Miltos Manetas, 325 giorni in prigione, 29 febbraio 2020 - 25x36cm

La condizione dell’isolamento attraverso Assange – Miltos Manetas

Una mostra paradossale, reale ma “visitabile” solo attraverso il World Wide Web: Condizione Assange di Miltos Manetas è la nostra condizione durante il lockdown, è l’urgenza di capire cosa è accaduto e cosa sta succedendo.

L’11 maggio 2020 Palazzo delle Esposizioni ha inaugurato una mostra paradossale, allestita realmente negli spazi dell’edificio ma “visitabile” solo attraverso il World Wide Web: Condizione Assange. Una mostra reale, a cui ci viene negato l’accesso, almeno analogicamente. Una negazione concettuale, “During the exhibition the gallery will be closed” sembrano dirci gli spazi chiusi al pubblico di un museo riaperto da poco, dopo il violento lockdown durato più di due mesi. Ma a differenza di Closed Gallery di Robert Barry, la mostra in questione propone delle opere, opere reali: circa 40 ritratti di Julian Assange prodotti da Miltos Manetas nell’arco di tempo che va da febbraio ad aprile di quest’anno, i mesi più duri di un’umanità che quasi senza coscienza di quello che stava accadendo si è ritrovata a conoscere un’incredibile condizione aliena, l’isolamento. Ed ecco che abbiamo sperimentato in parte e per pochissimo tempo la condizione che Assange ormai sta vivendo da anni: un isolamento che non è solo fisico, ma un prisma di negazioni esistenziali, finanche d’espressione, in quanto, esattamente come l’ex direttore di WikiLeaks, nell’isolamento scompariamo nel nulla, diventiamo silenzioso indistinto multitudo.

Miltos Manetas, 341 giorni in prigione, 16 marzo 2020 – 76x140cm

Manetas, oltre a puntare i riflettori su una storia che sta passando sempre più in secondo piano, dimenticando che il controverso giornalista continua a rischiare la pena di morte se dovesse essere estradato negli Stati Uniti, per aver pubblicato informazioni segrete, usa il volto di Assange come ritratto collettivo, come simbolo di una condizione globale ombrosa e per nulla rassicurante. Assange non può essere visto di persona, ma solo in fotografie digitali che lo riproducono, esattamente come i ritratti esposti nella mostra in oggetto. D’altronde l’artista lavora in special modo sull’Internet e sui social network, la piazza della riproduzione e della simulazione per eccellenza, che in questo periodo ha mostrato ancor di più le sue contraddizioni e le sua forme. Questi ritratti, senza scomodare l’astrusa definizione di “arte post-internet”, testimoniano una riproduzione dell’iper-connessione digitale, l’appropriazione e la traduzione personale del numero binario cibernetico in espressione di colore e di segno analogico. La sempiterna funzione comunicativa della pittura che nessuna nuova tecnologia riesce né riuscirà ad oscurare. Ma in questo caso il percorso dell’“icona Assange” non si arresta nel colore ad olio: l’uomo Assange, riprodotto nella fotografia, a sua volta immersa “in the flow”, come direbbe Boris Groys, viene catturata da Manetas, che la traduce in linguaggio pittorico, attraverso uno sguardo che va al giornalista, ma si specchia in se stesso, tramite una pittura d’espressione materica e ruvida. A questo punto il ritratto viene di nuovo riprodotto nella fotografia che a sua volta viene reimmersa nel fluido digitale, trovandosi a coesistere con la figura di partenza, in una sorta di coincidenza nel nostro doppio piano esistenziale, tra tutto ciò che è reale e gli infiniti simulacri che abbiamo attorno e di cui facciamo parte. L’esposizione stessa, reale in un luogo specifico, ma riprodotta e fruibile solo digitalmente, in ogni luogo attraverso la rete Internet, è l’esempio più lampante, ma non l’unico. I ritratti esposti non sono di proprietà di Manetas: appena terminati, l’artista subito li ha postati sulla sua pagina Instagram, regalandoli alla prima persona che ha scritto nei commenti della fotografia “voglio questa pittura”. Le parole dell’artista al riguardo sono queste: “Se c’è un dono, sono anch’io a riceverlo perché, se non ci fosse qualcuno che desidera il quadro, il progetto non esisterebbe, e probabilmente avrei smesso di dipingere Assange”. Anche se l’artista nega una critica al mercato, in quest’azione compare comunque una visione orizzontale della società, l’utopia di una comunità basata sul dono reciproco, attraverso quel pervasivo mezzo digitale che, in contraddizione, rappresenta l’assoluto annullamento iper-individualistico di essa.

L’artista, inoltre, sostiene che se nei giorni della mostra Assange dovesse essere liberato, allora l’esposizione verrà aperta al pubblico anche analogicamente, conferendogli un destino comune. Condizione Assange, dunque, è Julian Assange, è la nostra condizione durante il lockdown, è l’urgenza di capire cosa è accaduto e cosa sta succedendo, in questi tempi surreali e incomprensibili, ai rapporti della nostra esistenza.

“È un autoritratto di gruppo, parla di noi che siamo rinchiusi e cerchiamo di vedere nel futuro, insieme con tantissimi che non hanno il lusso di una casa dove rinchiudersi né di guardare più in là dell’immediato – e per loro crudele – presente.” – Miltos Manetas

Condizione Assange. Quaranta ritratti di Miltos Manetas
Palazzo delle Esposizioni

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