Francesca Romana Pinzari Cordis (Palazzo Cesi)

“Todi Open Doors” – una città che guarda al contemporaneo

Todi Open Doors, progetto nato contemporaneamente al Todi Festival e fra esso e l’inaugurazione del Parco di Beverly Pepper, come suggerisce il titolo, presuppone un gesto molto preciso: aprire le porte, in questo caso i portoni, offrendo gli androni dei suoi antichi palazzi all’arte contemporanea. Descritta così l’iniziativa appare semplice, agevole nella progettazione e nella fruizione, collocandosi nell’orbita di una prassi consolidata che vede in dialogo edifici storici della città e l’arte. Tuttavia, è proprio quando le idee sono semplici, tanto più se esse devono fare i conti, come in questo caso, con una ricca letteratura sul genere di tali pratiche, che misurare le azioni degli artisti diventa più difficile. Per Todi Open Doors sono nove le presenze coinvolte, per nove interventi in otto palazzi più una galleria, accompagnati da tre curatori (Andrea Baffoni, Francesca Duranti e Massimo Mattioli), nei cui androni, gentilmente messi a disposizione dai singoli proprietari che hanno accolto l’iniziativa con grande slancio, curiosità e amore per la propria città, hanno preso vita le installazioni di: Mario Santoro (Palazzo Vecchi Ercolano), Flavia Bigi (Palazzo Benedettoni), Laura Patacchia (Palazzo X), Franco Lo Svizzero (Palazzo Valenti Fedri), Marino Ficola (Residenza San Lorenzo), Stefano Bonacci (Palazzo Morgetti), Francesca Romana Pinzari (Palazzo Cesi), Silvia Ranchicchio (Palazzo Angelo Atti) e Michele Ciribifera (Spazio Mater). 

Da un lato abbiamo certamente la volontà della città e dei suoi abitanti di far conoscere una Todi segreta, non banalmente turistica e più autentica, dall’altro l’idea che possa essere l’esercizio del contemporaneo a mostrare il carattere del presente in un luogo che, per certi aspetti, resta sospeso nel tempo della storia, immerso in un’aurea contemplativa che la sbalza concettualmente fuori dall’attualità. Per essere più chiari, questo percorso cittadino si sarebbe potuto costruire anche senza avvalersi dell’arte, ma farlo attraverso essa acquisisce un valore diverso. Perché? Perché l’arte contemporanea riesce in qualcosa d’invisibile e impalpabile, riesce, quando l’esercizio del site-specific è condotto con professionalità, a restituire l’anima dei luoghi che l’accoglie. Vediamo, per esempio, l’intervento di Stefano Bonacci trarre ispirazione da quattro grandi orci presenti nell’androne di Palazzo Morgetti, intervento che, nel rifarsi al mito di Pandora, dunque al tema del vaso, rimanda all’anima etrusca della città, cui vi contrappone forme minimaliste suggerendo, nell’affinità della “forma”, un tempo senza soluzione di continuità. Il tempo è anche il cuore dell’intervento di Francesca Romana PinzariCordis, visivamente straordinaria, si compone di cristalli di colore blu Klein, la cui crescita è bloccata nel loro annodarsi alle corde che scendono dall’alto, dopo lunghe e precedenti immersioni nel solfato di rame. Il cristallo è vivo, fiorisce, esperisce la propria esistenza nel tempo ed è precario (fatto enfatizzato nella gravità e nella tensione delle corde appese al soffitto), così come lo è la vita di tutti gli esseri, compresa quella di un palazzo che nel tempo, ha certamente osservato, quale testimone silente, l’avvicendarsi delle vite di chi lo ha abitato.  L’arma bianca (rivisitazione dell’opera Dall’Albero sibilante della Cuccagna del 2015) di Franco Lo Svizzero, si muove, invece, nell’ambito dell’antropologia. Nel forte contrasto fra le modernissime superfici specchianti in vetro di murano e le forme antropo/zoomorfe delle 11 teste appese al soffitto, l’artista suggerisce un’atmosfera imbevuta di magia che, come già detto, si accompagna a quel senso di invisibile che spesso l’arte contemporanea riesce a suggerire come pulsante presenza della realtà. Un mistero che più in generale interessa l’uomo, tema enfatizzato proprio nel collocamento dell’opera nell’androne che, facendo riferimento all’Antro (cavità scavata nella roccia) accresce ancora di più tale sfaccettatura. Sulla stessa linea concettuale si colloca Corpo di Marino Ficola, opera in ferro e terracotta che, nel proporre una forma somigliante a un fossile primitivo e traslando lo spazio dell’androne in quello di una grotta, ci conduce ad una riflessione fra le frizioni peculiari la nostra epoca, in bilico fra sentimenti arcaici e l’essere civiltà digitale.

Sul piano della misura si gioca invece House // An Unexpected Encounter di Flavia Bigi, sublimazione del progetto nato nel 2015 Cento progetti con cinquecento metri –100//500 (Ovvero la Cerchiatura del Quadrato) dove, il vintage metro giallo pieghevole, oggetto acquistato dall’artista in grandi quantità dopo il fallimento dell’azienda produttrice e dopo l’avvento della globalizzazione) diventa l’unità di misura per la costruzione di una casa ideale. Colpisce, innanzi tutto, la perfetta rispondenza dell’opera alle geometrie di Palazzo Benedettoni che, in un assoluto quasi metafisico e pierfrancescano, tradisce il consumarsi di un dramma impercettibile eppure tangibile. Parliamo dell’inaccessibilità alla casa dove, i metri della Bigi diventano metafora di negazione che intensifica il suo stesso valore nell’apertura e nello svelarsi proprio di Palazzo Benedettoni. Affine, ma solo processualmente perché tendente all’astrazione, non nei contenuti, è l’opera Consolatio optica di Mario Santoro. Il soggetto è il Tempio della Consolazione scomposto in diverse parti e assemblato, anche con elementi di un precedente lavoro, sicché da mettere letteralmente a fuoco la struttura del soggetto fotografato. 

Proseguendo nel percorso, incontriamo il lavoro di Silvia Ranchicchio che dedica il proprio intervento allo scomparso maestro Claudio Naranjo attraverso una scultura composta di elementi geometrici tendenti a suggerire un’atmosfera spirituale. Suggestioni magiche di matrice popolare sono, invece, quelle che descrivono l’opera di Laura Patacchia che, ispirata dal rituale delle prefiche, propone una grande tela attraversata da una moltitudine di spilli a simulare una sorta di tappeto lacrimoso. Infine, chiude questo percorso lungo le vie di Todi, l’opera Trancing Vibrations di Michele Ciribifera. Si tratta di una scultura monumentale capace di riprodurre la frequenza 258h, grazie all’oscillazione di nove semicerchi in acciaio corten e due diapason. Detto anche suono del miracolo, esso si produce e si dipana nello spazio nell’interazione con lo spettatore, generando un reale cinetismo fra musica, materia e presenza fisica dell’uomo. Si crea, in tal senso, una sorta di magia, un “miracolo” – quello del suono e non solo – rappresentato, nel contrasto fra natura e artificio – cifra dell’artista – dove, quello che conta, in ultima analisi, è la totalizzante percezione di forza, di potenza e l’energia che l’opera sprigiona generando un’atmosfera di forte impatto emotivo.

Oggi questi portoni si sono richiusi. Certi si riapriranno presto, nell’attesa di una nuova edizione di Todi Open Doors ci lasciamo alle spalle la magia dell’arte e la piccola città di Todi, più grande in questo momento di molti altri centri dell’arte, per questo suo sguardo, pacato ma rilevante,  teso alla contemporaneità. 

Todi Open DoorsTodi Open Doors
Mostra Collettiva Diffusa nel Centro Storico di Todi
Terminata il 25 settembre 2019

Maria Letizia Paiato

Storico, critico dell’arte e pubblicista iscritta all’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo, insegna Storia dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata. Dottore di Ricerca (Ph.D) in Storia dell’Arte Contemporanea, Specializzata in Storia dell’Arte e Arti Minori all’Università degli Studi di Padova e Laureata in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Ferrara, è ricercatore specializzata nel campo dell’illustrazione di Primo ‘900. La trasversalità d’interessi maturata nel tempo la vede impegnata in diversi campi del contemporaneo e della curatela, della comunicazione, del giornalismo e della critica d’arte con all’attivo numerose mostre, contributi critici per cataloghi, oltre a saggi in riviste scientifiche. Dal 2011 collabora e scrive con costanza per Rivista Segno, edizione cartacea e segnonline. letizia@segnonline.it ; letizia@rivistasegno.eu