Giuliana Storino, artista eclettica che indaga la linea sottile tra visibile e invisibile, identità e mutevolezza del tempo, è risultata finalista al contest internazionale di sculture di ghiaccio. Il Festival di fama mondiale, è alla sua XVII edizione e si svolge ogni anno nella città di Harbin, nell’estremo Nord-Est della Cina. Un’altra cella, 24.753,6 kg di ghiaccio, è il titolo dell’opera nata durante il suo soggiorno, con cui si è aggiudicata due premi assegnati dalla giuria tecnica e popolare. In linea con la sua ricerca, l’opera ripropone un linguaggio minimale, risultato di una pratica che procede per sottrazione, e attraverso la resistenza fisica del corpo sottoposto a temperature dai – 20° ai -40°, l’artista sfida le convenzioni, esplorando i temi di identità, appartenenza e i legami con la propria storia biografica. L’arte, infatti, nelle parole di Storino: “è questione di resistenza, contro la perdita della propria identità, in una società votata al potere mass-mediale e alla spettacolarizzazione di se”. Ad Harbin, la provincia più a Nord della Cina, rivisita in chiave simbolica due archetipi architettonici: il cubo e la colonna. Nel lavoro l’artista mette a fuoco la propria storia personale, analizzandola con l’occhio acuto di chi non dimentica nulla, trasformando il tutto in arte. Il cubo di ghiaccio nella pratica di Storino, assume la valenza di una cella, come quella frigorifera di una macelleria che ha caratterizzato il lavoro paterno, che ora è diventata la casa di famiglia. La stessa cella che l’artista ha ritrovato negli spazi della Galleria 10&zerouno di Chiara Boscolo a Venezia, che un tempo era macelleria, al cui interno disegnerà un nuovo progetto espositivo.
Quella che Storino attiva è una operazione che attiene alla conoscenza costruttiva di un’architettura sacra. Al centro dell’area scelta per la costruzione di un abitativo simbolico la nostra erige la sua colonna-albero maestro attorno al quale si traccia un grande cerchio, compiendo così una quadratura dello stesso. Nell’operazione di fondazione si determinano così i segni fondamentali di un Tempio. La cella, concepita in tal senso, è essa stesso un piccolo Tempio che, nato dal lavoro astrattivo e inciso dall’artista in un elemento vitale come l’acqua riacquista il senso di quel segreto racchiuso nella sostanza del sottile che verticalizza l’anima, incolonnandola in un asse di collegamento universale ed elevandola laddove l’intuizione la comprende appieno. L’uso di simboli primordiali, nel lavoro di Storino, è Arte reale. Il quadrato e, nella sua estensione, il cubo, rappresentano le basi stabili, l’immutabilità e l’eternità, elementi che attengono alla sfera divina. E la colonna, come l’artista riferisce, “…è il fondamento, il luogo della verticalità umana attraversato fin dall’arte greca, da quella stessa forza che scorre nell’albero, elemento dell’unione dei due cieli: uno sopra di noi e l’altro sotto i nostri piedi nell’emisfero opposto.”
L’opera si carica di un significato simbolico e spirituale che porta la cella ad esistere oltre le coordinate spaziali e temporali grazie anche alla presenza della colonna interamente scavata all’interno, iridescente di luce naturale quasi cristallina ottenuta grazie al lavoro di lucidatura manuale del ghiaccio. La cella, luogo di esilio e preghiera si trasforma in un tempio, è la metafora della casa, un monito dal significato profondo per l’artista che unisce l’estremo territorio di Harbin alla sua geografia interiore. La scultura, interamente di ghiaccio, suggerisce una simbiosi totale tra opera d’arte e natura. Come in molte sue installazioni, il legame con la natura è imprescindibile all’esistenza dell’opera, poiché l’artista non aggiunge nulla a ciò che esiste ma al contrario attraverso l’operazione di scavo riorganizza gli elementi della natura.




In viaggio verso l’estremo Nord-Est della Cina: il racconto dell’artista
È accaduto come in un sogno o in un romanzo di Jules Verne, in cui improvvisamente ti risvegli e ti trovi ad Harbin, la città di ghiaccio. Capoluogo del Heilongjiang, la provincia più nord-orientale della Cina che confina con la Siberia. Il 30 dicembre 2024, mentre il mondo si preparava ai festeggiamenti per celebrare il nuovo anno, io mi preparavo per l’esperienza più sorprendente della mia vita, esattamente come in un’opera d’arte. Se per Jules Verne l’Islanda era la porta di accesso al centro della Terra, per la Cina di fine ‘800, Harbin è stata la città di accesso, crocevia di culture, grazie alla costruzione della linea ferroviaria, che collegava Čita a Vladivostok (Владивосто́к) l’estremo oriente russo. Il festival internazionale del ghiaccio, raduna scultori provenienti da ogni parte del mondo, in una competizione molto ambita. Ha le sue origini ad Harbin nel lontano 1963 come festival delle lanterne di ghiaccio, una popolare arte del Nord-Est della Cina e si inserisce nelle celebrazioni del Capodanno lunare. La manifestazione ha inizio il 5 gennaio e dura fino a quando le condizioni meteo lo permettono. Ho iniziato questo viaggio verso il Mar Glaciale Artico, con lo stupore e l’adrenalina di chi non conosce la propria meta; così lontana dalla mia realtà e dalle ordinarie esperienze dell’arte. Ho riflettuto a lungo sul valore e significato metaforico dell’acqua, oggetto di relazioni e memorie. Le storie connesse al fiume Songhua su cui la città sorge, che con l’arrivo delle correnti siberiane diventa ghiaccio. Il lento processo che vede ogni anno l’estrazione di milioni di tonnellate di ghiaccio, che viene tagliato e trasportato da oltre 7000 operai, nell’area individuata per il festival. Il loro lavoro ha trasformato il paesaggio in un luogo di forte memoria, legando il corpo alla natura attraverso un gesto che è anche una conquista dello spazio abitabile. Nel ghiaccio ho visto la natura stratificata e senza tempo; la sacralità del bianco; l’intensità del silenzio in quei volti, dove l’essenza della vita è tutta in quel ghiaccio scolpito come la pietra. Il “lavoro” è il concetto centrale, nel suo significato molteplice è chiave di lettura dell’opera che ho realizzato in una forte relazione con la mostra personale in programma presso la Galleria 10 & zero uno a Venezia. Ho scavato nel cubo una colonna. Nel principio di sottrazione e scarnificazione della materia che da corpo e forma all’energia vitale, al lavoro umano, mi sono spinta abbastanza al limite della mia resistenza fisica e della materia, per mantenerne intatta la forma. Nel punto d’incontro dei quattro ingressi la colonna centrale s’illumina della stessa luce dell’acqua di cui è composta. Al soffitto appare una cupola anch’essa interamente scavata mediante il solo utilizzo delle mani e di palette e picchetti. Il cubo, l’unità base ha assunto per me la valenza di una cella. La cella frigorifera che ha un legame profondo con la mia storia; ad Harbin è stato per me il trasloco della casa, un tempio di luce che nel suo dimorare esiste solo se resiste.
«Non entri chi non conosce la geometria» scrive Platone…Ed è forse questa attitudine a ‘decifrare’ la materia che caratterizza la pratica di Giuliana Storino. La conoscenza e la profondità introspettiva dell’artista di esplorare tecniche e materiali, interrogare le forme e intuire la relazione tra le stesse ne determinano la sua verità di essere tale, di saper abilmente estrarre dalla materia la vita nascosta al suo interno, intuendo quell’invisibile filo che tiene unite strutture che, nell’atto artistico, colgono l’essenza ultima del mondo che ci circonda.




Giuliana Storino, Un’altra Cella. Harbin International Ice and Snow Festival. 5 gen 2024 – 15 feb 2024