“Preparandosi all’oscurità. Un nuovo movimento nella pittura contemporanea. Una generazione di artisti che lavorano nello spirito di resistenza malinconica” questo il manifesto programmatico, titolo granitico del bellissimo libro realizzato da Uwe Goldenstein come catalogo, a compendio dell’ultima mostra sul tema dell’oscurità che ha da poco realizzato a Berlino.
Goldenstein da tempo seleziona e divide, all’interno di una specifico ambito di produzione pittorica, quei pittori che stazionano pressoché inermi nella paludosa postmodernità – a suo dire: colpevole l’assenza di capacità pittorica – da quelli che, nonostante sia impossibile ricondurre a un’uniformità stilistica, ne segnano però lo scavalcamento. E si dirigono tutti verso l’immortalità, concependo un universo pittorico destinato all’eterno. Perché dipingono meravigliosamente. E questo è il primo punto fermo.
Goldenstein seleziona 15 pittori europei che possiamo tranquillamente definire tra i più bravi e originali, approccia la ricerca intonando il funebre si bemolle, quella nota assoluta che diventa il filo nero che li unisce: la Renaissance della melancholía.
Unica capace, a detta dell’autore, di far provare allo spettatore, davanti al dipinto, l’esperienza del magico.
O del sublime. Che non è tanto una citazione kantiana, quanto piuttosto il bisogno di adesione all’etimologia. La malinconia deriva infatti dal greco, è la bile nera.
Temperatura emotiva decisamente saturnina, che coinvolge un’insofferenza esistenziale, dettata – come si evince anche dall’intervista che Goldenstein fa a Nicola Samorì – dal non sentirsi mai a proprio agio in nessun luogo. Dettata dal non godere mai di nessun qui e ora. Dall’ossessione nevrotica del tempo che passa e che, incontrovertibilmente, corrompe, degrada, marcisce e finisce, tutto.
In questa visione, quasi apocalittica, la pittura sembra farsi grido disperato – compiaciuto?- che denuncia l’imminenza della fine.
Ma esiste davvero una fine?
Ecco che, allora, questa voce nera che si inchioda alla tela e la fa sanguinare come la corona di spine sulla testa del Cristo, compie la sua più grande epifania proprio nella resurrezione della pittura stessa.
Dopo una lunga assenza, complice l’avvento della digitalizzazione dell’immagine, dopo il collage del concettuale, che ha atrofizzato l’immagine, la pittura, l’unica vera e grande protagonista della storia, mostra la sua bile nera ma lancia anche il suo grido di battaglia.
Uwe Goldenstein seleziona 15 artisti europei: Nicola Samorì, Teodora Axente, Radu Belcin, Inna Artemova, Daniel Behrendt, Adam Bota, Alin Bozbiciu, Adrian Ghenie, Simone Haack, Maurizio L‘Altrella, Daniel Pitín, Flavia Pitis, Sergiu Toma, Richard Wathen, Matthias Weischer. Definendo i primi tre come i più influenti di questa scena artistica.
Importante la presenza italiana nella selezione con Nicola Samorì e Maurizio L’Altrella così come, a mio avviso, va segnalata la forte presenza di artisti provenienti dall’Est Europa, dalla Romania, dalla Russia, dalla Cecoslovacchia, solo per citarne alcuni.
Una sorta di cuneo, un baluardo di resistenza ideologica che mantiene la purezza del gesto e del significato del pittorico. Goldenstein si muove nel solco di una rintracciabilità di grandi nomi assolutamente nota nel panorama artistico contemporaneo, infilando perle come Gheine e Samorì.
Samorì, il re iconoclasta, che scioglie la figura per rimetterla al mondo. Gheine, surrealista e visionario, che fa del caso elemento concludente del suo mondo pittorico. Teodora Axente che parte dal particolare – nevroticamente barocco – per tracciare l’universale della sua scena narrativa. E poi ancora, tra gli altri, Radu Belcin, la cui enigmaticità ricorda senz’altro le atmosfere violente e sospese di Neo Rauch. Così come accade in Sergiu Toma.
La carrellata di artisti proposti da Goldenstein è lunga, importante, complessa.
Vale la pena chiuderla con Maurizio L’altrella, altro italiano che Goldenstein sigilla nel solco della malinconia.
Senz’altro le atmosfere cupe, le narrazioni gotiche che sprofondano verso l’indefinito e l’inevitabile, dirigono necessariamente l’attenzione verso il lavoro, colto e raffinato ,di L’Altrella. L’unico a contagiare la dimensione spesso autoreferenziale della figura umana con quella più pericolosa, sotterranea, sporca ed erotica della bestia.
Insomma, il vero lato oscuro.