Gianni Emilio Simonetti
Gianni Emilio Simonetti

Collage is Easy

Il 60° anniversario del movimento Fluxus viene celebrato a Genova con la personale di Gianni-Emilio Simonetti alla SharEvolution.

Gianni-Emilio Simonetti (Roma, 14 gennaio 1940, vive sul Lago Maggiore) disincantato esponente internazionale di una condizione di Situazionismo nell’arte è figura protagonista, in Italia, del movimento di pensiero-segno-gesto-azione-composizione musicale Fluxus, così denominato dal suo diretto referente e sodale, nonché fondatore, George Maciunas, artista e architetto lituano, naturalizzato statunitense, promotore, il 9 giugno del 1962, del Fluxus Festival Après Cage; Kleinen Sommerfest allo Städtisches Museum di Wiesbaden, di cui ricorre il sessantesimo anniversario. Negli intenti del fondatore “pittoricizzare la politica per narrativizzare le ragioni dell’utopia” opponendo la drôlerie all’illusione. George Maciunas – commenta G. E. Simonetti – caldeggia il paradosso di dare visibilità all’inesistente, progetta di mettere al riparo la sua Fluxus Praxis fondandone la colonia nell’isola caraibica, disabitata, Ginger. Unadedizione simile – aggiunge l’autore multivalente italiano – a quella dell’orlatura anulare di un’asola senza la prospettiva di un bottone.

Apprezzato, premiato, conosciuto anche come scrittore, teorico e docente, Gianni-Emilio Simonetti presenta a Genova la mostra personale Nouvelles de l’Insondable, a cura di Chiara Pinardi alla SharEvolution Contemporary art. Non è privo di humour e di allettamentigustativi esordire con un annuncio di novità di quella figura dell’“Insondabile” che non ha mai cessato di essere sondata in poesia, arte, scrittura, cinema, musica, psico-socio-filosofia, drammaturgia, ideologia politica. Un cocktail segreto, di sua miscelazione, alletta, a suo rischio, il visitatore in galleria. 

Seducente, di coloritura melancholica erotico-duchampiana, l’immagine estetico/speculativa di Simonetti partecipa dell’agrodolce di neo-avanguardia e di dérive situazionista, di erranze psicogeografiche e di tentazioni cognitive neuroestetiche, di postmodern e postconceptual, proposti in un flusso circolare in cui il passato si trasduce transemioticamente nel gusto del presente. Assertore di verità senza contenuto, di nonsenso del senso, di strategie controculturali, esperite in diretta dalla metà degli anni Sessanta a tutti gli anni Settanta, questo artista di polivalenze mette operativamente in atto un processo in cui significante e significato coincidono dissolvendosi in asemantemi, tra ricorrenti quinte colorate, lettering, figure filmiche da western, notazioni musicali, segnificazioni del nudo femminile,uccelli in volo, più o meno sinistri, smarginature del colore, tondi di equilibratura timbrico-cromatica, punteggiature iperdimensionate, macchie, mappe. Le sue tecniche miste su tela si materializzano, alla maniera di una composizione musicale dalle notazioni e associazioni libere ‒  alternative, s’intende, a quelle convenzionali ‒, in collage di microelementi figurali, segnici, araldici, tipografici, scritturali, in lingue madri, in lingue morte, figurativamente, dense, tuttavia, di sovrane risonanze classiche. 

Come in una lenta e dolorosa – Re maggiore -, lenta e triste – Do maggiore , lenta e grave – La minore – Interprétation de la Gymnopédie no.1 (Erik Satie) ‒ titolo di un’opera in mostra –, di fronte a una composizione visuale simonettiana si è tentati di chiedere all’autore se ci siano suoi manuali di approccio atti a privilegiare modalità di lettura spazio-narrativo-ritmo-temporale o, se procedere random, cogliendodistribuzioni di senso e nonsenso, di accenni ad azioni teatrali o sceneggiature filmiche, a intensità e dissolvenze, a pratiche del silenzio o dell’imprevisto, a inevitabili flussi sinestetici di joyciana coscienza. L’artista comunque consiglia, delineando un paesaggio video-audio-scritturale, di “Cogliere il discrimine”. Una mega stampa fotografica in bianco e nero su tela emulsionata – in cui dialogano, tramite il fumetto, intente nell’osservare un’opera a parete, due gemelle, riprese di spalle, con lunghe trecce, calzoncini corti, sandali – annuncia al visitatore, in apertura di mostra, che “Il collage è il prodotto di una sartoria visuale“…in esso si drappeggia il frammento e si scuciono le pieghe del senso”. “…e al sarto gli si dice, mi ci metta una fodera di seta e non metta bottoni tanto la porto così slacciata…” , significativi, quanto critico-ironici titoli di opere in mostra. Fa da contraltare alla prima mega stampa fotografica quella successiva, ancora in bianco e nero, in cui due giovani donne, riprese sull’erba in una generosa esibizione dei loro monti di Venere ammoniscono, ” Guai a stirare le pieghe del sintomo”. “Quando l’Azione artistica è senza scopo coincide sempre con le finalità della prassi e con le capacità innovative di cambiamento”, comunica il soggetto di un ulteriore fumetto, tenendo la sigaretta tra le dita, al suo interlocutore che così gli risponde, con un accenno di sorriso: “…ma allora qual è la stazione di confine delle azioni artistiche?”, opera del 2005 in mostra. Passando dalla sartoria al tessile, un cenno è d’obbligo allastampa iperdimensionata di partiture su tessuto – non in questa mostra, ma in Art MeetinGenoa, a cura della stessa Chiara Pinardi – messa in atto dal mecenatismo dell’Impresa Luigi Bonotto, collezionista d’arte di Molvena e Bassano del Grappa, che Simonetti ha condiviso con Chiari, in passato, e, nel tempo, con altri protagonisti Fluxus tra cui Joseph Beuys, George Brecht, John Cage, Yoko Ono, Ben Vautier.

La pratica del collage, da parte di Gianni-Emilio Simonetti implica il cut-up, come giustapposizione metonimica di frammenti su una superficie che, all’atto stesso, esce dalla bidimensione per entrare, sia pur minimamente, nella tridimensione. Questo gesto, non privo di conseguenze, nasce con Braque e Picasso nella fase del Cubismo sintetico del 1912, diventando subito responsabile di un apporto di ritagli di realtà – pagine di giornale, frammenti di materiali diversi – nella finzione
rappresentativa del quadro, pervenendo presto al corpo dello stesso artista in happening di Allan Kaprow, di John Cage, a titolo di esempio, in performance fisiche, visuali, vocali, sonore, tattili.

Incline, intorno alle questioni d’autore, identità, provenienza, all’utilizzo di pseudonimi come Rara Bloom, Giuseppe Bessarione, Katharina di Nieuwerve, Gianni-Emilio Simonetti è ideatore e frequentatore di aforismi postmetafisici quali “L’anima è un’infezione del corpo” – firmato con lo pseudonimo Bernard Rosenthal –Il lavoro dell’arte è la potenza dell’agire”; “La rappresentazione come arte non è che un’autopsia della cosa”; “Il visuale appiattisce il tempo storico a sintomo onnivoro”; “L’opera è compiuta solo quando mostra ciò che ha perso. In altri termini si arrende al vuoto”; “L’esca del valore nei regimi mercantili è più velenosa di quella della bellezza”. Simonetti non si sottrae all’adozione di dispositivi tattici come “L’imprévu mode d’emploi” ; “Ida Matt: Il dove che precede l’inizio”. Non manca neppure di essere dispensatore di quiz e witz freudiani come “Da quale figura del testo precipita il senso?” ;Il caso sfugge alle intenzioni del sintomo?” Interviene in mostra, nell’opera con partiture musicali, mappe, riquadri, lettere alfabetiche, numeri,con “Un appunto su Marie-Jeanne Picqueray”, anarco-sindacalista e pacifista francese detta “la refrattaria”. “Anna Barkòva: Primo capitolo di follia”, nome e stato mentale riferito alla poetessa russa che osserva una sua poetica del silenzio, è il titolo dell’opera, con scale musicali e scale gradinate, in cui campeggia, prepotente, il pronome personale “io”. L’alternanza, nei lavori simonettiani, di flusso e frammento coglie, in modo inatteso, lo spettatore che, a suo modo, ricorrendo a un immaginario inconsueto, inaugura interazioni di senso e nonsenso. In Fluxus – osserva Simonettinon cessano di coincidere, mcluhanianamente, il mezzo con il messaggio, di essere investite le pulsioni ludico-infantili dell’artista, di essere messa in questione l’opera-oggetto a vantaggio dell’azione-concetto. La poetica di Fluxus è  coltivare la Zoè, inventare un desiderio. In un mondo in frammenti, tuttavia, la verità di questo movimentoè il non-racconto della vita, storia di un racconto assente, solitudine della storia, gioco di paradossi che mette fuori gioco il primato dell’oggetto.

Nell’agghiacciante megafotografia in bianco e nero su tela, in esposizione, sfilano sulla strada sconvolta dal piombo terrorista di Piazza Fontana – Milano, 12 dicembre 1969 – i nomi dei barricadieri dada-surreal-concettuali che l’artista seleziona come espressione di un’irriducibile rivoluzione poetica…qui ritrascritti in barthesiano ordine alfabetico: Johannes Baader, Hugo Ball, André Breton, Arthur Cravan, John Hartfield, Richard Huelsenbeck, Benjamin Péret, Francis Picabia, Georges Ribemont-Dessaignes, Erik Satie, Kurt Schwitters, Rrose Sélavy, Tristan Tzara, Jacques Vaché. Ognuno di loro avrebbe virtualmente, con il suo ineludibile apporto costruttivo/decostruittvo, «rifatto il mondodemolendolo».Si rievoca, a distanza, quel 2 febbraio 1916 in cui a Zurigo Hugo Ball – che umilia il senso estraniandolo a se stesso – con Emmy Hennings – che contesta il significato frantumandolo in fonemi – e Tristan Tzara – pseudonimo di Samuel Rosenstock – fondano il Dadaismo al Cabaret Voltaire. Di fronte a un attonito Lenin, si sostiene – cageanamente – «ciò che non può essere detto dicendolo».  

Coltivare l’inatteso, frequentare la casualità, il vuoto, non sono attitudini inconsapevoli in Gianni-Emilio Simonetti, ma lucide scelte di campo, come gli Amusements e Satie non sono riferimenti casuali. Altrettanto serie -, pur se accompagnate da un sorriso dell’artista che è insieme provocazione, domanda che riecheggia nel vuoto, sono le sue considerazioni «sull’estetizzazione della politica letta, già nel 1936 da Walter Benjamin, come il veleno dei regimi totalitari, dei movimenti simbolisti, a partire da quelli occultisti del secolo passato». Nel momento in cui la legittimazione di qualità e valore dell’opera d’arte muove da logiche consumistiche, indifferibile è porre chi guarda di fronte al proprio problema. Illavoro creativo non cessa di perdere rovinosamente quell’autenticità che le deriva dalla Poièsis. L’arte odierna crea ricchezza senza fondare valori, ne è prova il fatto che il capitalismo ama le opere detestando gli artisti. L’esercizio della critica d’arte è tendenzialmente avvolto dalle nebbie dell’ideologia, indotto dall’Industria Culturale, asservito alle logiche del mercato, ai feticismi della merce. Come profetizza Adorno «il cliente deve accontentarsi di leggere il menù», come prevede  Heidegger «il calzolaio si adegua a mettere in vetrina le scarpe». Eloquenti sono i riferimenti di Simonetti alla serie Brillo Box di Andy Warhol, che Arthur Danto teologicamente interpreta come forma di sopravvivenza dell’arte a se stessa, a un’arte di fatto già disciolta con Hegel. «L’opera d’arte egemone nel XXI secolo sarà quella che riuscirà a artificare sullo sfondo dell’ovvio la banalità della ‘cosa’»!  Formulata a partire dal 1994, pronunciata, in forma di fumetto, dal seducente nudo femminile in maschera e calze nere autoreggenti, questa riflessione di Simonetti può rinviare alla visione della “banalità del male” di Hannah Arendt. 

Gianni-Emilio Simonetti è un autore che non cessa di argomentare filosoficamente, documentare storicamente, innovare narrativamente, delineare una sua materialità della cultura pubblicando sotto lo pseudonimo di Katharina di Nieuwerve con la casa editrice DeriveApprodi. Arretrando storicamente, lo vediamo cofondatore con Gianni Sassi, Daniela Palazzoli, Sergio Albergoni, nel 1965, delle edizioni ED912, in si cui dà alle stampe, in prima istanza, una raccolta di testi dell’Internazionale Situazionista, in cui viene altresì diffusa la conoscenza di Fluxus. Nel 1966 l’artista fonda la rivista d’arte visuale “Bt” o “Bit”, nel 1971 dirige la casa editrice Arcana, fondata a Roma da Raimondo Biffi. Come gli artisti Fabio Mauri e Nanni Balestrini, anche Simonetti è innovativamente attivo in campo editoriale. La sua opera fluido-processualetorna, de temps en temps, a Genova, dopo le mostre storiche del 1967 alla galleria La Bertesca di Francesco Masnata, quella del 1974, sullanozione di détournement, alla Libreria Sileno, a cura di Atelier Bizzarro, con prefazione di Carlo Romano, nell’Archivio-pubblicazione “Fluxus in Italia” a cura di Caterina Gualco, 2012, il canneto editore. Oggi, come vaticinato da Heidegger, gli artisti Fluxus sopravvissuti “hanno la neve sulla testa”. 

 Co-protagonista degli italiani Sylvano Bussotti e Giuseppe Chiari, nel contesto Fluxus Simonetti dialoga direttamente con i silenzi sonori – 4’33” del 1952 – di John Cage, ideando, nel 1965, un processo compositivo di ricerca e improvvisazione denominato, significativamente, Mutica, contrazione verbale tra muta e musica. La sua partitura ANalyse du vir.age verrà inclusa, nel 1967, nella pubblicazione Notations a cura di John Cagee Alison Knowles. Sull’area compositiva musical-visuale-performativaseguiranno presto sue esperienze fondanti con la Cramps Records di Gianni Sassi, la Multipla di Gino di Maggio e, nell’ambito della 38. Biennale Internazionale d’Arte di Venezia Dalla Natura all’Arte-Dall’Arte alla Natura, con Il Gruppo Musicale Area e Demetrio Stratos – cantante e musicologo greco naturalizzato italiano -, ricercatore nel CNR di inarrivabili estensioni vocali, ineguagliato esecutore di diplofonie, su cui Simonetti ha scritto un saggio seminale. La musica fluxus – teorizza l’artista italiano – è tesa a presentare un something, a ideare campi di gioco riconoscibili dai mezzi utilizzati nella consapevolezza che «le attitudini generano significato». 

Gianni-Emilio Simonetti, vivendo “la cosalità dell’esistenza”, percependo lo spargersi nell’aria della «voce come polline della jouissance», dispositivo quindi di godimento, “oggetto sintomatico immateriale e primitivo…nodo nel fiume del senso”, entra in sintonia con Jacques Lacan,figura indecidibile dipsicoanalista francese allievo di Kojève, frequentatore attivo dei surrealisti, introduttore dei registri di reale-simbolico-immaginario, ribaltatore arrischiato dell’aforisma latino «verba volant,
scripta manent»
in «Les paroles restent. Les écrits ne restent pas». Quella che Lacan denomina lalangue è dimora dell’essere…«quello strumento di menzogna – come nel dépliant della mostra cita lo stesso Simonetti – che è attraversato da parte a parte dal problema della verità».Anche Lacan, in qualche modo, è cantore della voce, accanto a nomi che come Cathy Berberian, Carmelo Bene, Demetrio Stratos  le inventano un corpo, ne penetrano l’indicibile come oggetto libidinale pulsionale, come modalità formale. Cantare la voce per Simonetti è «darle quel valore estetico che produce l’illusione di un contenuto e che dona un contenuto all’illusione», è dispendio sacrificale, dépense batailliana.  Anche nella ricerca archeologica della voce, in Giorgio Agamben, la lingua si costruisce nella voce, nei suoni emessi dalla voce (ta en tē phōnē) che diviene intelligibile, come si apprende dalla lezione di Aristotele. È nella voce che il vivente e il parlante coincidono, inaugurando il fenomeno «uomo», quella figura che Michel Foucault definisce «un’invenzione di cui l’archeologia del nostro pensiero mostra agevolmente la data recente. E forse la fine prossima». L’artista in questione è teorico, come John Cage, dell’intenzionalità deprivata di scopo, assertore dell’evidenza come lacerazione delle illusioni, della casualità come vanificazione parodica della causalità, dell’indiscernibile come valore estetico, dell’arte della disfunzione, della messa in opera dell’opera come il farsi luogo, heideggeriano, dell’opera stessa…della verità dell’ente. Gianni Emilio Simonetti, esponente di una cultura dei flussi e dei processi, slittanti tra le dismisure del micro e del macro, dell’enigma e del fumetto, del rebus e della filosofia, dell’ontologia e della zoé, sembra condividere la visione duchampiana della vita come Eros, quella deleuziana come mappa rizomatica del desiderio.

Gianni-Emilio Simonetti
Nouvelles de l’Insondable
SharEvolution Contemporary Art Genova
a cura di Chiara Pinardi