, «l’Esso segnico» non ha identità se non in chiave di diletto. L’Esso segnico non rivolge la sua traccia ad un riconoscimento. Lo svanire del suo essere frontale rende il mondo pittorico privo di comprensione. Kandinskji, in involontaria sintonia con L. Wittgenstein, già nel 1911, aveva scritto che il “compito della pittura oggi è quello di vagliare le sue forze e i suoi mezzi, di conoscerli come la musica fa già da tempo, e di provare ad impiegarli in modo puramente pittorico a scopo creativo” (Lo spirituale nell’arte, SE, Milano, 1989, p. 40).

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Il gesto di Barthes (I parte)

Roland Barthes, CARTE SEGNI, catalogo mostra Roma, 1981, a cura di Carmine Benincasa; Esposizione di Roland Barthes Carte Segni. Roma, Palazzo Pallavicini-Rospigliosi, 1981. Milano, Electa, 1981. Il segno di deregolamentazione della forma si manifesta come uno sguardo, come lo sguardo di una tensione che «mi guarda e mette in questione la sovranità del mio occhio». Il punto informe segna un vuoto di visione, un campo perturbato. La scrittura e la pittura, che sono ambedue presenti, vivono dunque un rifugio, ed è qui che consiste il loro enigma e il loro eros, la loro forza o la loro traccia di seduzione. La non immagine del segno e del gesto pittorico non presenta fenditure e incrinature, è levigata sull’inizio dei segni. Oggi i segni delle carte di Barthes sono tutti più o meno informali. Sono trasparenti, non presentano alcun vuoto di visione, alcun buco.

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Poesie d’amore e d’altri mari di Carlo Michelstädter (III parte)

Carlo R. Michelstaedter (anche Michelstädter) (Gorizia, 3 giugno 1887 – Gorizia, 17 ottobre 1910) Poesie d’amore e d’altri mari, a cura di Luca Campana. Note al testo di Andrea Bajani e Enrico Terrinoni, Interno Poesia editore, Latiano 2023. Passiamo ora all’atteggiamento poetico interno, o meglio «lirico», se vogliamo cogliere già il termine in tutta l’ampiezza della sua estensione. Qui siamo già in un terreno diverso. Ogni realtà che rientra nell’ambito dell’atteggiamento «teso» diventa, infatti, un segno di tipo particolare; e lo diventa immediatamente, nel momento stesso in cui vi è immesso. Una via viva, una via lungo la quale il piede avverte le pietre, una via che torna indietro, in sé stessa – questa è la via della poesia.

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Poesie d’amore e d’altri mari di Carlo Michelstädter (II parte)

Carlo R. Michelstaedter (anche Michelstädter) (Gorizia, 3 giugno 1887 – Gorizia, 17 ottobre 1910) Poesie d’amore e d’altri mari, a cura di Luca Campana. Note al testo di Andrea Bajani e Enrico Terrinoni, Interno Poesia editore, Latiano 2023. L’amore della poesia e nella poesia, a differenza del bello, non suscita alcun immediato sentimento di chiarezza. La prima sensazione di fronte all’altro mare è, come in Carlo M., di dolore e tensione.
È troppo impressionante, troppo grande per l’immaginazione, incapace di coglierne il luogo estremo e sintetizzarlo in un’immagine rettorica. Così il soggetto viene da esso scosso e sopraffatto. In ciò consiste la curiosità “dell’altro mare”. Il soggetto si salva nell’interiorità della persuasione e nella sua idea di infinito, di fronte alla quale tutto è piccolo e nella prossimità dell’altrove.