L’arte è una cosa seria? Eppure c’è qualcuno che ride. Lo scompiglio intorno al Padiglione Italia 2024, Due Qui/To Hear, ad opera dell’artista Massimo Bartolini, con la curatela di Luca Cerizza, non ha tardato a manifestarsi. Anzi, già alla sua inaugurazione si sono sollevati fischi e schiamazzi. E, per quanto il neo presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco abbia tentato con diplomazia di accogliere il dissenso – ricordando la “Rissa in Galleria” di Boccioni e “i baffi della Gioconda” – non è riuscito nell’intento di salvare la situazione.
Infatti, prima di lui in conferenza stampa – alla presenza di artista, curatore e Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano – il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro ha affermato: “A me sinceramente questo Padiglione Italia non è piaciuto. A me piace il figurativo, spero che il prossimo Padiglione possa essere così”.
Un commento schietto, franco – forse anche troppo dato il contesto – al quale sono seguiti articoli critici che cupamente bisbigliano tutti più o meno così: “l’arte è una cosa seria”, “la cultura è una cosa seria”. A ricordare il lugubre scenario pirandelliano della novella “C’è qualcuno che ride”, dove tre figure scappano da un raduno a causa delle loro risa spontanee, inseguiti da una folla minacciosa che poi li spaventa a propria volta con un’enorme e agghiacciante risata.
Nessuno ha tentato di spiegare perché sarebbe invece da ammirare l’operazione artistica di Bartolini alla Biennale di Venezia. Infatti il focus del dibattito, sorprendentemente, è virato presto sul commento del sindaco, che – a detta di alcuni critici ‘impressionisti’ – avrebbe “creato un senso di sfiducia verso il made in Italy”. Come se la responsabilità di rappresentare al meglio l’Italia dell’arte non fosse stata di Bartolini, ma di Brugnaro. E, soprattutto, dimenticando che un testo critico è una pratica letteraria che deve attuarsi nell’ambito di una lotta per il valore. Non nell’ambito di un azzeramento del giudizio altrui privo di argomentazioni.
Ad ogni modo, in cosa consiste, nei fatti, il progetto Due Qui/To Hear? Si tratterebbe di un iter immersivo e sonoro, di invito al silenzio e all’ascolto entro una selva di tubi metallici, con una fontana circolare nel mezzo e un piccolo Buddha. Percorso il quale sorge una domanda lecita: in quale misura, in che modo l’idolo di una religione asiatica e le note di un celebre compositore inglese e di una musicista del Colorado rappresenterebbero l’Italia? Bartolini, dunque, avrebbe mancato l’obiettivo, forse l’unico obiettivo richiesto a chi è chiamato a rappresentare un qualsivoglia Padiglione: quello, cioè, di continuare la missione.
“Il mio impegno è quello di creare la massima astrazione possibile” aveva annunciato Bartolini al Ministero della Cultura di Roma, in occasione della presentazione del suo progetto. Infatti così è stato. Il Padiglione Italia si è astratto dal suo compito. Ed è opinione di molti che un’altra pecca sia quella di affidare ad un singolo artista onori ed oneri di offrire dell’Italia un affresco reale e non metafisico ed iper-soggettivo. In questo senso, il sindaco di Venezia non ha tutti torti per altro, considerando che, sotto gli occhi di tutti, l’Italia, piaccia o meno, sta attraversando un’ondata di abbondante ritorno al pittorico e al figurativismo. Così, i tubi innocenti di Bartolini si fanno doppiamente “colpevoli”.
È quasi certo, d’altro canto, che se un museo votato all’arte contemporanea del nostro Paese avesse accolto nei propri spazi il progetto dell’artista per una sua personale, nessuna delle aspre critiche che si sono sollevate nei confronti del Padiglione Italia sarebbero emerse. L’errore di valutazione, se così si può definire, sta quindi nell’aver calato Due Qui/To Hear nel circuito Biennale. Al di fuori di esso la composizione ideale di Bartolini, propedeutica e spiritualista, avrebbe potuto incontrare il plauso di tanti.
Nel riflettere attorno a questa vicenda non ci si può non scandalizzare – ancora – della preoccupante e ancipite dinamica socio-politica che si respira negli ambienti italiani di cultura.
Dietro le quinte, infatti, un articolo non pubblicato può già essere condannato, un monologo non recitato diventa motivo di scandalo.
In pubblico, viceversa, ciascuno si dice fervidamente contrario al politically correct. Una infetta tendenza, quest’ultima, che ci arriva con costanza, insieme ad altre mostruosità pseudo-culturali, dagli Stati Uniti o più in generale dal mondo anglosassone e che si cerca di combattere invano. Poiché i militanti sono i famosi “quattro gatti”, in fuga dalla folla minacciosa di pirandelliana memoria.
Le conseguenze sono molteplici. Critici e giornalisti sono costretti a fare pubblicità. Ossia a dare le dimissioni (Sanguineti). Mentre ipocrisia e terrore dilagano in società, nei salotti, nei luoghi d’incontro della cultura, dove non si sa mai se dietro ad un commento amaro si cela in realtà un parere positivo represso.
Nessuno vuole essere additato come bastian contrario, ma se appena qualcuno ha il coraggio di strappare il cielo di carta del comune consenso, allora tutti accorrono con commenti liberatori – spesso estremi, talvolta ingiusti – poiché tenuti in serbo e con livore da troppo tempo.
A fare da apripista, in questo caso, sono stati il sindaco di Venezia e Vittorio Sgarbi che, ancora prima, aveva asserito enfaticamente: “Il padiglione Italia è un orrore contro l’umanità, farò un esposto”.
Tornando alle attuali censure, sembra che esse sortiscano comunque l’effetto contrario al ripristino dell’ordine prestabilito da parte delle autorità e dalla comunità dei benpensanti.
Infatti, se il testo di Antonio Scurati non fosse stato respinto, le sue parole sarebbero rimaste entro i confini nazionali, invece, censurate, sono finite sui giornali di tutto il globo: il Guardian, Le Monde e via dicendo.
È nuovamente il mondo alla rovescia, dove tutto va bene e niente va bene. Considerando questo che importanza ha se in molti ritengono che Bartolini abbia mancato il suo obiettivo? Come scriveva Oscar Wilde “non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli”. E del suo Padiglione se ne parlerà, riparlerà, straparlerà.