Lorenzo Montinaro Senza titolo (Epilogo), 2024. Courtesy l’artista e Fondazione Merz

Sacro è

In un’epoca il cui il tradizionale senso del sacro è stato spodestato da nuovi paradigmi la mostra Sacro è della Fondazione Merz questiona 8 artisti internazionali ponendoli in dialogo con alcune opere di Mario e Marisa Merz. Il titolo della mostra si ispira alla recente opera poetica Sacro Minore di Franco Arminio (Bisaccia, 1960). La mostra è a cura di Giulia Turconi.

Sacro non è raccontare ciò che non sai/ma quello che ti commuove e non sai perché”.

Franco Arminio

Sacro è Tutto (2018), risponde prontamente Matilde Cassani (Domodossola, 1980) accogliendo i visitatori con un sipario calato in velluto rosso che delimita l’inizio del percorso. L’opera invita a varcare l’ingresso della mostra come in un rito di passaggio. Sul fiammeggiante drappo è ricamata la parola “tutto” a lettere cubitali, un elogio alla sacralità della vita stessa tra memoria collettiva e tradizione. Concepire ogni cosa come sacra permette di accettare l’esistenza nella sua totalità rispettandone anche la morte.

Superata la prima soglia l’ambiente diventa gelido e tetro ricoperto interamente di teli in plastica retroilluminati da una luce fioca. Giuseppe di Liberto (Palermo, 1996) realizza un’atmosfera opprimente dedicata al tema del trapasso. L’ambientazione è stata creata per la performance site specific Sparge la morte (2022-2024) guidata dai madrigali del compositore Carlo Gesualdo (1566-1613). Lo spettacolo, messo in scena durante l’inaugurazione della mostra, era carico di quel pathos religioso tipico dei funerali del meridione italiano. La salma era rappresentata da un neon come a significare la fragilità e la precarietà dell’essere umano.

Matilde Cassani, Tutto, 2018, produzione Manifesta 12 Palermo, Courtesy l’artista e Fondazione Merz.

Nella sala seguente orchidee recise sparse, una corona di crisantemi e diverse lenzuola adagiate tra cumuli di terra ornano il pavimento. I fiori simboleggiano la caducità della vita incarnando la condizione mortale di ogni essere vivente. Sulle pareti completa la grande installazione la scritta da cui prende titolo l’opera (2024), Dì tutta la verità ma dilla obliqua, dedicata alla poesia di Emily Dickinson (1830-1886). Quỳnh Lâm (Saigon, Vietnam, 1988), in accordo con le parole della poetessa statunitense, crede che sia necessario svelare il sacro un poco alla volta poiché “il successo sta nel cerchio”, recitano i versi. Accanto alla imponente installazione piccoli dipinti su tavola ritraggono una serie di volti femminili che sembrano raccolti in un silenzioso cordoglio, sono le opere di Marisa Merz.

Quỳnh Lâm, Dì tutta la verità ma dilla obliqua (Tell all the truth but tell it slant), 2024, installazione site specific, courtesy Fondazione Merz.

La terra è sicuramente uno degli elementi presupposti del sacro, da cui nasce e finisce la vita, ma GianMarco Porru (Oristano, 1989) pone l’attenzione sull’acqua, soggetto fondamentale di molte tradizioni. Che si tratti di acqua benedetta o del suo affascinante legame con la luna durante le maree questa sostanza fondamentale alla vita è per l’artista sardo l’espressione del sacro. Porru svela lo stato di evasione totale con la frase “in segreta estasi” che percorre l’opera come il moto apparente del sole, da est ad ovest. All’interno della cornice mani in ceramica smaltata reggono una candela azzurra che sembra essersi sciolta in una moltitudine di colori come in un rituale magico. Uma Fonte (2023-2024) esprime una mitologia personale composta da contaminazioni religiose ed elaborazioni del sacro che confluiscono nella creazione di una fontana dalle sembianze fantastiche, una sorta di altare votivo pagano. Il lavoro è un’installazione site specific che perfettamente si armonizza con l’architettura dello spazio, in dialogo con le storiche opere di Mario Merz.

GianMarco Porru, Uma Fonte, 2023–2024, installazione site specifc, courtesy l’artista e Fondazione Merz.

In una maniera simile, Tiphaine Calmettes (Ivry-Sur-Seine, Francia, 1988) ricrea un ambiente familiare attraverso quattro installazioni composte da argilla, cemento, metalli e altri materiali. I visitatori sono invitati a sedersi su Banc serpent (2022) per sorseggiare una tisana a base di liquirizia e altre erbe custodita nel ventre di Vinagrier chien ailé (2022) un gargoyle ripiegato nell’incavo di una piccola grotta che ricorda le fauci di una creatura rocciosa mitologica. Ancora più grottesco è Hutte à mains (2022) un forno dall’aspetto mostruoso in cui l’artista ha cucinato una zuppa, definita esattamente un “brodo primordiale”, offerta al pubblico durante l’inaugurazione. I capelli della creatura sono composti da cucchiai in ceramica e i suoi occhi sono i gusci di ostriche. Il sacro diventa la condivisione di un pasto cucinato con ingredienti semplici attraverso strumenti artigianali in un ecosistema creato dall’artista che riporta al richiamo embrionale della vita.

Tiphaine Calmettes, Soupe Primordiale: Hutte à mains, 2022, courtesy Fondazione Merz.

Lorenzo Montinaro (Taranto, 1997) continua la riflessione sul tema della morte. In C’eri (2022) ceri votivi spenti, ordinati su uno scaffale da magazzino, conservano le preghiere. Nella stanza vecchi genuflessori in legno sembrano sopravvissuti ad un incendio, segnati unicamente dalle ginocchia dei cristiani che ripetutamente hanno innalzato da lì le invocazioni. Davanti un altare la cui pala non riproduce le tradizionali raffigurazioni sacre ma sembra aver assorbito gli intangibili pensieri dei credenti, posta volutamente all’altezza degli occhi. L’opera si compone di frammenti di marmo assemblati tra loro, appartenenti alle vecchie lapidi di una moltitudine di anime ormai silenti. Al suo centro solo una paio di foto in cui i volti, incompleti, perpetuano la sensazione di assenza. La stanza è allestita in maniera minimale, gli inginocchiatoi che generalmente fanno parte degli sfarzosi ambienti liturgici sono inseriti all’interno della white room sprigionando la propria carica mistica.

Tommy Malekoff, Desire Lines, 2019, courtesy l’artista e Fondazione Merz.

La mostra si conclude nel piano sotterraneo dove su un grande schermo è proiettato il fantasmagorico video di Lena Kuzmich (Wien, Austria, 1998), artista non binaria che esamina l’ecologia queer all’interno della natura, interrogandosi sulla creatività e diversità delle specie terrestri. Ne sono un esempio gli animali ermafroditi come le farfalle ginandromorfe, mutate in seguito alla distribuzione non bilanciata dei loro cromosomi.

Sacro è – scrive l’artista- “protendersi per ascoltare l’altro con genuino interesse, riconoscere l’inesauribile intrico che sottende la vita in ogni sua forma”.