L’agire spontaneo: Cosa sono le buone azioni? Perché spesso ci lasciano a bocca aperta? E ancora: perché spesso anziché generare processi di comprensione sono soggette ad accuse di buonismo se non di religiosità fuori dal portato ideologico? Forse qualche risposta può venirci da alcune pagine di cronaca, che emergono dalla bocca di giovani che si stringono intorno alla famiglia di Giacomo Gobbato: ventiseienne morto il 20 settembre all’Ospedale dell’Angelo, dopo essere stato accoltellato mentre difendeva una donna da una rapina. Morire per difendere: venti minuti. Una manciata di secondi quasi insignificanti, una frazione di vita quasi riflessa, un tempo breve per dare un orizzonte ad una persona che lo sta perdendo. Eppure, pochi minuti che si trasformano in una tragedia per spezzare l’esistenza e le speranze di un giovane, di una persona, di un disobbediente, a tratti indefinibile! Quale potrebbe essere il parere del padre di Jack? Parla il papà di Giacomo, Luca Gobbato. «Un figlio straordinario»: «Ha fatto una cazzata, ma proprio una grande cazzata, con la “c” maiuscola. Questo penso del gesto di mio figlio. Ma perché lui era fatto così, non poteva essere diversamente. Giacomo si buttava nelle cose, d’istinto, senza pensarci. Se c’era da aiutare si lanciava, senza ragionare sui pericoli, sulle conseguenze a cui poteva andare incontro. Era così. Amava e si faceva amare». Una violenza folle. «È drammatico come l’abbiamo perso. Lui era un esempio, un figlio straordinario, generoso, si prendeva cura degli altri con spirito di abnegazione e aveva mille passioni, la musica, la chitarra, il basso, i tatuaggi. Lavorava per un centro che fa tatuaggi a Vicenza».
Il tema dell’identità alla fine dell’adolescenza è cruciale: comporta la ricerca della propria dimensione e indipendenza, della propria verità, dei gusti e delle preferenze, al confine tra quanto appreso in famiglia nell’infanzia e come si decide di diventare “in autonomia”. L’adolescente è per definizione tra “il non più e il non ancora”, esattamente come potrebbe essere un’organizzazione politica come l’autonomia, ovvero lo spettro ideologico dei centri sociali e dello statu nascendi. L’adolescente non è più bambino, asessuale e dipendente dalle figure genitoriali, ma non è ancora adulto, non è indipendente né pienamente sessualizzato. La ricerca di un’autonomia che sia completa e integrata può intercettare traiettorie diverse, e non è detto che si concluda nell’intuizione dell’autonomia della volontà. Una simile ricerca dovrebbe poter rispondere chiaramente alla domanda: “Chi sono io? E soprattutto chi sono io nel momento in cui sono autonomo”. Si diventa soggetti e maggiorenni quando si è in grado di distinguere sé stessi dagli altri, riconoscendo la compresenza dell’autonomia tra quanto assorbito, ereditato dai modelli familiari e sociali, e il proprio autentico Sé. Sappiamo che la fine dell’adolescenza è strettamente collegata al raggiungimento di un’autonomia affettiva che segna la possibilità di intraprendere nuove relazioni significative e strutturare un proprio progetto di vita. Forse è possibile dire che l’adolescenza dura fintanto che reggono le questioni e le domande che essa pone, le domande relative a chi si è, chi si vuole divenire e quale sia il proprio posto nel mondo. La strada per diventare autonomo è insomma un percorso obbligato e non esente da avversità. L’adolescente oscilla tra disinteresse e pertinenza rispetto alla famiglia. Se da una parte le ragazze e i ragazzi cercano una nuova autonomia, dall’altra hanno ancora bisogno di percepire un porto sicuro cui ritornare, in cui “riprendere fiato” e ritrovare sicurezze di fronte al complicato ingresso nel mondo adulto. Uno dei compiti evolutivi, sia per la famiglia che per l’adolescente, diventa opportunità per la contrattazione di nuove regole e limiti, cosa che può avviare una certa ostilità nel sistema familiare.
Queste prospettive lanciate sul mondo dei giovani rinviano alla descrizione della struttura dell’autonomia. Non si tratta di definire un paradigma astratto di tipo platonico, né di individuare in un apparato fisico-chimico la causa dei comportamenti sociali, politici e psicologici del mondo giovanile di ragazzi come Jack! Si tratta di cogliere le differenze tra le unità globali sul cui sfondo le generazioni giovanili odierne vanno comprese, perché se ne possano interpretare il valore e la significazione. Assurda e vana risulterebbe la descrizione dei movimenti politici e sociali giovanili, ove mancasse l’intuizione del senso che le condotte giovanili vogliono realizzare. In altri termini, la giovinezza non è un fatto naturale, né può dirsi un valore assoluto che cala dal cielo. I suoi atteggiamenti sono contingenti rispetto all’apparato fisico-chimico del corpo giovane oggettivamente considerato, né comportano una spiegazione di tipo idealistico, incline a ritrovarsi come l’estrinsecazione di un momento per il quale lo spirito necessariamente passerebbe nel corso del proprio sviluppo dialettico. Per i problemi formativi e politici la necessità che si proceda ad un’analisi dell’idea globale di ricerca dell’autonomia si giustifica, anche per raccogliere sotto un denominatore comune le fasi di sviluppo dell’età della ribellione, data la sconcertante varietà di teorie che si incontrano nella psicologia circa le strutture che caratterizzano e i termini relativi di demarcazione. L’idea di autonomia post-adolescenziale trova il proprio fondamento materialistico nei comportamenti del soggetto giovane in genere, così come biologi e psicologi li hanno rilevati, non soltanto nell’umanità giovanile, ma anche nei piccoli degli animali superiori (antropoidi e carnivori) rapportando gli uni e gli altri, quasi a ritrovare nelle condotte dei cuccioli, e specialmente nei loro giochi, l’ombra della coscienza.
Ma la domanda sull’ombra della coscienza è altrettanto chiara ai leader politici, che hanno interesse a strumentalizzare l’energia dei giovani. Lo vedremo nella condizione politica di Giacomo Gobbato. Secondo l’humus culturale che attraversa il gioco della politica e la politica del gioco, i caratteri fondamentali della dinamica giovanile dell’ultima generazione di attivisti, disobbedienti e quant’altro sono diversi: in-direzionalità, ansia di movimento, atteggiamento patico e incertezza (tendenzialmente anarchica), crisi del riconoscimento, desiderio bloccato sull’enunciazione. La prima proprietà è l’in-direzione, la gratuità, l’assenza di orientamento verso un programma politico chiaro e verso uno scopo, di un governo, di un fine preciso. In tal senso, il movimento instabile del post-adolescente di essere totalmente aperto, in quel suo vivere di momento in momento, e nel quale pertanto l’indistizione di mezzo e scopo produce da sé una disponibilità per il cambio continuo di direzione, contrasta con l’andatura del dirigente politico, in cui si dà chiara una relazione di tensione rispetto al punto fermo di un programma politico. Il movimento dell’autonomo o che va verso l’autonomia è più un movimento di espressione, che si dirige verso la società, che non di attuazione partitica. È quello che può prodursi in un organismo giovane non ancora vincolato inesorabilmente ad un ambiente determinato; ciò per effetto di una pienezza vitale intollerante di ogni forma e di ogni limite. Seconda caratteristica della ricerca di autonomia è l’ansia di movimento. Perciò l’impulso primario del giovane autonomo è un affanno di libertà sui generis. Anzi, sono due gli istinti primari che stanno alla radice della vita del disobbediente: l’impulso di libertà e l’impulso di unione, di riconoscimento comunitario. L’ansia di libertà è un attivismo di rottura, di rimozione di un ostacolo, di distruzione di un vincolo, tale che si dispiega dal di dentro al di fuori e nel quale l’altro e cioè il non io, il mondo circostante, viene sperimentato negativamente, come un impedimento, un ostacolo. Procura la soddisfazione di sentirsi libero, il piacere di vivere e di poter vivere in piena autonomia.
Cosa c’entra questa ricerca dell’autonomia con quella dell’autonomia politica in cui qualcuno dei componenti del movimento degli attivisti si trova ad incontrare? L’autonomia è una forma politica autodeterminata e non rappresentativa. Non risponde ad un partito politico centralizzato e non ammette deroghe, né rappresentanti che la surroghino o la sostituiscano, però è qualcosa in cui c’è uno strumento di scambio tra protagonismo delle lotte sociali e controllo di una piccola élite che si autoelegge avanguardia. L’autonomia operaia in particolare è stata un’organizzazione, che ha svolto la sua attività in Italia tra il 1973 e il 1982, e che annovera Toni Negri fra i suoi maggiori intellettuali. Cos’è invece l’umanismo? È stata una corrente filosofica propugnata negli anni 60 da Roger Garaudy e si struttura intorno alla nozione teorica di Uomo, con l’iniziale maiuscola e senza ulteriori distinzioni di classe, di genere, geografiche etc … Secondo questa singolare visione dell’umanesimo – in realtà, un tipo di filosofia antichissima, già attiva nella Grecia classica del V sec. a.C. – tutta la storia dell’umanità sarebbe interpretabile come il divenire di un’essenza umana fissa, come a tutti gli esseri. Così emerge che spesso l’opposizione giovanile attuale, avendo vagamente assorbito questi contrasti e queste visioni tra partiti e movimenti della sinistra istituzionale e dissidente si appiglia al mondo dei principi, e che da viscerale si fa ideologica.
Ma non si tratta, si badi bene, di una contestazione di tipo autonomo, althusseriano o umanistica: essa la oltrepassa – senza neanche conoscerle – e va a porsi contro qualsiasi programma partitico in genere, spingendo nella direzione della dissidenza anarchica, della società affluente e disobbediente, fluida e moltitudinaria: ma a prezzo di un lavoro sempre differente, di ritmi frenetici e di tensioni nevrotiche, di frustrazioni, di infarti precoci e municipali. Il tentativo di darne una definizione sistematica risale all’inizio del secolo scorso per opera della psicologia (in particolare Stanley Hall). A seguito di una ricerca impegnativa, Hall, a cui si deve la più approfondita riflessione sulla nozione di adolescenza, dice che essa è “qualcosa di più della pubertà e si estende ad un periodo che va dai dieci ai 21 anni per le ragazze e i ragazzi, anche se il picco si raggiunge tra i 15 e i 16 anni. L’adolescente è colui che si sta nutrendo e l’adulto – dal participio passato della stessa radice – è colui che si è nutrito. Questa immagine ci disegna un doppio individuo, uno che non ha portato a termine la sua autonomia e un altro che l’ha realizzata. Definire i caratteri di questo spazio temporale nella vita di un soggetto è lo scopo a cui la psicologia, la psicoanalisi, la sociologia, la neurobiologia, l’antropologia, la semiotica delle emozioni, ecc, si sono applicate nel corso di tutto il secolo passato; senza peraltro arrivare ad una definizione univoca, ma riuscendo per ogni disciplina ad aggiungere una tessera al mosaico il cui destino è quello di non riuscire mai ad essere composto per intero e definitivamente.
I turbamenti del Giovane Torless, di Robert Musil, scritto nel 1906, racconta la storia di un adolescente, di un ribelle e sensibile ragazzo che percepisce in infiniti istanti la falsità di una realtà regolata da schemi e preconcetti che gli fanno perdere significato, che imprigionano e violentano il senso di ogni esperienza dell’anima costretta dalla “ragione strumentale” a tacere e subire. Lo scorrere del tempo storico, le mutate condizioni sociali ed esistenziali offrono ogni volta ulteriori motivi di riflessione, di integrazione dei dati, di concettualizzazione. Il giovane Torless non è solo il racconto di un adolescente ma è la letteratura-saggio dettagliata, della formazione di una coscienza, di quello che la psicologia, più volte ha cercato di riconoscere come il difficile processo di individuazione dell’autonomia della volontà, di cui parla Kant nella Critica della ragion pratica. Tutto il romanzo è giocato come la breve vita di G. Gobbato, sul doppio binario dello sviluppo della coscienza del sé e della conoscenza della realtà circostante e, soprattutto, (e qui lo spunto più che mai ontologico) del modo in cui il “soggetto conosce”. Lo scorrere del tempo storico, le mutate condizioni sociali ed esistenziali – dei tempi di Musil e dei nostri stessi tempi – offrono ogni volta ulteriori motivi di riflessione, di integrazione dei dati, di concettualizzazione. Come diceva Gargani, nelle nostre conversazioni degli anni 80/90: “Ritrovare il sapere come evento è ritrovare attraverso la figura letteraria, sospesa tra logica e metafora, quel centro di sé, della propria vita in cui recuperiamo la chiarezza dei significati e il senso della nostra motivazione” (Musil e Wittgenstein: Analisi della civiltà e illuminazioni intellettuali, in Aldo Giorgio Gargani, Freud Wittgenstein Musil, Shakespeare and Company, Milano II ed. 1992, pp. 112-113).
Sulla sedimentazione intellettuale del tempo della crescita Musil ricorda: “Sono grandi, sanno tante cose, ma si sono stretti da soli in una rete. Una maglia tiene l’altra, sembra la cosa più naturale del mondo: ma nessuno sa dov’è la prima maglia, quella che regge tutte le altre”. Qual è il segreto di questa maglia a livello politico, al livello dell’animale politico, qual è l’enigma dell’autonomia della volontà e di chi era Giacomo Gobbato, ammazzato a soli 26 anni? Jack, classe 1998, lavorava a Vicenza nello studio dei tatuaggi Electric Tiger House. Era un giovane musicista e la sera che è stato ammazzato avrebbe dovuto suonare all’evento reggae Veneto Blaze del Rivolta. La famiglia è originaria di Jesolo. Naturalmente dopo l’omicidio a Mestre, si riaccende il dibattito sul disagio post-adolescenziale, sul disagio politico, urbano ed esistenziale, ma soprattutto si dovrebbe riflettere sulla ricerca di Jack, che significa andare contro il partito ed esprimere una libera umanità, che non è né annoverabile nella memoria di Negri né in quella di Garaudy. Il ventiseienne, che ha perso la vita, accoltellato mentre cercava di difendere una donna, pone una questione di confronto-scontro tra la figura del giovane militante dei Centri Sociali dei giorni nostri e il suggerimento del profilo antagonista tracciato dalle pagine di Impero (scritte da Toni Negri e M. Hardt), oppure dalla nuova filosofia del bene comune di Laval e Dardot. Insomma, chi è questo soggetto che vive esposto nel contesto biopolitico globale, o ipoteticamente alternativo al bio-potere padronale? Solo perché Jack aveva deciso di vivere la sua vita affidandosi a quelle caratteristiche e a quell’immagine di autonomia era di per sé un antagonista (come vorrebbe il vecchio retore padovano)? È proprio vero che la composizione di classe è di per sé antagonista? Ma è proprio vero che chi vuole resistere, in un mondo fabbricato e messo in forma dal comando e dallo sfruttamento radicale, può e sa trovare quello che nel mondo non è né comando e né sfruttamento? Quelli della generazione di Jack, e tutti gli attivisti del Rivolta di Mestre, sanno leggere la “nuova composizione soggettiva”, gli aspetti di potenzialità e di tendenziale autonomia che vengono richiesti dal “Francesco” teorizzato in Impero? La morfologia delle Posse schematizzata da T. Negri e M. Hardt è la stessa che abitava l’agire comunicativo di Giacomo Gobbato? C’è stata qualche volta un’intesa tra le “radicali trasformazioni della soggettività”, teorizzate dalla testa degli ex-Pot-Op e da quelli che hanno assimilato la lezione post-francescana di Impero, e la storia di Jack? Dalla mia esperienza militante all’interno del Movimento del ’77 ho l’impressione che fra il rompicapo delle forme organizzative che possono far male a un nemico astratto e fumoso e la biografia di uno spontaneo francescano-adolescente come Jack, ci sia un abisso o una mise en abyme!
La diversità degli approcci non sempre giustifica la diversità dei risultati, ma alimenta l’esigenza di saper vedere la prospettiva Posse e la prospettiva che oscilla fra i tatuaggi, la pratica della street art e la militanza francescana. L’etnoantropologa M. Mead, per esempio, ripropone il rapporto di interdipendenza tra natura e cultura e sostiene che i caratteri dell’adolescenza dipendono dal gruppo sociale di appartenenza, dal sistema dei valori cui si ispira il gruppo e, dunque, alla base del comportamento c’è il modello formativo che orienta il rapporto con i giovani. Quindi in che modo, un testo come Impero ha parlato ad un giovane antagonista, che frequenta il Rivolta? Ciò vale sia in relazione a presunti atteggiamenti violenti e delinquenziali, di cui esistono esempi tragici e purtroppo frequenti nella società occidentale, sia in relazione al modo di vivere l’etica del “proto-francescanesimo inconsapevole” da parte di un post-adolescente volenteroso, solidale e poco garantito come Jack! Nel libro L’adolescenza in Samoa, la M. Mead rilevava un atteggiamento più tranquillo e spontaneo di quei giovani cui era consentita un’esplorazione della erotizzazione senza sensi di colpa e sotto la guida degli adulti. Da qui la conclusione iper-conformista e liberale, dirompente per la società americana: se qualcosa non va nel comportamento di adolescenti e giovani, bisogna cambiare il sistema di valori su cui si basa l’educazione nella società occidentale. Ma la società occidentale, così come un formalismo leninista, in realtà, non è un unicum che azzera le differenze. La società in cui vivono i teorici delle POSSE (che poi le Posse non le hanno mai viste) e quelle in cui vivono gruppi di base in cui “agiscono” i Jack, differiscono fortemente fra loro, anzi mostrano un conflitto tra gruppuscoli indefinibili. Chi era Jack? Un soggetto che ha dimostrato abnegazione e altruismo spontaneo, in aiuto di una persona in pericolo. Gravemente ferito, l’amico di Giacomo, anche se non era in pericolo di vita, ha mostrato comprensione sociale per l’aggressore. “Per Jack, per noi, per tutti: riprendiamoci la città”, recitava lo striscione che ha aperto il corteo del 28 settembre scorso. Il corteo lo guidano la madre di Gobbato e gli amici; non mi sembra di vedere la mobilitazione di grandi organizzazioni POSSE teorizzate sulle pagine di Impero! Giacomo era legato al Rivolta, era un attivista e un musicista della scena veneta. Sebastiano Bergamaschi era insieme a Jack, la sera che sono stati aggrediti in corso del Popolo. Nel tentativo di fermare il rapinatore è stato ferito alle gambe e ora si appoggia alle stampelle!
Michael Hardt che ha scritto la trilogia: Impero, Moltitudine, Comune e Assemblea, cosa fa di attivo, di pratico, di francescano, oltre ad insegnare letteratura ed italianistica alla Duke University? Bisognerebbe ricordare le parole di Lenin ad Hardt e non ai giovani come Gobbato: “È più piacevole e più utile partecipare alle esperienze della rivoluzione che scrivere su di essa.” (V. I. Lenin, Stato e rivoluzione). Cosa c’entra un teorico delle “Posse” con la vita e i “bisogni ipotizzabili” di giovani come Jack?