Hovering
Hovering, Capsule Venice, 2024. Installation view. Courtesy: Capsule Venice. Photo Credit: Riccardo Banfi.

Hovering

Metamorfosi, materialità e spazio sono le parole chiave della seconda mostra della Galleria Capsule di Shanghai, recentemente sbarcata negli spazi della Fondazione Giorgio e Armanda Marchesani a Venezia.

Curata da Manuela Lietti, questa mostra polivalente propone un dialogo sui limiti del genere, del corpo e dello spazio attraverso il lavoro collettivo di tredici artisti provenienti da diverse parti del mondo. 

In linea con la motivata vocazione della galleria a sostenere gli artisti emergenti, la mostra è composta per la maggior parte da nuove produzioni di artisti che collaborano per la prima volta con Capsule, consolidando così questo spazio come una solida realtà capace di incubare ricerca e talenti emergenti di alto livello. Svelando quella che potrebbe essere una proposta interessante nel panorama artistico veneziano, dove l’emergente sta negli ultimi tempi dando una risposta importante all’istituzionalità più consolidata, la galleria si integra molto bene nel fenomeno crescente di nuovi spazi, reti e collaborazioni che puntano a uno sviluppo artistico che includa il locale, evitando di limitarsi all’idea di Venezia come mera isola vetrina.

La mostra si apre con una scultura di Nicki Cherry (Lafayette; 1992) che attinge alla propria esperienza fisica per esprimere la risposta del corpo conscio e inconscio, a stimoli quali il piacere, il dolore, la soddisfazione, il desiderio e la paura, attraverso corpi antropomorfizzati che mutano e si rigenerano come breve prologo ai temi affrontati nel percorso espositivo.

Nella sala al piano terra troviamo le fotografie in bianco e nero di Bryson Rand (Phoenix; 1982) che rendono omaggio alle persone, alle comunità e agli spazi che hanno un legame diretto con le storie queer. La delicatezza e il romanticismo con cui vengono affrontati il corpo, il paesaggio e le correnti dei suoi fluidi si confrontano con le sculture di Elizabeth Jaeger (San Francisco; 1988) che ritraggono la negoziazione tra spazio ed emozioni dove la figura femminile oscilla tra la malinconia e il godimento della libertà in uno stato di sospensione emotiva.

Mitologia, leggenda e saggezza popolare sono i punti di confluenza dei due artisti che troviamo nel corridoio del primo piano. Da un lato, Emiliano Maggi (Roma; 1977) a partire dalla sua identità di artista, attore, musicista e performer esplora le ibridazioni tra il corpo e i regni animale e vegetale, facendo appello all’ambiguità delle sensazioni e dei materiali. In contrasto, Marta Roberti (Brescia; 1977) enuncia il legame tra l’individuo e il cosmo; l’individuo e la natura lavorando sui confini sfumati tra spazio interno ed esterno. Facendo appello alla qualità trasformativa del femminile, l’artista -spesso protagonista delle sue stesse opere- agisce sia come soggetto che come oggetto, depositario ed esecutore della fede, come spiega la curatrice.

Al centro della mostra ci sono le idee sullo spazio e sul tempo. Kemi Onabulé (Londra; 1995), affronta la dimensionalità e le esperienze liminali attraverso i suoi dipinti in cui il soggetto è solitamente contenuto in un’esperienza micelica ineffabile e inconoscibile nel continuo processo del divenire. A sua volta, il valore che il tempo conferisce a determinati materiali costituisce il fulcro della pratica di Leelee Chan (Hong Kong; 1984) che, attraverso la giustapposizione di elementi artificiali e naturali, rinegozia il rapporto tra la materia e la sua adattabilità.

Affascinante uso dell’IA da parte di Morehshin Allahyari (Teheran; 1985) che mette in discussione i pregiudizi di genere nella società persiana a causa delle influenze occidentali. L’artista rivendica i canoni utilizzando la letteratura per creare ritratti che sfidano radicalmente la tradizione pittorica imposta. I canoni, ma questa volta sul corpo femminile, colorano la narrazione collettiva nelle opere di Ivana Bašić (Belgrado; 1979) e Sarah Faux (Boston; 1986) che utilizzano il significato simbolico di materiali e colori per affrontare temi legati alla fisicità come l’immaterialità e la dissoluzione del corpo associata alla morte o la percezione personale dell’intimità, del carnale e del transitorio, ricorrenti in pratiche note come quelle di Eva Hesse o Ambra Castagnetti dove le tensioni intrinseche dei materiali influenzano una parente riflessione.

Nelle opere di Catalina Ouyang (Chicago; 1993) in una piccola stanza da giardino e non per niente, la plasticità delle forme viene affrontata attraverso il riutilizzo di materiali di scarto accumulati dall’artista, con i quali costruisce figure evocative di parti del corpo decontestualizzate, evidenziandone le potenzialità quando sono allontanate dalla loro origine. Il prototipo come idea è affrontato in modo diverso nella pratica di Lucy McRae (Londra; 1979), che presenta un’opera video del corpo come strumento per interrogare la natura dell’ego, dell’origine, del pensiero e dell’immaginazione.

Di grande forza è l’insieme delle opere conclusive di Young-jun Tak (Seoul; 1989) con il suo parallelismo di discontinuità di genere e condizionamento tra il rituale cristiano andaluso dei soldati che portano il crocifisso il Giovedì Santo e il balletto “Manon”, in cui i danzatori maschi venerano e sollevano costantemente la protagonista femminile. Qui lo spettatore si è esplicitamente posto di fronte alle analogie tra sacro e profano, utilizzando i movimenti del rito e i simboli della sottomissione e della lotta per il corpo, il suo significato e i suoi limiti.

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Hovering
dal 6 aprile al 23 giugno 2024
Morehshin Allahyari / Ivana Bašić / Leelee Chan / Nicki Cherry / Sarah Faux / Elizabeth Jaeger / Emiliano Maggi / Lucy McRae / Kemi Onabulé / Catalina Ouyang / Bryson Rand / Marta Roberti / Young-jun Tak
Fondazione Giorgio e Armanda Marchesani, Venezia