Elisa Strinna è un’artista nata a Padova, diplomata all’Accademia di Bologna e, in seguito, allo IUAV di Venezia. La sua ricerca si concentra sulle connessioni e le relazioni generate tra umanità, natura e tecnologia nell’epoca contemporanea, con l’intento di contestare l’attuale convinzione del potenziale infinito di sfruttamento di risorse naturali, che sta portando alla distruzione di intere aree del pianeta. I suoi lavori indagano diversi media, dalla scultura al video e si configurano come installazioni immersive, dei microcosmi nei quali ipotizzare realtà altre in cui l’ambiente naturale e quello artificiale si fondono fino a destabilizzarci.
In Italia ha collaborato e collabora ancora con istituzioni pubbliche e private, ma dal 2018 vive in Olanda dove porta avanti ricerche e progetti indipendenti dal sistema del mercato, con diverse possibilità offerte dallo Stato e da enti privati che, supportati dalla collettività, garantiscono la prosecuzione delle sue ricerche artistiche e culturali.
Alice Ioffrida: Cosa ti ha portato a maturare la decisione di andartene dall’Italia e perché hai scelto l’Olanda?
Elisa Strinna: Sono andata via a 35 anni, in quel periodo lavoravo attivamente come artista in Italia già da 7 anni. Mi sono formata in Italia ed ho un ricordo positivo della mia esperienza allo IUAV che però ha coinciso con la crisi economica del 2008 con il conseguente taglio di fondi alla cultura. Ho lavorato con gallerie, sono stata ospite in residenze e ho partecipato a numerose mostre, ma raramente ho ricevuto un supporto adeguato, sia in termini economici che di produzione per la realizzazione dei miei lavori, questo non mi permetteva grande autonomia né libertà di proseguire la mia ricerca. In seguito, una serie di esperienze negative mi hanno fatto riflettere sul sistema dell’arte e sulle possibilità che hanno gli artisti (soprattutto donne) in Italia, quindi sono andata alla ricerca di un contesto che non fosse così compromesso e che lavorasse più sul merito che sulle conoscenze. Ho scoperto che l’Olanda offre dei programmi stipendiati per artisti della durata di uno o due anni. Questo mi avrebbe permesso di svolgere la mia ricerca con minori preoccupazioni economiche. In Italia queste realtà non esistono, ci sono tentativi simili ma sono situazioni più contenute, durano meno ed hanno meno fondi. Inoltre un problema che ho riscontrato in Italia è ciò che accade ‘dopo’; perché spesso al termine di un’esperienza ognuno torna a fare ciò che faceva prima. In Olanda ci sono tre Accademie finanziate sia da enti pubblici che privati che ospitano artisti dopo la laurea e che offrono residenze retribuite, permettendo agli ospiti di sviluppare la propria ricerca. Io sono stata ammessa alla Jan Van Eyck Academie di Maastricht.
A.I.: Com’è stata la tua esperienza alla Jan Van Eyck Academie?
E.S.: È stata un’esperienza formativa molto importante. Nel periodo di residenza sono riuscita a strutturare in maniera più organica il mio lavoro. Nella mia pratica artistica ho sempre utilizzato media diversi. Questi mi permettono di restituire i fenomeni che studio sotto molteplici aspetti. Inoltre, nel corso della Jan Van Eyck ho cominciato a sperimentare con l’installazione immersiva, ragionando sull’idea di una mostra come ecosistema o microcosmo, intesa come esperienza dove un soggetto viene rappresentato attraverso la complessità delle sue relazioni. La residenza mi ha fornito lo spazio, i mezzi, il tempo e il confronto intellettuale per dedicarmi a questa sperimentazione.
A.I.: Quindi è stato un periodo positivo ed è per questo che hai deciso di restare in Olanda? Che prospettive ti si sono aperte al termine della residenza?
E.S.: L’esperienza in accademia è stato uno dei motivi ma un altro motivo che mi ha portato a scegliere l’Olanda è che una volta terminata una residenza o un programma di studi è possibile accedere a un sistema di fondi e finanziamenti statali che permette di lavorare senza necessariamente il supporto di una galleria o una rete di collezionisti. Una cosa che manca in Italia manca è sicuramente il supporto da parte delle istituzioni, soprattutto per i giovani e mid-career quindi il ruolo di una galleria sembra determinante. Da quando sono qui sono riuscita a crescere molto con la mia ricerca ed ho ricevuto fondi da parte dello stato per produrre le mie opere e continuo ad esporre vivendo principalmente del mio lavoro. Ho i miei contatti fuori dall’Olanda e a volte lavoro in altri ambiti, ma apprezzo il maggiore rispetto e l’interesse presente per gli artisti che fanno ricerca.
A.I.: Spesso in Italia l’artista è portato a produrre per vendere, quindi viene condizionato dal mercato anche inconsciamente. Ciò fa sì che anche il processo creativo e la ricerca vengano influenzati in modo inconsapevole. Da quando hai la possibilità di vivere del tuo lavoro, è cambiata la tua ricerca o la tua produzione?
E.S.: La mia ricerca è sempre stata a metà tra concettuale e pratico non credo sia mai cambiata ed è uno dei motivi per cui ho scelto di lasciare l’Italia. Prima facevo fatica a trovare un contesto veramente sensibile ed aperto a questo approccio, mentre qui la mia pratica si è rafforzata perché ho avuto l’autonomia economica per svilupparla permettendomi una certa indipendenza. Certamente, quando vivevo in Italia sentivo molto di più la pressione del mercato, anche se non mi è mai interessato adeguarmi alle tendenze. Difatti, nonostante per me l’estetica sia fondamentale non ho mai seguito dei codici stilistici particolari.
A.I.: Dopo l’esperienza di Maastricht sei rimasta in Olanda ma ti sei trasferita a Rotterdam, qui hai trovato maggiore apertura da parte dei tuoi colleghi? Avendo maggiori possibilità di espressione, forse sono più aperti a dialogare e collaborare di quanto non lo siano in Italia a causa della pressante competizione dovuta alle poche opportunità?
E.S.: A Rotterdam le realtà artistiche che si possono incontrare sono diverse. L’approccio dal basso è molto più diffuso grazie ai finanziamenti statali. Esistono molti spazi autogestiti creati da artisti e incentrati su pratiche sociali o interessati a stabilire contatti con la comunità locale spazi dedicati agli artisti residenti a Rotterdam spazi no-profit che lavorano a livello internazionale ed istituzioni pubbliche ma non vuol dire che anche qui non ci sia competizione. Allo stesso tempo in Italia credo che la competizione si senta maggiormente. Penso che il problema sia dato sia dal sistema economico che dalla mentalità. Noi abbiamo una tradizione artistica molto gerarchica di stampo patriarcale, incentrata sulla figura del genio che influenza ancora pesantemente i criteri di selezione degli spazi espositivi e dei curatori. Gli artisti italiani sono scarsamente supportati. Inoltre, la forte precarietà economica rende difficile organizzarsi diversamente. In Olanda molti artisti si auto-organizzano. Non aspettano il curatore o lo spazio museale, molte mostre sono organizzate in autonomia con fondi pubblici e ricevono uguale interesse. Quindi gli artisti sono indipendenti dalla figura del curatore rispetto all’Italia, i quali spesso seguono logiche di mercato o tendenze prestabilite. Non credo gli artisti siano competitivi di per sé, è il sistema che induce ad esserlo. Ho ancora amici artisti italiani con cui condivido la mia ricerca, che portano avanti la loro pratica con serietà e passione. Alcuni sono stati costretti ad abbandonare per ragioni economiche o perché non sono in grado di sostenere la pressione, mentre molti della mia generazione che stanno portando avanti una ricerca come me si sono trasferiti all’estero. Ogni contesto ha dei lati positivi e dei lati negativi, ma qui certe dinamiche viziate che in Italia rappresentano una costante sono meno diffuse.
A.I.: Al netto delle tue personali valutazioni sulle differenze tra Italia e Olanda, ti piacerebbe rientrare stabilmente in Italia o non torneresti sui tuoi passi?
E.S.: A lungo andare essere migrante può non essere piacevole. Ti trovi in un contesto e in una geografia, con degli aspetti che non sempre ti corrispondono ed è faticoso. Per il momento questo è un compromesso che devo accettare per continuare a fare quello che faccio, certo è che se avessi le stesse possibilità che ho qui probabilmente tornerei in Italia, anche se non credo he abbandonerei mai completamente i paesi nordici.
L’esperienza di ogni artista è diversa ma i punti in comune e le motivazioni sono spesso la mancanza di interesse da parte delle istituzioni verso le professioni culturali e artistiche, ma anche il confronto con le possibilità lavorative e la qualità della vita offerte in un altro paese. Pochi sono gli esempi virtuosi presenti in Italia e, una volta concluse le brevi esperienze positive, bisogna ricominciare a candidarsi e progettare, nella speranza di ottenere condizioni migliori e durature.





