Rubrica settimanale di Gabriele Perretta di critica mediale: osservatorio, libri, personaggi, ri-letture, percorsi, bilanci, racconti.

Splendori e miserie. Lo spazio artistico tra: Abbott, Simmel e Duchamp (1 parte)

La pittura è bidimensionale, ma Simmel suggerisce che ha come scopo quello di dare l’impressione di una dimensione in più. Il fruitore deve avere l’illusione di spinte muscolari simili alle varie proiezioni della figura. La grande arte si distingue, dunque, attraverso l’espressione dei valori tattili: tanto più un’opera riesce a stimolare la nostra percezione tattile, tanto più si tratta di un’opera di valore. Occorre, innanzitutto, che essa riesca a dare l’illusione di toccare una certa figura.

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Il vaso di Simmel e l’orinatoio di Duchamp

George Simmel rappresenta uno degli autori tedeschi più importanti di quella che viene chiamata fenomenologia del medium quotidiano. Dalla critica di tutto il mondo è considerato un vero e proprio maestro delle due dimensioni del reale e del concettuale. Il testo L’ansa del vaso, che risale a molti anni prima del ready-made, rappresenta il miglior esempio dell’invenzione dell’interstizio mediale, vitale e teatrale. 

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Cornici e schermi del vuoto mediale

Qualsiasi teoria cerchi di spiegare l’esistenza della cornice e della perimetrazione del vuoto, ignorando il sistema percettivo della finestra, è destinata al fallimento. D’altra parte, qualsiasi teoria si appoggi esclusivamente sul sistema delle arti visive è destinato a fallire anch’esso. Riprendendo e rielaborando le acquisizioni della ricerca di Georg Simmel dei primissimi anni del ‘900, si condensa qui, in una incalzante esposizione, ogni aspetto mediale dell’intelligenza delle cornici che caratterizza gli schermi. In particolare, analizzando i passaggi evolutivi attraverso i quali si sono via via differenziate le varie forme delle cornici vs gli schermi e viceversa, si delinea in modo quantico la differenza tra cornici insidiose e schermi capaci di “sentire”.

In ciò che brilla: Leukòs [1]

Mi terrò sui bordi geologici della Lucania in un senso del tutto particolare. Descriverò un percorso apparentemente distante dal tema ma che tuttavia potrà introdurre, in guisa di soglie (di creta), verso ulteriori riflessioni su l’estetico e il politico. Si tratta qui di abbordare la società Lucana nei primi momenti dell’agire e del camminare, in quanto sorgente di suolo ma anche origine-ambiente (habitat). Per definizione l’originario di un territorio è colui che non parla, ovvero il suolo, la terra. Occorre dire che è parlato? In che senso questo è accettabile? La dialettica del duro e del molle governa tutte le immagini che ci facciamo della materia (Lucana) delle cose. Questa dialettica anima (dato che il suo vero significato risiede solo in un’animazione) tutte le immagini con le quali partecipiamo attivamente e intensamente alla vita profonda delle «sostanze». Duro e molle sono le prime qualificazioni ricevute dalla resistenza scultorea, la prima forma di esistenza dinamica del mondo Lucano. Niente è comprensibile nella conoscenza della materia Lucana se non vengono posti anzitutto i due termini dello spazio cretoso e della duttilità scultorea di quel territorio. Che cosa sarebbe una resistenza se non avesse persistenza e profondità sostanziale, la profondità stessa della materia contadina? La materia contadina ci fa conoscere le nostre forze, suggerisce una loro categorizzazione dinamica. Va da sé, che la realtà materiale che la rappresenta ci istruisce.

Don Matteo Zaci Vuoto (II parte)

In un’epoca dominata dai mezzi-fini, il confronto con la nozione di vuoto, l’ontologia del niente, l’estetica del nulla sono luoghi di apparente libertà: perché in questi ambiti non esiste legge e si può tornare a discutere e contraddirsi. Il secondo testo su Don Matteo è un dialogo che solletica il “mettere sottosopra” e ne abbiamo bisogno, oggi più che mai. 

Don Matteo Zaci Vuoto (I parte)

Affrontiamo il concetto del vuoto dal punto di vista della scrittura visionaria e torniamo molto indietro nel tempo, fino a raggiungere il momento prima della visione di Don Matteo, alla nascita dell’universo personale di «…un’impresa monastica»: non c’era niente, era Vuoto. Niente materia, niente forme di energia… Ma allora da dove è sorto tutto quello che adesso esiste nella sua storia e che ha percepito intorno al suo Sé? Evidentemente dal nulla.

Cani sciolti & Gaberščik

“IO , CANE SCIOLTO: Ma i cani sciolti un po’ individualisti, un po’ anarcoidi, sono gli ultimi utopisti, purtroppo non si accontentano delle elezioni e dei partiti e delle coalizioni, ne hanno pieni i coglioni. Non ce la fanno a delegare se non si sentono coinvolti, sono proprio allergici al potere i cani sciolti” (Giorgio Gaber).
Rai documentari ha presentato: “Io, noi e Gaber” di Riccardo Milani. Vent’anni senza il “Signor G”.

Il segreto di Maria – Alcune note su “Vita e opere della Capasso” (2019) secondo Piscicelli [II parte]

A nessuno piacciono le difficoltà (neanche alla schietta bellezza di Maria Capasso), ma se desideriamo davvero raggiungere i nostri obiettivi, dobbiamo allenarci e sviluppare i muscoli necessari per librarci i nel segreto: ecco, le difficoltà sono i nostri allenamenti, sono ciò che ci fortifica, ciò che rafforza le nostre competenze, la nostra resilienza, la nostra forza di volontà. C’è una spinta immanente nell’evoluzione del cinema di Salvatore Piscicelli, che invita a cogliere la riflessione sul significato del segreto dell’amore come un esito indotto, se non necessitato, dalle tappe violente e oppressive che ha attraversato!

Il segreto di Maria. Alcune note su “Vita e opere della Capasso” (2019) secondo Piscicelli [I parte]

Maria Capasso è una donna avvenente di 37 anni, che lavora come estetista in un centro di bellezza e che, quando il marito contrae una malattia mortale, non si arrende e si adatta a qualsiasi cosa pur di non cadere nell’inferno della miseria, assieme ai tre figli: si concede alle avance del turpe Gennaro e si fa convincere a portare un carico di cocaina in Svizzera, e poi ad assassinare un avvocato, in cambio di molti soldi. Ma quando Gennaro sposta le sue attenzioni sulla figlia minorenne, Maria gli prepara una rappresaglia feroce. Vita segreta di Maria Capasso (2019) è una storia straordinariamente reale, tratta dal romanzo (agosto 2012) di Salvatore Piscicelli, sulla scalata sociale di una donna che, per proteggersi “dall’inferno che verrà”, coglie delle occasioni al di fuori della legge.

Plagiarism machine (AI), ovvero il situazionismo del capitale

Che cos’è una macchina del plagio? Quali condizioni deve soddisfare? Di quali proprietà può e deve tener conto? In questo nuovo ciclo di articoli, propongo una risposta a tali domande. La nozione di “macchina statistica del plagio” vera e propria non verrà definita nel corso del ragionamento iniziale, ma soltanto circoscritta: verranno indicati i motivi in base ai quali un insieme di pratiche statistiche chiamate “machine learning” sia riconducibile a uno stesso modo di appropriarsene.
Questo lavoro è dominato da un pre-fatto (alla memoria di Luigi Baggi-representative), da una concezione del materialismo culturale che esporrò in breve e senza giustificarlo di nuovo: le capacità di apprendimento umano sono filogeneticamente determinate e culturalmente determinanti; esse sono determinate per tutti i membri della specie, e quindi non sono determinanti di variazioni culturali. La specie umana è resa possibile dalle capacità di apprendimento e al tempo stesso ne costituisce il limite: sono precisamente quelle possibilità e quei limiti ad essere simulati dalla tecnologia più sofisticata come oggetto di ready-made. In questa prospettiva, la cultura visiva che presenta maggiori interessi al plagio è quella della riproduzione AI. Mi terrò sui bordi del delitto in un senso del tutto particolare. Descriverò un percorso apparentemente distante dalla pubblicità della AI, ma che tuttavia potrà introdurre, in guisa di prolegomeni, verso ulteriori «sgarri». Si tratta qui di abbordare la provenienza politica del plagio capitalistico; l’arte nei primi momenti dell’agire generativo, in quanto sorgente assoggettata, ma anche origine e maniera, eccede.

Sabotare il database di AI?

In effetti l’artificio sopraggiunge dopo un contatto con ChatGPT. La presa di coscienza di una vita artificiale alla morte fisica dell’arte, fornisce un forte sollievo a chi sogna. E non parlo solo di programmi AI, nel seguito delle mie esperienze tale stato d’animo lo ritroverò in parecchi casi. “Lottavo ancora con me stesso: da una parte v’erano ormai i messaggi di AI, la Signora Prompt e un’altro pacchetto di situazioni degeneri, compresa la convinzione di avere finalmente, e per la prima volta, oltrepassata una soglia, normalmente negata a molti; dall’altra parte ancora resta un vacillante senso di insicurezza, alimentato da corposi dubbi. Mi chiedevo, infatti, se tutto ciò fosse un prodotto della mia nuova sfera artificiale: drogata solo da piccole predisposizioni alla precognizione.

Medialismo & AI (parte seconda)

L’addizione multimediale è più efficace dell’istantanea. Si può accelerare solo un processo che sia additivo, non ipogenerativo e non statico. Del tutto trasparente è solo l’azione del processo artistico, perché si svolge in modo puramente filler. Singole immagini e istantanee, invece, sono processi minimalisti che si sottraggono all’ accelerazione. Sarebbe un sacrilegio voler accelerare un minimalismo. Performance e spazi teatrali hanno il proprio tempo, il proprio ritmo e ciclo. La società dell’intelligenza artificiale abolisce tutte le performance e le cerimonie perché non si possono rendere operazionali, perché sono d’ostacolo all’accelerazione dei circuiti informativi anonimi, mediali e riproduttivi.

Medialismo & AI (prima parte)

Se l’uso dell’Intelligenza Artificiale generativa in campo artistico ha aperto nuove possibilità e ha permesso agli artisti di esplorare il processo creativo in modi innovativi, è altrettanto importante il ruolo del Medialismo come tecno-sapere, che consente loro di assegnare e distribuire le opere comprendendo la loro proprietà concettuale e assicurandone l’interpretazione teorica. La convivenza con gli apparati di AI passa attraverso una presa di coscienza critica dell’essere artista e comunicatore: più siamo obbligati all’automatismo, più siamo impegnati a non divenire meccanici, a espandere la coscienza accanto alla conoscenza. Soltanto una tale presa di cognizione e resistenza, che si oppone all’agevolazione di meccanismi complessi, potrà forse evitare un indebolimento e un offuscamento del fare artistico e della stessa facoltà di senso dell’essere espressivo.

“La massa come ornamento” [II parte]

Per la prima volta pubblicato integralmente in Italia, in una coloratissima e decoratissima edizione, la Cue Press di Imola ci fa leggere: Siegfried Kracauer, La massa come ornamento, pref. di E. Morreale e tr. it. di M. G. A. Pappalardo, C. Groff, F. Maione, S. Parisi, 2023; testo dedicato ad Adorno e uscito per la prima volta a Francoforte nel 1963. In quest’opera, divenuta ormai un classico del saggismo novecentesco, S. Kracauer offre al lettore una chiara e interessante interpretazione delle tendenze sociologiche e morali che portarono all’affermarsi della critica del moderno. In particolare, come lo stesso Adorno osserva, nel corso degli anni Venti, assai prima di Jaspers e Heidegger, Kracauer lascia intravedere un progetto esistenzialista, che per un verso capitalizza sulle frequentazioni di Kierkegaard, per altri aspetti si sviluppa grazie all’innesto di queste suggestioni sulla riflessione marxista. Ciò non deve stupire se si considera che, riferendosi proprio a quel decennio, G. Lukács parlava di una «Kierkergardizzazione del giovane Marx». Se nella valutazione di Kracauer si adotta una prospettiva genealogica, ci si rende conto di come le sue scelte critiche originino da un bilancio quasi trentennale delle contemporanee vicende biografiche.

“La massa come ornamento” [I parte]

Per la prima volta pubblicato in Italia, in versione integrale, a cura della Cue Press di Imola, Siegfried Kracauer, La massa come ornamento, pref. di E. Morreale e tr. it. di M. G. A. Pappalardo, C. Groff, F. Maione, S. Parisi, 2023: testo dedicato ad Adorno e uscito per la prima volta a Francoforte nel 1963. In quest’opera, divenuta ormai un classico del saggismo novecentesco, S. Kracauer offre al lettore una chiara e interessante interpretazione delle tendenze sociologiche e morali che portarono all’affermarsi del moderno. Si tratta di una piccola storia psicologica, letteraria e politica della vita sociale tra gli anni ’20 e ’30 in Europa, ma ha lo scopo di contribuire in modo specifico alla nostra conoscenza della storia del Novecento. Le immagini sociologiche che Kracauer ricompone non sono né idilliache né contemplative. Su di loro si stende l’ombra «dell’ornamento del capitale» sulla «massa della vita moderna». In chiave fotografica, esse ne associano l’orrore a ciò che è da tempo accaduto. L’insicurezza crescente crea alleanze sempre più vaste e a vari livelli tra sistemi di potere metafisico-teologici e sistemi di potere consumistico: i paradisi che i due sistemi permettono non sono in opposizione, ma anzi, alleandosi, soddisfano adeguatamente tutte le aspettative terrene e ultraterrene di un’umanità sempre più posizionata e vincolata ad appagarsi di illusorie certezze ornamentali.

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