Arte Fiera 2025

Oltre l’arida esteriorità. Le fessure del Query esposte tra MUSA e MEC.

Si è tenuto oggi, 6 dicembre, il finissage della mostra “QUERY L’instabilità del Materiale”, ideata da Daniela Zannetti e curata da Irene De Sanctis, presso la Sala degli Specchi di Palazzo Marconi, il MUSA e il MEC di Frascati, in cui verrà annunciato il prossimo QUERY2025.

Il termine “query” si traduce, letteralmente, come “interrogazione che l’utente di un sistema informatico o di una rete telematica fa con i codici opportuni, al sistema o a un data base, alla ricerca di una specifica informazione”.
Inconfondibilmente, è proprio sull’accezione di quesito sulla grammatica d’arte contemporanea e sulle sue parole che si interroga la nostra QUERY.  L’instabilità del Materiale, fortemente voluta e ideata dalla giornalista, direttrice artistica e cultural producer di Artisti in Transito, Daniela Zannetti, e curata da Irene De Sanctis.

Il percorso dell’esposizione ha tratto la sua origine dall’operazione dell’artista e danzatrice contemporanea Rossana Abbritta, con la sua performance QueryMW Colonne Fluttuanti del 2024, con abito di scena realizzato da Caterina Ciuffetelli, tenutasi presso l’installazione scultorea di Land Art in acciaio cor-ten, Prospettiva cielo, di Mauro Staccioli, facente parte di un geometrico spazio, originato sulla collina della Valle d’Oro di Capalbio, in occasione di HYPERMAREMMA, partner del progetto realizzato da Artisti in Transito, Ecocity AinT, con il patrocinio del Comune di Frascati, del MEC, e del MUSA.
La performance, durante la Giornata internazionale del Contemporaneo di Amaci GDC20, è stata presentata come video online.

Il progetto si è dotato di una sua naturale espansione all’interno della Project Room Query MW L’instabilità del Materiale – Artisti in Transito, finanziato dalla Regione Lazio, per la promozione di artisti e curatori under 36, con Lazio Innova.
Gli artisti che hanno esposto sono Giulia Barone, Thomas Bentivoglio, Ivan Bossoni, Edvige Cecconi Meloni, Luca Falessi, Livia Giuliani, Virginia Lorenzetti, Marianna Panagiotoudi, e Rossana Abritta, Caterina Ciuffetelli, Giuliana Cobalchini e Katia Pugach, all’interno del Museo Comunale Archeologico “Guzman” di Orbetello, e con il workshop, tenuto dall’artista Caterina Ciuffetelli, nello spazio della mostra. L’artista ha abbandonato il criterio di tecnica della carta e del tessuto, come segreto, per aprirsi a un flusso di sapere, inteso similmente a un’azione di scambio. Durante il workshop, ha esposto l’opera Circle, in canapo da teatro su carta intelata.
Le opere degli artisti sono state esposte, presso l’antico spazio del Museo Polveriera Guzman di Orbetello.

Massimo Belli, project manager di Hypermaremma e critico d’arte per Query, sottolinea come “ l’Arte contemporanea sia un termine usurato, nel quale non si compie mai abbastanza l’analisi dei singoli lemmi che lo compongono,”  – e aggiunge  – “partendo da questa base, potremmo attenderci due cose ben diverse: ricevere un prodotto, e non il solo riflesso di ciò che siamo allo stato attuale e, soprattutto, non riceverlo in forma di risposta, piuttosto sotto forma di domanda, interrogativo fondante di chi si accinge a produrre qualcosa”.

Da questa lettura, possiamo comprendere l’impiego del termine “semioforo” coniato da Krzysztof Pomian, in “Che cos’è la storia”, da parte della curatrice. “
I semiofori”, infatti, sono oggetti portatori di particolari significati da una determinata società, e creati o esposti per rivolgersi allo sguardo in modo esclusivo come quadri, disegni, stampe, sculture, e tutti quegli oggetti che appartengono a questa categoria, senza esaurirla. E, in questo senso, è valido affermare, come oggigiorno “l’ ‘Arte contemporanea’ è un termine usurato nel quale non si compie mai abbastanza l’analisi dei singoli lemmi che lo compongono”.

La curatrice esplicita: “La Instabilità del Materiale rispecchia la fluidità della società contemporanea e degli artisti che la abitano, chiamati a interpretare il ruolo di semiofori in questo passaggio generazionale”.
Il lemma QUERY inscrive le opere, in mostra, come fessure da cui ripartono delle contestualità nuove che si presentano come ponti di collegamento tra storie individuali e collettive, tra vite particolari ed eventi universali, come anelli di prolungamento tra generazioni, punti di unione tra civiltà, e flussi di viluppi relazionali tra individui, oltre l’arida esteriorità, per un’introiezione umana.
Ogni oggetto-opera si doterà di una funzione semantica fluida, in grado di sprigionare un senso non fissato nel presente. La tensione che ne deriva, si individua prima di tutto, attraverso l’espansione delle opere in luoghi in grado di narrarne l’anima instabile, aree intercettate da Daniela Zannetti.

Così, dalla Toscana, il progetto pone le sue nuove radici presso il MEC, ex mercato coperto cittadino, e attualmente sito industriale rigenerato, attraverso l’arte, e grazie anche alla riqualificazione YOLK e al MUSA, Museo Archeologico Scuderie Aldobrandini, con la sua storica struttura secentesca.

Ma che cos’è YOLK? YOLK è l’intervento strutturale dell’edificio “come contenitore di spazi espositivi, e guscio, progettato dal Dottore in Architettura under 36, Fabio Camilli, e in cui il nuovo studio di volumi, non definendo una chiara idea di percorrenza, riveste quell’instabilità, propria del termine Query.
YOLK è stato concepito come una grande bucatura centrale che affaccia sul piano sottostante, con quattro grandi pilastri rivestiti come colonne gialle, esattamente “come se fosse un grande Tuorlo, addensatore di materiale”.

Il luogo, proprio come l’uovo, non avrebbe forma definita, se non quella di un guscio perimetrale che si affaccia su Piazza del Mercato, e che si può identificare come centro di un intervento di continuità.
Dunque, possiamo affermare che certamente il progetto espositivo non solo si dichiara come perno che addensa una profondità progettuale densissima, operata grazie all’ideazione e al lavoro strutturale di Daniela Zannetti, ma indaga anche uno dei luoghi urbani che si pongono tra i nuclei della vita dei cittadini e della loro tradizione: il mercato. Quest’ultimo va ad inserirsi in una possibile lista dei luoghi indagati sin dagli anni ’70, quando l’artista scende in strada “fuori” dai luoghi adepti, per rapportarsi direttamente con il quotidiano e con il sociale, coinvolgendo un pubblico più ampio, attraverso l’azione performativa, le installazioni e le opere pittoriche esposte in contesti atipici e che vertono su questioni politiche, sociali e ideologiche. Il linguaggio viene ridefinito per una “riappropriazione creativa del tessuto urbano” che mira al dialogo con i cittadini. Si ricorda limpidamente il più recente progetto “Mercati d’Autore”, nato nel 2015, per raccontare e riportare alla luce la bellezza e il fascino dei mercati di Roma, suscitati dalla medesima attrattiva di quando compiamo le visite ai mercati famosi di Barcellona, Londra e Madrid.
E’ una sfida, una rivoluzione culturale che apre la mente e invita alla riflessione, oltre gli esperti del settore, anche chiunque si trovi a passeggiare dinanzi al mercato, e venga improvvisamente affascinato dal richiamo meditativo. E, in effetti, è la visita che attiva il luogo stesso, rendendolo animato e predisponendolo a una sorta di avvio a un viaggio culturale che mette in moto, come l’accensione di una navicella spaziale, un’evasione temporale dai confini limitrofi per accendere un’attenzione intellettuale privilegiata per il luogo stesso, un’evoluzione in sintonia con i nostri tempi. La prima struttura che prese parte a tale invito fu il mercato Nomentano di Piazza Piazza Alessandria che, nel 2016, realizzò un intervento di restyling della struttura, e in particolare diede vita all’area foyer, per riqualificare gli spazi e comunicare all’esterno una rinnovata identità. Un altro esempio che seguì, nel 2017, fu il mercato Casal de Pazzi che trasformò i suoi spazi e aggiunse, al suo edificio, due aree attrezzate. Tutti gli interventi che seguirono, come quello del #dopomercato del mercato Trieste o il #fuorimercato del mercato Talenti, sono stati in grado di generare un’utenza diversa rispetto a quella abituale. Nel 2018, “Mercati d’Autore” si costituisce in rete, con trentaquattro mercati rionali di Roma, e con la creazione del portale che raggiunge pubblici ampi e arriva oltre i confini del quartiere. Ancor più recente, è la rassegna “Memorie (In Ascolto). Arte, letteratura e creatività”, creata dalla curatrice Johanne Affricot, nel mercato rionale Iris di Centocelle di Roma, e che ha coinvolto l’arte, il cinema e la letteratura afroitaliana in un progetto contro gli stereotipi e le sovrastrutture che condizionano il pensiero della società. Eliminare l’invisibilità era l’obiettivo della curatela della Affricot.
Ritorniamo ora nella realtà della mostra “QUERY. L’instabilità del materiale” e avvertiamo come tutti gli esempi suddetti si rafforzino maggiormente, non solo per il senso di riconoscimento della presenza, esistenza, appartenenza, di riscoperta del sé, sia individuale che collettiva, delle proprie fessure e di storie sopite ma anche per il portato artistico proposto che, seppur fervido di nomi giovani, rappresenta un livello sostanziale inusitato per la destinazione nel luogo “mercato”. Questa è la motivazione che tende a un riconoscimento per il merito al progetto stesso.

DENTRO LA MOSTRA

Come prosieguo della performance, tenutasi in prossimità dell’opera di Staccioli, l’artista e danzatrice contemporanea Rossana Abritta muove i suoi passi performativi, dinanzi all’installazione Colonne Fluttuanti. Dalla terra al cielo, nata nell’ambito del progetto “Alis volat propriis”.
Il corpo, adagiato di schiena su una sedia, propone una forma che, come la nascita della farfalla, si ricrea a partire dall’organismo precedente, si rigenera dalle sue fessure. E Daniela Zanetti, reinterpretando le parole dell’artista, durante il suo operato a Capalbio, ha scritto: “Chiedo permesso agli oggetti, alla natura, allo spazio che sto per usare, per entrare in sintonia con la materia e l’immaterialità del luogo – non luogo. Ascolta il vento, il sole, la temperatura dell’aria; tocco i metalli, la pietra, cerco di percepire quante più vibrazioni per essere accolta. Per non disturbare ma anche per non essere disturbata dagli elementi mentre esterno il mio lavoro tramite il corpo”; nella nuova sede delle Scuderie Aldobrandini, colma di reperti archeologici di valore storico e simbolico, ha rimodulato la cinetica performativa. Quella tensione meditativa tra corpo, opere, luogo e la musica del produttore indipendente Davide Missoni ha generato una contrazione di movimenti, e una loro distensione ciclica, in sintonia con il suono del suo respiro.
Durante l’azione performativa, ha indossato il bracciale, avambraccio e cavigliera di Caterina Ciuffetelli, secondo una permeabilità che è divenuta canale di energia.

Una seconda sinergia della performance è avvenuta con l’opera di Giuliana Cobalchini, una colonna che parla di instabilità e fragilità tra materia ed essere e che interroga l’io sul proprio sé, sul doppio, sul tempo e sull’equilibrio. E il volo precario dell’insetto è voce di congiunzione con YOLK e con il MEC.

L’artista Giulia Barone, se per la Project Room aveva esposto Il vuoto è fertile. Cianotipie, piccoli fotogrammi di larve di lepidottero – che aveva osservato durante l’intero ciclo vitale, infondendo quella mimesis che è trasformazione interiore – all’interno del MEC si insedia sulle quattro colonne di YOLK, stabilendo una connessione tra origini-nuclei, ambienti generanti vita e trasmutazione dalle loro stesse fessure, con la sua opera site-specific di sale, di seta – 2024.

Ma il Query è altrettanto visibile nella presentazione dell’opera senza titolo (Gyaros) del 2023 di Marianna Panagiotoudi che, invece, alla Project Room aveva allestito gli acquerelli su carta Selezione dalla serie 94: Radio presenter | Nun | Vicepresident of the party | Interim president sul genocidio ruandese, iniziato nel 1994. La sua poetica è incentrata sulle “instabilità sociali”, sulle contraddittorietà tra i ruoli di potere e la sua applicazione, su quelle fragilità che sono interpretabili come “fessure dell’umano”.
L’opera racchiude l’immagine dell’isola di Gyaros, nota anche storicamente come “l’isola del diavolo”, un luogo geograficamente e politicamente appartenente alle isole Cicladi, e oggi deserto. L’area è stata luogo di esilio e prigionia fin dall’epoca romana, riportata in auge durante la Guerra Civile Greca (1946-1949), inducendo a un isolamento forzato per gli “indesiderati” ideologici.
Essenzialmente, le circa ventimila persone rinchiuse erano comunisti e altri dissidenti, costretti a lavori forzati, traumi psicologici e severe punizioni fisiche.
L’inferno dantesco termina solo nel luglio del 1974, con il ripristino della democrazia in Grecia.
Con l’avanzare della democratizzazione, le esperienze degli oppressi vengono agite in una sempre più ampia coscienza socio-politica, riesaminando la violenza istituzionale.
Il contrasto con gli hotel di lusso, prossimi all’area, crea un forte ossimoro visivo, mettendo in crisi quella idilliaca percezione delle isole greche, come mete turistiche. La fuoriuscita dal conformismo visivo si adegua, dunque, all’interrogativo del Query, invitandoci a una approfondita riflessione sulla storia di una geografia che viene per lo più banalizzata.

Segue nel percorso, l’opera di Virginia Lorenzetti, in garza e tela di cotone, colore naturale (melograno), ossido di ferro, e latex, Mi siedo alla tua ombra del 2024.
Mentre per la Project Room, l’artista aveva realizzato l’opera The weight of water, basata su una chiara delimitazione del supporto, espressa dalla cornice esterna, all’interno del MEC, l’opera – priva di delimitazioni afferenti al perimetro – si installa in perfetta sintonia con le grandi vetrate presenti nella parte alta delle mura. La luminosità attraversa l’opera e ne muta il colore naturale di estrazione vegetale e che reagisce al contatto con gli ossidi di metallo e si modifica, se sottoposto a brusche variazioni di acidità. Ciò attiva processi di metamorfosi che determinano tonalità finali varianti tra il giallo caldo e il blu scuro. L’effimerità intrinseca del materiale e dei colori riporta alla simbologia del melograno nella mitologia greca e alla sua valenza di processo di morte e rinascita.
L’opera si ispira, inoltre, a Il colore del melograno, lungometraggio di Sergei Parajonov, e che narra la vita del poeta armeno del diciottesimo secolo Sayat-Nova, al cui Canzoniere s’ispira il titolo dell’opera. 
La simbologia impalpabile – che domina l’intero apparato filmico – ci sposta, nuovamente, entro i confini sussurrati del Query. Nel suo indagare la fragilità individuali come fessure, da cui si riattiva un processo rigenerativo e trasformativo.

Il mio cane non si morde la coda è l’ennesimo titolo ironico, attribuito dall’artista Livia Giuliani all’opera in mostra al MEC.
Il lavoro si districa come un puzzle di immagini che, seppur funzionanti autonomamente, sono parte corale di un’unica immagine inizialmente delineata.
Lo strappo – che può essere effettuato per ogni singola parte – ricorda la rimozione dei cartelli pubblicitari, affissi dai cittadini all’interno del mercato, e conseguentemente la precarietà e la deformazione di senso dell’immagine, all’interno dei contesti socio-urbani. Da quello strappo -che genera una fessura – prende vita un’altra immagine, una nuova ipotesi visiva.
Siamo, ancora una volta, dinnanzi alla sfera del Query, come anche accade con un affondo di spessore per le altre opere in mostra:
Ars Longa Vita Brevis | Hinc Vita Perennis | Elisir di Ivan Bossoni; Senza titolo di Ekaterina Pugach; «Le muove il santo anonimato del vento “che tu non sai di dove venga né dove vada “e a cui nulla resiste se non appunto l’amore.» di Edvige Cecconi Meloni; Il sacrestano di Luca Falessi; Ambition + Make a wish di Thomas Bentivoglio.

QUERY L’instabilità del Materiale
A cura di Irene De Sanctis
dall’8 novembre al 6 dicembre 2024
Palazzo Marconi, Scuderie Aldobrandini MUSA, MEC – Frascati
Area del Mercato coperto cittadino e HYPERMAREMMA – Frascati
Info: query2023.wordpress.com
AINT sitnewsfeel@gmail.com

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