Michelangelo Consani

Michelangelo Consani intervistato da Lorenzo Kamerlengo per The Hermit Purple, Luoghi remoti e arte contemporanea su Segnonline.

Parlami di un tuo maestro, o di una persona che è stata importante per la tua crescita.

Senza dubbio l’incontro con Emilio Prini, al quale ho fatto d’assistente, mi ha segnato molto. Emilio mi ha aiutato nel lavoro senza suggerirmi niente, si è semplicemente limitato a farmi riflettere sul concetto di vuoto, di pieno e di energia.
Ma sono molte le persone che vorrei ringraziare e che ritengo fondamentali per la mia crescita artistica. Dal momento che la rivista è di Pescara, partirei con Renato Bianchini. Con Renato ho fatto le mie prime mostre in Abruzzo, mi ha insegnato a muovere i primi passi nel sistema dell’arte. Vorrei inoltre ricordare Roberto Cerbai, artista e ceramista, che mi ha trasmesso l’amore per la ceramica. Pier Luigi Tazzi che mi ha invitato a eventi di caratura internazionale, come ad esempio la Triennale di Aichi a Nagoya nel 2010, dandomi la possibilità di confrontarmi con artisti del calibro di Yayoi Kusama, Franz West, Adel Abdessemed, Cai Guo-Qiang, Gelitin, Yang Fudong, Hans Op de Beeck, Cerith Wyn Evans e tanti altri. Paolo Emilio Antognoli con il quale abbiamo lavorato, per primi in Italia, a progetti che riguardavano l’ecologia e la sostenibilità. Matteo Lucchetti che ho visto crescere e con cui abbiamo fatto due belle mostre Pratiche della memoria alla Fondazione Pistoletto a Biella e De Rerum Rurale alla 16° Quadriennale di Roma. Alessandro Romanini che mi ha sostenuto nella produzione di alcune opere e con il quale abbiamo fatto dei bei progetti. Silvia Pichini che mi ha supportato e sopportato nei miei deliri. E poi un ringraziamento speciale ai miei due galleristi Junko Shimada della Galleria Side2 di Tokyo e Francesco Ozzola della galleria Suburbia di Granada che mi permettono di lavorare senza vincoli e di fare quello che ho in mente. Per ultimo ma non in ordine d’importanza, Manlio Bonetti della Fonderia De Carli di Torino che insieme all’artista Davide Rivalta mi ha introdotto “nel mondo del bronzo”.

Quali sono secondo te il tuo lavoro/mostra migliore ed il tuo lavoro/mostra peggiore? E perché?

La mia mostra migliore è la Festa è finita alla galleria Fabio Tiboni/Sponda di Bologna. La festa è finita è stata fatta nel 2011. Il gallerista, Fabio Tiboni, mi chiese un mostra e io realizzai un unico lavoro: un grande progetto site-specific; oltre alla galleria usai anche un garage che fungeva da magazzino. La mostra analizzava la fine delle risorse criticando, senza mezze misure, il modello capitalistico imperante e sottolineando le “falle” del sistema economico globale. La mostra era accompagnata da un testo di Pier Luigi Tazzi e da uno scritto di Serge Latouche (padre della decrescita felice) dal titolo appunto la Festa è finita. Immaginai di fare una festa alla quale invitavo una serie di personaggi (rappresentati da sculture, video, ceramiche ecc) appartenenti a “mondi” diversi, alcuni legati alla speculazione globale, altri invece marginali, che con la loro critica al sistema dominante potevano indicarci una via di salvezza. Tutta la mostra (video e luci) erano alimentate da un generatore a benzina, una volta finita la benzina finiva la mostra.
In questi giorni, ai tempi del Coronavirus, ho riflettuto molto su questo lavoro che, a distanza di quasi dieci anni, mi sembra più che mai attuale. Per la mostra peggiore non saprei dare un titolo.

Se ti ritrovassi su un’isola deserta, proseguiresti la tua ricerca artistica? Se sì, in che modo?

Si, cercherei sull’isola un pallone da basket con la scritta Wilson e costruirei il mio Venerdì.

In che modo sta influendo l’isolamento di questo periodo su di te?

L’isolamento non mi spaventa, vivo in un paesino di tredici persone nella maremma Toscana. Solitamente non esco molto e non mi piacciono le inaugurazioni, le fiere e il grande circo dell’arte. Visto che vivo in campagna, in questo periodo, mi dedico all’orto, alle piante del giardino e alla cucina. Soprattutto faccio il pane, mettere le mani nella farina e impastare mi rende felice.