Certe cose si possono dire con le parole, altre con i movimenti, ma ci sono anche dei momenti in cui si rimane senza parole, completamente perduti e disorientati, non si sa più che cosa fare. A questo punto comincia la danza. Pina Bausch
Largo: Giardino con la luna piena, questo il titolo dell’ultimo lavoro dell’artista visiva Samantha Stella, realizzato e portato in scena sul prestigioso palco del Teatro alla Scala di Milano durante la scorsa design week meneghina, nell’ambito della serata d’onore a Edra, eccellenza italiana nel settore arredo che, attraverso l’arte, ha inteso omaggiare il designer giapponese Masanori Umeda.
Una intensa e affascinante installazione perfezionata da una attenta ricerca dei costumi di scena quella a cui Stella ha dato vita, restituendo ai presenti una intimità estetica e simbolica nell’atemporalità teatrale. Sul palcoscenico milanese l’artista compie l’attualizzazione rituale del sacro fuoco che, accompagnata dalla coreografia creata da Matteo Levaggi per i danzatori della Scuola di ballo del teatro milanese e le musiche di Johann Sebastian Bach eseguite dalla violoncellista Sofia Bellettini, dischiude simbolicamente la plumbea rosa in Opera. Il palco si accende e illumina la scena, cuore e corpo sono vivificati, ardono alla luce chiara e piena di Selene.
In Largo: Giardino con la luna piena Stella ci apre alla poesia della materia essenziale, siamo nella filosofia del corpo, nell’embodiment che attraversa il senso, la storia e il mito e ci riporta a noi. È lei stessa nella dimensione di un divino incarnante fierezza, presente a difesa dello spazio sacro, il teatro d’arte che ‘guarda’. Un lavoro di accordi, dove il corpo rivisitato e rivestito dall’artista si muove, comunica e danza ogni espressione e linguaggio; nella diversità tutto è armonia in un unico ensemble. Arte contemporanea, danza e design divengono un atto solo, un autentico insieme, l’opera in arte e viceversa. Ebbene, entrando nella vitalità del teatro che parla e agisce al centro, in quel territorio trascendente che infiamma le sottili vie dell’invisibile che ci uniscono e, mediante le quali, ci riconosciamo, è necessario incontrarsi e decidere di condividere il proprio sacro, il segreto indicibile e indefinibile del senso dell’universo, nostro. Avvisi quindi il bisogno di entrare in relazione con l’artista, come in questo caso con Stella, demiurgo che riesce ad attivare processi significanti, laddove l’eterogeneità espressiva e le variegate collaborazione artistiche risultano sempre lavoro di arricchimento ed elevazione verso sfere che valicano l’estetica formale, toccando corde che generano risonanze e partiture abissali, ignote.
Dunque, a distanza di alcuni mesi da Largo: Giardino con la luna piena e, con la dovuta riflessione che questo ultimo lavoro merita, abbiamo deciso con l’artista di aggiornarci per un confronto, per parlare di Arte in una modalità trasversale e multidisciplinare, approccio che la nostra porta avanti da anni attraverso espressioni e linguaggi differenti, sempre con attenta ricerca, cura e raffinatezza.
La pratica di Samantha Stella. Relazioni, riflessioni e visioni in un ensemble
Difatti, l’ultimo progetto per Edra, eccellenza italiana nel campo dell’arredo design, che Samantha Stella ha portato in scena sul palco del Teatro alla Scala di Milano, offre una visione ampia e, al contempo, dettagliata della sua pratica artistica, sempre votata alla sperimentazione espressiva del corpo, da lei rivisitato e rivestito in relazione allo spazio, al suono e al senso dell’opera che diviene e si fa essa stessa Opera. Nel suo lavoro il corpo rivestito respira, non c’è chiusura o costrizione, è evidente la restituzione di un senso, sono corpi comunicanti che lievitano senza mai essere soffocati da una forza simbolica la cui presenza non ha peso, ma partecipa attivamente a un equilibrato disegno, a una idea estetica che restituisce una forma di eterea leggerezza. E nella sublime coralità artistica si ravviva l’azione lirica che nel teatro ritrova la sua valenza di spazio partecipativo ed esistenziale. Siamo in una stanza intima…seppur aperta al pubblico.
Ma entriamo nel vivo dell’opera d’Arte…
Il tuo intervento Largo: Giardino con la luna piena si configura come la restituzione al corpo di un’intimità rappresentata proprio dal palco del teatro, luogo simbolico per antonomasia di vita che si trasforma, di passaggi intra ed extra sensoriali. Il sipario difatti non è che una traslazione, un attraversamento che ci apre a una nuova dimensione altra che, da personale/interna, si fa collettiva/esterna. Sul prestigioso palco milanese hai restituito una narrazione visiva ispirandoti alla storia dell’Opera, da te rivista e reinterpretata, come stanza dell’entrosentire tradotta artisticamente in una pièce, al centro di un palcoscenico che è il cuore vivo dell’Opera. A riguardo, credo oggi sia ancor più urgente il bisogno di parlare dell’arte in termini trasformativi e di cambiamento personale e collettivo, allorché risulta fondamentale e sostanziale il valore di insieme, della collaborazione e del progettare unitamente aprendosi agli spazi della fragilità che schiudono scenari umani unici. Come in questo nostro incontro, laddove il sipario si alza e comincia la danza ed entrambe, senza attaccamenti logici, seguissimo un ritmo…Pertanto, desidererei con te partire dall’inizio, dalla fase preparatoria, dal tuo immaginario backstage, da quel prima di tutto…dalla tua visione.
Sono tanti i temi sui quali mi piacerebbe ci soffermassimo, ma vorrei partire dal tuo bisogno.
Amalia Di Lanno Ci parli del suo significato e di come nasce in te l’idea che da tua si fa altra, insieme. Non è semplice armonizzare lingue diverse, come il design, la danza e l’arte contemporanea in un movimento dell’essenza…Come sei riuscita a rendere un personale immaginario condivisibile con gli altri protagonisti del progetto. Ovvero, come nel processo la narrazione visibile si è fatta condiVisibile.
Samantha Stella Cara Amalia, confrontarsi con te è sempre un’esperienza accrescitiva, non solo perché ci in-seguiamo da molti anni, ma perché c’è un intrinseco approfondimento nelle tue osservazioni che crea una riflessione altra, obbligandomi a descrivere un processo che in me avviene in maniera del tutto spontanea e talvolta inconsapevole. Partiamo dalla genesi di questo progetto e quindi dai protagonisti altri, con ognuno dei quali condivido la stessa importanza e responsabilità nell’esito del tutto.
Largo: Giardino con la luna piena è una coreografia di Matteo Levaggi, originariamente creata nel 2007 per il Ballet du Grand Théâtre de Genève su musiche di Šostakóvič per i due celebri ballerini Céline Cassone e Bruno Roy. Nel 2022 è stata ripresa da Matteo per i danzatori della Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala diretta da Frédéric Olivieri, aggiungendo una figura maschile e cambiando la musica in una suite per violoncello di J.S. Bach. Una danza forte della tecnica classica, ma virata verso un vocabolario di movimento più contemporaneo ed energico.
Per chi non conosce il mio percorso artistico, e per poter comprendere questa ultima creazione, apro una parentesi sulla mia collaborazione con Matteo, attualmente coreografo nel Corso di Perfezionamento in danza classica e contemporanea dell’Accademia Teatro alla Scala. Il nostro incontro risale al 2007, anno in cui Matteo vide la mia personale in una galleria d’arte a Torino (all’epoca firmavo le opere a nome Corpicrudi insieme al mio partner artistico Sergio Frazzingaro), e mi contattò chiedendomi di trasporre in una installazione di scena per un suo balletto il concept della mostra, improntato sulla Vanitas seicentesca e sul conflitto tra eternità e caducità. Fu l’avvio di una collaborazione molto fertile che ha portato negli anni le nostre opere congiunte su palchi prestigiosi a Lyon, New York, Miami, Belgrado, oltre ai principali teatri italiani, nonché in contesti cinematografici, di moda e museali. La mia partecipazione nelle opere create con Matteo (dapprima a nome Corpicrudi insieme a Sergio, poi solo a mio nome), è stata di diversa entità. Accanto alla coreografia firmata da Matteo, di base mi sono occupata dell’estetica, firmando il set e i costumi di scena, sono stata co-autrice o autrice del concept, spesso abbiamo utilizzato danzatori di corpi di ballo (in primis il Balletto Teatro di Torino con cui entrambi abbiamo collaborato, Matteo è stato il coreografo residente per molti anni, io sono stata assistente alla direzione artistica per alcuni anni), altre volte abbiamo performato direttamente noi in scena, come è accaduto all’Ace Museum a Los Angeles, al Teatro Elfo Puccini a Milano e al Museo Madre a Napoli. È proprio in questa occasione, una commissione della Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee per un intervento performativo nel museo all’interno della retrospettiva sul fotografo newyorkese Robert Mapplethorpe nel 2019, che abbiamo coniato il termine “Matteo Stella Dance Arts” per ufficializzare una collaborazione di fatto in essere da molti anni, vicina al concetto di “Gesamtkunstwerk”, l’opera d’arte totale, introdotto nel 1827 dallo scrittore e filosofo tedesco K.F.E. Trahndorff e poi utilizzato da Richard Wagner: una sorta di teatro in cui convergono musica, drammaturgia, coreutica, poesia, arti figurativa, al fine di realizzare una perfetta sintesi delle arti, a sua volta riconducibile alle nove divinità dell’antica Grecia, le Muse, che rappresentavano l’ideale supremo di Arte.
Ma arriviamo al 2023 e ad un’altra protagonista di questo progetto, ovvero Edra, eccellenza italiana di design, che decide di omaggiare un suo autore giapponese, Masanori Umeda, con una serata al Teatro alla Scala andata in scena lo scorso aprile. Per la serata, oltre a due coreografie di Frédéric Olivieri, viene scelta anche “Largo” di Matteo, ma questa volta in un formato diverso, che include sul palco le sedute disegnate da Umeda e un numero allargato di tre danzatrici e tre danzatori. Mi viene chiesto di creare un’installazione di scena per il suo balletto, che intitolo “Largo: Giardino con la luna piena” attingendo dalla traduzione del nome giapponese di una seduta utilizzata a forma di giglio – Getsuen – e dalla suggestione creata dal nome dell’altra seduta, Rose Chair – una rosa. L’idea di un giardino mi introduce immediatamente dentro una visione, avuta in una giornata bellissima trascorsa anni fa nel giardino della Casa delle Vestali dell’antica Roma, sede del collegio sacerdotale delle Vestali che aveva il compito di tenere vivo il fuoco sacro della dea Vesta, divinità del focolare domestico, all’interno del Foro Romano. Decido di trasporre la mia visione sul palco: sul fondale una linea orizzontale formata da otto sedute Rose Chair diventa il Giardino delle Vestali. Scelgo tra le danzatrici otto corpi – le Vestali – riposti immobili seduti o in piedi accanto alle poltrone, e un corpo in piedi, quasi in proscenio – la dea Vesta – che connoto con una danzatrice di origine giapponese in omaggio al designer, in posizione simmetrica rispetto alla seduta su cui la violoncellista Sofia Bellettini esegue dal vivo la suite di Bach. Le mie Vestali diventano concettualmente le custodi del sacro fuoco della nostra Casa, il Teatro. Dopo un’affascinante ricerca negli archivi e nei magazzini del Teatro alla Scala, decido di portare in scena alcuni costumi ed accessori simbolo della sua storia attraverso le sue Opere di Lirica e di Balletto. Tra tutti, un velo disegnato da Pietro Zuffi per la produzione del 1954 proprio de “La Vestale” con regia di Luchino Visconti e la celebre Maria Callas. E ancora, un abito color crema di Giulietta dai costumi di Franca Squarciapino per l’edizione di “Romeo e Giulietta” del 1995 con coreografia di K. MacMillan, la spada e l’elmo dorati dalla “Giovanna D’Arco” del 2015 di Leiser/Caurier, e un tutù piumato che ci riporta alla celebre Odette de “Il Lago dei Cigni”. Per dare un’uniformità estetica, disegno e faccio realizzare dei body uguali in colore nero, di rimando classico balanchiniano, utilizzati sia dalle danzatrici in movimento che dai corpi immobili, abbinati a scarpette da punta con lacci anch’esse nere, colore che ho scelto per il tessuto delle sedute di Edra. Nere anche le calzamaglie classiche previste per i danzatori a torso nudo. Per dare risalto al tutto propongo tappeti da danza e fondale in colore bianco e, in collaborazione con il light designer Andrea Giretti, un’illuminazione bianca dai toni freddi – la luna – senza alcun cambiamento per tutta la durata della pièce, circa una ventina di minuti. Ancora una volta in scena, come spesso accade nelle creazioni con Matteo, il confronto tra i “miei” corpi immobili e i “suoi” corpi in movimento, potenti e aggraziati al contempo, senza prevaricazione alcuna dei diversi elementi, ma anzi in processo simbiotico, grazie anche alla reciproca fiducia, al dialogo durante la costruzione dell’Opera, all’implicita intesa di intenti, e nella consapevolezza che opere di questa tipologia siano possibili solo grazie alla riuscita coordinazione e cooperazione delle molteplici entità coinvolte, non solo in termini di creazione e direzione, ma soprattutto in termini di realizzazione pratica, compresi quelli che si potrebbero chiamare i “protagonisti invisibili”. Il risultato è un quadro che attraversa il tempo e le diverse narrazioni dando vita a una nuova narrazione, un “equilibrato disegno”, per utilizzare i tuoi termini, dal sapore più vicino ad una installazione museale che ad una pièce teatrale, elemento sicuramente inusuale per il Teatro alla Scala. Un unico gesto della dea Vesta annuncia il termine della pièce, io e Matteo (che assistiamo allo spettacolo dall’enorme dietro alle quinte insieme a un ingente numero di tecnici, macchinisti, coordinatori, parrucchieri, truccatori, sarti e danzatori dei due altri balletti), usciamo sul palco nel momento degli applausi insieme alla violoncellista e ai danzatori. Ci stringiamo forte la mano, nutrendoci per un attimo di corale felicità. La committenza, gli addetti ai lavori, i giornalisti e il pubblico dell’imponente teatro in sold-out sono entusiasti. Questa credo sia la mia, e di Matteo, più grande soddisfazione.
Ritornando alla tua domanda e alle tue considerazioni iniziali, questo è in sintesi il processo creativo che applico, fornire una sostanza concettuale-estetica e sovraintendere ai diversi elementi protagonisti dell’Opera d’Arte – ciò che tu definisci “armonizzazione” -, partendo da un mio personale immaginario che rendo condivisibile attraverso una simbologia attinta perlopiù dal nostro passato storico. Poi si entra in merito dello stile, dei segni, dei colori, dei simboli, ossessioni che ci portiamo dietro in ogni creazione, distinguendoci e rendendoci riconoscibili. Come mi disse una volta la critica d’arte Francesca Alfano Miglietti, che curò la mia performance “Sinfonia in Rosso” e la mia personale “God Loves You”, ogni artista reitera i suoi segni distintivi pressoché per tutta la vita. Un triangolo tracciato a terra, un’antica divinità, immobilità, corpo, fiori bianchi, ritualità, sacro…Potremmo parlare per ore del mio reiterare attorno ai concetti di Eternità e Caducità, di Bene e Male, di Paradiso e Inferno, partendo dal presupposto che l’unica cosa con cui abbiamo a che fare in Vita sia la Morte.
Amalia Di Lanno Qual è il tuo rapporto con l’Opera intesa come generatrice di un’altra Opera nella quale ci e ti immergi nell’atto stesso in cui processi un’azione, sia essa installativa, visiva o performativa.
Samantha Stella Direi che l’atto di immersione dentro alla creazione di un’Opera è un processo di elaborazione personale del tutto misterico, profondo, ancestrale, privo di un ragionamento a fonte, che sicuramente attinge dal bagaglio esperienziale stratificato negli anni, ma che nasce da un’intuizione che potremmo definire divina. Un processo autentico e direi poetico che, nel mio caso, partendo dalla danza contemporanea, mio primo linguaggio, mi ha avvicinato alla performance, alla fotografia, al video, all’installazione, alla scrittura, e poi ancora, negli ultimi anni, alla voce e alla musica, grazie alla collaborazione in atto con il songwriter dark folk e partner Nero Kane, con cui ho partecipato alla stesura di due album, considerati dalla critica di settore tra i migliori album italiani dell’anno di pubblicazione – 2020 e 2022 – e mi sono esibita, ed esibisco tutt’oggi, a Los Angeles e in tour in Europa e Regno Unito. Non trovo vi sia alcuna differenza di importanza tra i diversi linguaggi espressivi, ma come ogni diversa Musa, ritengo che tutti concorrano al raggiungimento dell’ideale supremo di Arte. Da essi attingo a mio piacimento, spesso in un’intrinseca esigenza di coralità, che si traduce in termini pratici in inevitabile collaborazione con entità altre, nel processo di generazione di un’Opera e, come sottilmente notato da te, nella mutazione dell’Opera stessa in un’Opera altra, laddove, anche solo un elemento utilizzato, contiene in sé il seme per un nuovo progetto. Questo di fatto è accaduto in tutto il mio percorso artistico, e direi di vita, nell’acquisita consapevolezza che l’Arte sia il nutrimento e la salvezza della nostra anima in un mondo crudele. Da anni, inoltre, proprio per sottolineare l’importanza dell’Arte e della Musica, interrogo musicisti internazionali sul significato che attribuiscono a queste due espressioni attraverso interviste dal format fisso per la mia rubrica “Walk of Muses” sul magazine e network culturale Artribune, nata in seguito alla morte – e in suo omaggio – del Maestro Ezio Bosso.
Amalia Di Lanno In quale modo possiamo riconoscerti in quello che vediamo…?
Si potrebbe affermare che ogni Opera creata contenga noi stessi. Io sono la mano ferma che tiene la spada della Giovanna D’Arco nel Giardino con la luna piena, lo sguardo impenetrabile della dea Vesta che sfida l’infinito, la voce algida che dipinge il suo amore per Dio e il tormento inflittole dal Diavolo nel mio reading poetico su scritti di mistiche medievali “Racconti di Fede, Follia e Rivelazione”. Sono Mechthild – dal testo di una canzone che ho scritto – con i lunghi capelli rossi e l’abito di pizzo bianco che attraversa il deserto nel Far West americano su un cavallo in fuga dopo aver ucciso il suo sposo sull’altare della chiesa per unirsi al suo unico vero amore. Sono la Madonna raffigurata in un piccolo quadretto di Raffaello che ho immortalato nel deserto californiano nel mio film “Love in a Dying World”. E ancora, sono il sorriso delle giovani Vergini in bianche vesti che si tengono per mano in un incessante girotondo su un prato paradisiaco. O si potrebbe affermare al contrario che noi stessi non esistiamo, se non nel momento in cui diamo vita alle nostre visioni nelle nostre Opere, applicando quella “restituzione di un senso” di cui parli nella tua introduzione, che differentemente non riusciremmo a comprendere, essendo “completamente perduti e disorientati” – come recitano le parole dell’immensa Pina Bausch da te scelte – dinnanzi alla comprensione della nostra esistenza.
(Sì, cara Amalia, come ci siamo scritte, mi piace immaginarci – io, te e chi come noi – come gli Angeli di Wenders, che vagano invisibili in perenne ascolto tra le anime, messaggeri di Luce nel buio del mondo).
Grazie Samantha per aver condiviso con CUoRE la tua stanza intima in uno spazio comune e aperto.
courtesy EDRA, 2023
Largo: Giardino con la luna piena 19 aprile 2023
Teatro alla Scala – Serata d’onore di Edra in omaggio al suo autore Masanori Umeda ‘Flowers collection’
Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala – Diretta da Frédéric Olivieri – Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala – Direttore David Coleman
Coreografia Matteo Levaggi (ricostruzione della versione del 2007 per il Ballet du Grand Théâtre de Genève) – Musica Johann Sebastian Bach, Dalla Suite n. 1 in sol magg. per violoncello solo BWV 1007, Courante – Prélude – Sarabande – Allemande – Violoncello Sofia Bellettini – Installazione visiva e costumi per Edra Samantha Stella