Tapeland Raul Gabriel

Si chiama Sinfonia ed è parte dell’ultimo ciclo di produzione di Raul Gabriel. Tapeland è il titolo del suo progetto, curato da Paolo Bolpagni promosso dalla Fondazione Michetti, Fondazione La Rocca e Assessorato alla Cultura del Comune di Francavilla al Mare. La mostra, inaugurata il 26 luglio, sarà visitabile fino al 23 settembre al Museo Michetti dove è in corso anche la 74esima edizione del Premio dedicato.

L’estetica è sempre possibile fino a quando l’arte avrà da comunicare.

Raul Gabriel nasce in Argentina per poi trasferirsi in Italia con l’idea di lavorare come musicista, tanto che la forza ritmica e la sensibilità musicale nelle arti visive si sente integralmente. Autodidatta con autodisciplina, un ricercatore di nuove forme di espressione capaci di arrivare al fruitore. 

È un outsider che opera al di fuori dei canoni dell’establishment artistico, distinguendosi per la non conformità e un punto di vista proprio. Scrive di intelligenza artificiale e ricerca un linguaggio binario che sia riconosciuto come suo algoritmo visivo capace di parlare di arte a tutti.  Ogni sua mostra non è mai uguale, crea dialogo tra artista e curatore e fa nascere una conoscenza e una costruzione dove ognuno ha un compito.

Tapeland è il concerto composto per questa occasione da diversi materiali e supporti, di suoni, da video installazioni e videoscrittura. In questa mostra l’artista indaga sul linguaggio dell’arte frammentando l’estetica artistica (dopotutto l’artista che vuole definirsi tale deve avere un proprio modo di esprimersi e creare il proprio alfabeto riuscendo così a comunicare) perché tra le sue consapevolezze, maturate nel tempo, c’è l’obiettivo che l’arte debba essere prima di tutto comunicazione. Se non comunica non è effettivamente arte o per lo meno non lo è nella concezione dell’artista Raul Gabriel.

Sono progetti diversi ma riconoscibili nel segno, nel gesto e nei materiali coniati per esprimere la complessità del mondo. Perché alla fine l’oggetto delle opere non è la figura in sé, né opere che rappresentano, ma opere che denotano, dove l’oggetto è il mondo e la realtà presa nella sua essenza, andando al principio di ogni cosa. 

Nella grande sala che accoglie le tele di F.P. Michetti, che in questa occasione sembra ricordare quei musei oltreoceano in piccole proporzioni, si potranno osservare dipinti realizzati su grandi supporti inconsueti come il polistirolo. Nascono utilizzando materie chimiche come la colla epossidica nitro e  la gestualità in dripping art che interagiscono con questo supporto creando un segno visibile, di qualcosa che mangia e distrugge in maniera reazionaria e naturale. Sono solchi su materiale leggero e  ci danno risposta di quello che è in superficie con le sue incomprensioni e la percezione del degrado, di quello che fa male. 

La Digital art su cartone ondulato industriale confonde la percezione di quello che si vede. Grandi dipinti che non lo sono smuovono sensazioni di benessere e mancanza di realtà, un paradosso della nostra società sovraesposta di immagini tanto da necessitare di qualcosa che la contraddica come segno di provocazione, che riesca a comunicare.

Suoni discordanti e fuori tempo, che tendono quasi ad allontanare lo spettatore, accompagnano due video installazioni: parole che si ripetono ossessivamente, War e See, ma con uno scarto, di tanto in tanto,  in questa ripetizione dello stesso termine dove emerge l’errore e l’irregolarità. Il senso è lo scardinamento della ripetizione scaturendo alla vista, e nelle persone, un nuovo significato.

Il significato di Tapeland nasce dalla nuova rappresentazione che Raul Gabriel dà al nastro carta, inconsistente all’inizio e nemmeno povero ma con forte potenziale di lettura estetica. A volte le linee strutturate dal nastro carta creano delle gabbie interiori ed esteriori che, se rilette dal e nel proprio alfabeto, liberano e producono nuovi simboli e significati. Rileggere le forme per dare un nuovo modo di comunicare è l’esercizio dell’artista, cosicché il nastro carta diventa la rilettura di quello che non aveva senso.  In queste opere, e nelle video installazioni, ci si sofferma e ci si accorge che il messaggio è struttura non complessa, ma si combina in maniera comprensibile con il presente. Citando l’artista: la forma estetica è sempre possibile, non esiste un cumulo, un qualcosa, frammenti in cui la forma estetica sfugge. Il problema è essere in grado di ristrutturarla, di riconoscerla, di rileggerla e di avere l’atteggiamento attivo nel confronto di quello che noi riteniamo caos. Ma caos non è mai. E da qui ritrovare la poesia nell’impoetico.

L’arte è linguaggio, l’arte è comunicazione e Raul Gabriel vuole lasciare una traccia e soprattutto comunicare spiega il curatore Paolo Bolpagni, che di questa mostra è co-protagonista nel suo compito più arduo: quello di riportarci alle origini di una visione del fare arte.

Raul Gabriel vuole farci immaginare che il mondo sia sull’orlo della distruzione e ciò che è evidente lo vediamo e lo percepiamo. Ci indica un suo linguaggio binario e artificiale, che chiede flessibilità per cambiare, energia  e capacità di rimontare le cose. 

Tapeland è la possibilità di vedere una struttura estetica di ciò che siamo.