H.H. Lim, Let the Journey be the Destination, 2020, tecnica mista su tela, 100x100cm cad, installation view, Casa Leopardi, Recanati. Photo Andrea Chemelli.

Una poesia visiva

«Se anche palpita (perché il cuor nostro non è cangiato ma la mente sola), questa benedetta mente gli va a ricercare tutti i secreti di questo palpito, e svanisce ogn’ispirazione, svanisce ogni poesia», si legge nello Zibaldone leopardiano, e nelle stanze della biblioteca del padre Monaldo, a Recanati, quel palpito sembra intrappolato in una sfera di quarzo illuminata da un laser, in un’installazione storica di Maurizio Mochetti, qui collocata dal curatore Antonello Tolve nel cuore della mostra Io nel pensier mi fingo.

Il quarzo è tra i pochi elementi della natura in grado di assorbire e trattenere la luce di un laser, non lasciandosene trapassare né rinviandola all’indietro, bensì distribuendola in modo omogeneo su tutta la propria superficie. In questo modo, nella penombra e nella solitudine dell’ambiente scelto per l’installazione, si ha proprio l’immagine di un pensiero che palpita rossastro come un muscolo cardiaco.

La mostra è dedicata in modo particolare all’Infinito, quale coda – fortemente voluta da Olimpia Leopardi – delle celebrazioni dei duecento anni della poesia, e il curatore ha voluto che gli artisti invitati si confrontassero, tra tutti i possibili, con quel verso, Io nel pensier mi fingo. Il motivo risulta evidente, passando tra le diverse sale della casa di famiglia a Recanati. Il verso, o meglio ancora porzione di verso, introduce infatti nella poesia la potenza dell’immaginazione, che dallo sgomento dinanzi all’infinito e dai limiti imposti alla conoscenza dall’ostacolo della siepe trae un nuovo e ultimo slancio, nel supremo tentativo di superare quello sgomento e quei limiti e proiettarsi verso una dimensione spaziale infinita.

Narda Zapata, … e come il vento, 2022, wall drowing e teche con foglia oro 24kt, foglia argento e cornice di palo santo, installation view, Casa Leopardi, Recanati. Photo Andrea Chemelli.

Coglie appieno il punto l’opera della boliviana Narda Zapata, che parte proprio dalla riproduzione sui quattro metri di una parete della linea dei “monti azzurri” e la punteggia, come frequenze di un elettrocardiogramma o note di un pentagramma, di misterios, tavolette votive di zucchero provenienti dalla tradizione della sua natia La Paz. I misterios, che vengono bruciati sugli altari dei lari andini e che costituiscono la cifra stilistica dell’artista sudamericana, riportano decorazioni iconografiche. Zapata ha cercato tra le botteghe dei sacerdoti boliviani le immagini che si adattassero quasi per magia al contesto leopardiano e le ha lavorate con foglia d’oro o di argento.

Patrizia Molinari, Sassi segreti, 2002-, vetro di Murano soffiato a canna volante con inclusione di oro zecchino, installation view, Casa Leopardi, Recanati. Photo Andrea Chemelli.

Punteggiano invece il pavimento le sfere di vetro di Murano della marchigiana Patrizia Molinari, che tracciano un sentiero segreto, riproponendo lo zigzagare del pensiero del poeta dinanzi alla siepe, ovvero la finzione, intesa nella sua accezione più pura, che descrive ciò che soltanto l’immaginazione scorge. All’interno delle sfere, che sono anche sassi ma anche isole, brillano uova dorate, come embrioni di un’idea, di una passione, di un moto dell’animo. E se le isole di vetro soffiato si stagliano all’interno di un ideale arcipelago, il tessuto connettivo che le unisce non può che essere il mare nel quale è dolce il naufragare.

Nell’idillio leopardiano, costruito su quindici versi, uno in più del classico sonetto, gioca un ruolo fondamentale l’enjambement, che nella mostra di Recanati si può riconoscere nella sequenza di figure dell’italo-americana Melissa Lohmann, ritratte a cera – una tecnica solo apparentemente infantile e qui invece resa con sofisticati tratti – e disposte sulla parete a suggerire un movimento, una sorta di danza il cui ritmo cadenzato trova tuttavia un’improvvisa alterazione – appunto, un enjambement – che ci costringe a soffermarci, a riflettere, a sederci e mirare, chiedendoci perché i nostri passi a un certo punto trovino un inciampo, e se in quest’ultimo non risieda invece un’illuminazione, un pensiero in grado di chiarire certi motivi dell’esistenza.

Jeanne Gaigher, Lavander III, 2020, inchiostro, colorante, acrilico su tela e tessuto, 74x53cm, installation view, Casa Leopardi, Recanati. Photo Andrea Chemelli.

Nella stessa sala di Lohmann la sudafricana Jeanne Gaigher propone una parafrasi del paesaggio marchigiano, un’ondulata ripresa dei colori della terra e del cielo, moltiplicando con le sue linee quasi orizzontali l’orizzonte leopardiano. Potente è poi la metafora di Adrian Tranquilli, che da anni conduce una personale indagine sul ruolo dell’epica contemporanea incarnata dai supereroi della Marvel e in particolare di Batman, al quale ha dedicato pochi mesi fa una grandiosa mostra presso l’Auditorium di Roma. Qui l’eroe mascherato è intrappolato in un angolo appena visibile, oscurato per l’occasione, e si affaccia dietro le sbarre di una finestrella. È impossibile perciò non andare alla mente al periodo di grande sofferenza interiore del poeta ventenne, prigioniero “del natio borgo selvaggio e della gente zotica, vil”, che precedette la composizione dell’idillio.

Adrian Tranquilli, I’ll Never Get To You, 2009-2022, ferro e carboncino (30x25x6cm) su parete nera, installation view, Casa Leopardi, Recanati. Photo Andrea Chemelli.

Gli arazzi orizzontali del malese H. H. Lim accompagnano i visitatori lungo il corridoio che fiancheggia le stanze della biblioteca di Monaldo Leopardi, colorando il parquet antico e offrendo un’altra possibile lettura dell’indefinibile orizzontalità che di apriva allo sguardo del giovane poeta. 

Proprio il riferimento alla raccolta di libri del padre di Giacomo permette tra l’altro di comprendere meglio il progetto InterValli: così come il conte Monaldo nel 1812 volle aprire la biblioteca oltre la cerchia familiare, invitando amici e recanatesi a godere del patrimonio librario da lui raccolto, ricco anche di opere di quella che all’epoca si sarebbe ben potuta definire cultura contemporanea, allo stesso modo Olimpia Leopardi vuole oggi confermare la vocazione della biblioteca di famiglia, facendone quanto di più lontano da un imbalsamato scrigno di saperi trascorsi, proiettandolo nella contemporaneità con il ciclo di mostre aperte da quella sull’Infinito.

Tomaso Binga, AlphaSymbol, 2021, stampa digitale su carta cotone, 100x100cm e Melissa Lohman, Stacks, 2022, pastello a cera su carta, 29,7x42cm cad, installation view, Casa Leopardi, Recanati. Photo Andrea Chemelli.

Tomaso Binga, nome d’arte di Bianca Menna, è perciò tra gli artisti presenti forse la figura più emblematica: nata nel 1931, testimone e protagonista della cultura della seconda metà del Novecento ma ancora oggi vivacemente attiva, tanto da figurare nell’ultima Biennale veneziana, Binga utilizza da sempre le parole proponendo una poesia visiva che qui si affratella ai versi del giovane Leopardi.


InterValli #1 Io nel pensier mi fingo
a cura di Antonello Tolve e da un’idea di Olimpia Leopardi
Casa Leopardi, via Leopardi 14, Recanati
fino al 30 gennaio 2023