Christina Kubisch, Cloud ©LaurentLachevre

Out of Time

Stupisce per audacia, rigore analitico e superamento dei luoghi comuni la mostra OUT OF TIME. Ripartire dalla natura a cura di Silvia Cirelli e Catalina Golban. La collettiva di artiste internazionali allestita al PAC di Ferrara a inizio primavera coincide con la XIX edizione della Biennale Donna.

L’origine di questa rassegna risale alla metà degli anni Ottanta e si svolge in un contesto poco decentrato rispetto a quello di una metropoli europea. Ciononostante l’appuntamento ferrarese con l’arte contemporanea declinata al femminile risulta oggi più che mai attivo e vivace. OUT OF TIME. Ripartire dalla natura fa osservare inoltre come le piccole dimensioni della rassegna non limitino affatto i suoi buoni risultati in ambito storico critico. Notiamo ancora come nell’interpretare il clima artistico e culturale internazionale, la Biennale Donna di Ferrara sa offrire al mondo dell’arte uno speciale e insostituibile punto di vista. 

Come è avvenuto in altre rassegne da due anni ad oggi anche la XIX edizione della Biennale Donna si concentra sul tema della salvaguardia ambientale. OUT OF TIME. Ripartire dalla natura, infatti, vuole riflettere sul rapporto tra natura e individuo nonché sulle conseguenze dello sfruttamento indiscriminato delle risorse della Terra.

Il tema sviluppato però acquista oggi un valore nuovo, quasi di militanza. Questo argomento rafforza, nel momento attuale, l’invito al dibattito e al pensiero critico.

La necessità di ripensare il nostro stile di vita e il nostro modello di consumi alla luce dell’emergenza climatica, infatti, era fino a pochi mesi fa una questione al centro della pubblica attenzione. L’approdo a un’economia circolare e il ricorso a fonti energetiche rinnovabili figurava nell’agenda di governi e organizzazioni internazionali. Agli obiettivi di sostenibilità si legavano anche i traguardi in ambito sociale, come quello delle uguali opportunità e di una migliore qualità della vita per per tutte le persone del mondo.

Con l’avvicinarsi degli ultimi mesi, tuttavia, un curioso silenzio sembra essere calato sulla discussione. Nuovi argomenti che spostano gli orologi indietro di cento anni, come il ritorno alle centrali a carbone o gli investimenti sul riarmo, sono invece passati in primo piano.

OUT OF TIME. Ripartire dalla natura presenta cinque artiste da tempo attive in campo internazionale. Queste autrici sono indubbiamente personali interpreti delle esperienze più significative della ricerca artistica contemporanea. 

Diana Lelonek, Christina Kubisch, Mónica De Miranda, Ragna Róbertsdóttir e Anaïs Tondeur, hanno età anagrafiche differenti e vengono da diverse parti del mondo. Ciascuna di esse, però, fonda la sua poetica sul rapporto fra essere umano e ambiente.

Il lavoro di Diana Lelonek si muove al confine fra l’indagine artistica e quella scientifica oppure tra la ricerca artistica e l’indagine sociale. Le sue opere, spesso di natura partecipativa, costituiscono vere e proprie iniziative di eco attivismo. L’autrice nello svolgimento dell’attività artistica collabora anche, in molti casi, con istituzioni pubbliche, enti e associazioni.

Come già due anni fa al Pastificio Cerere, anche al PAC di Ferrara Diana Lelonek ci mostra in che modo gli ambienti dell’antropocene accolgono i rifiuti della nostra civiltà. Nell’opera Center for the Living Things, cominciata nel 2016 e ancora in itinere, numerosi oggetti da discarica illegale costituiscono il “patrimonio” di un avveniristico museo di natura e archeologia. 

Della stessa autrice presenta grande impatto l’installazione Seaberry Slagheap realizzata tra il 2018 e il 2022. Quest’opera si configura come un vero e proprio stand commerciale. L’allestimento è eco-sostenibile costruito con materiale organico e di riutilizzo. Perfettamente conservate dentro accattivanti barattoli vengono così presentate delle marmellate color arancio, pronte per essere vendute al dettaglio o degustate. 

Come nei migliori stand un video documenta origine e qualità del prodotto venduto. È attraverso questo schermo che possiamo ammirare lo splendido paesaggio della regione polacca di Konin dove crescono gli alberi di seaberry. È sufficiente però guardare l’etichetta appesa ai barattoli o il secondo schermo più piccolo, sul retro dello stand, per scoprire com’è realmente questo paesaggio all’epoca attuale. L’opera Seaberry Slagheap di Diana Lelonek è a tutti gli effetti una denuncia dello sfruttamento a cui da decenni è soggetta la regione di Konin a causa dell’estrazione mineraria. La speculazione sulle risorse naturali di questo posto ha causato negli anni la desertificazione dell’area, oltre che il suo abbandono da parte delle popolazioni che vi abitavano. Il seaberry è un albero eccezionalmente resistente agli habitat difficili e per l’artista è diventato il simbolo di una possibile rinascita di questo territorio.

Immaginiamo di poter “ascoltare” il flusso che scorre dentro le reti elettriche. Immaginiamo di poter sentire le trasmissioni dei dispositivi senza filo presenti negli ambienti in cui viviamo.

Christina Kubisch, torna in Italia dopo avere esposto pochi anni fa al Goethe-Institut di Roma. La storica sound artist tedesca presenta in questa occasione due opere mai esposte nel nostro paese. Entrambe le installazioni sono basate sul principio dell’induzione elettromagnetica con la quale l’artista lavora dalla fine degli anni ’70. 

I lavori della Kubisch esposti al PAC sono Cloud realizzato fra il 2011 e il 2019 e Il respiro del mare del 1981: prima opera legata al sistema dell’induzione elettromagnetica.

Cloud è uno scarabocchio nero su fondo bianco, una scultura leggera come una nuvola sospesa nell’aria, un groviglio di fili elettrici che abita lo spazio neutro e asettico della sala espositiva. Da ciascun filo, ma in realtà da ciascuna parte dell’opera è udibile un suono differente. Per scoprirlo bisogna indossare delle cuffie wireless ed esplorare lo spazio attorno a questo lavoro. 

Nell’opera Il respiro del mare invece, realizzata sulla parete in due dimensioni, non sono le cuffie ma la scatola cubica a restituire i rumori del mare e del respiro.

Passionale e corporeo, incentrato sull’espressività di immagini, oggetti e materiali è il lavoro di Mónica De Miranda.  L’autrice, portoghese di nacita ma di origini angolane, recupera e cattura elementi naturali, tradizionali e vedute fotografiche del paese dei propri antenati. Stravolto da secoli di colonialismo l’ambiente di questa terra viene presentato dall’artista attraverso l’uso di mezzi  espressivi differenti.

 Cultura e paesaggio angolani sono mostrati per frammenti, parti giustapposte volte a comporre immagini in polittico o installazioni complesse. Hanno proprio questo caratteri le opere  Untitled (da serie Arquipelago), Under Water e All that burns melts into air, esposte in biennale. Quest’ultima opera presenta una soluzione installativa ricorrente nel lavoro di Mónica De Miranda: la costruzione di un ambiente che richiama espressamente l’atto di rappresentare come il palcoscenico o il teatro. Dentro il vano circondato da un perimentro di tende rosse e vasi con piante originarie, un video pone in risalto gli aspetti caratteristici e contradittori della realtà di São Tomé.

Le opere della finlandese Ragna Róbertsdóttir hanno un’impronta minimale per essenzialità e  rigore. Questi lavori però risultano allo stesso tempo carichi del valore espressivo ed evocativo della materia.

Terre vulcaniche e sale, elementi che caratterizzano la natura del territorio della Finlandia sono stesi da Ragna Róbertsdóttir sulle pareti o sui pavimenti attraverso le mani. Questi materiali, spalmati negli ambienti in aspetto site-specific, oppure su lastre di vetro, possono considerarsi vere e proprie rappresentazioni di paesaggio. Al PAC di Ferrara Ragna Róbertsdóttir presenta Lava Landscape, un grande rettangolo di lava nera che occupa quasi l’intera parete della prima sala. Di queste opere ambientali ricordiamo anche Red Mud Scape, l’installazione al pavimento eseguita con fango rosso.  L’installazione View, diversamente, è un paesaggio realizzato con pulviscolo di lava rossa che riempie lo spazio sottile fra due strati di vetro. Il ciclo Saltscape invece si compone di opere in cornice realizzate con sale di lava sempre su vetro.

L’artista Francese Anaïs Tondeur, presenta due suggestive installazioni che testimoniano un’attività al confine fra la ricerca artistica e quella scientifica.

L’opera Pétrichor è una suggestiva raccolta di ampolle di vetro sospese dal pavimento che restituiscono le variazioni dell’odore emesso dalla terra dopo la pioggia. La differenza fra questi odori documenta il maggiore o minore danneggiamento dell’ambiente naturale nel posto in cui il relativo campione di terra è stato prelevato.

Memory of the ocean invece è una raccolta di campioni di acqua oceanica prelevata a diverse profondità. Specifiche caratteristiche di questi campioni d’acqua, come ad esempio la salinità, rivelano informazioni sui cicli oceanici, che sono fenomeni legati ai cambiamenti climatici. 

Nell’opera di Anaïs Tondeur il valore poetico si unisce all’interesse in campo naturalistico per capovolgersi in un’azione di denuncia.  Il recupero dell’odore della terra, in toni diversi come la musica e i colori, e la lettura della “memoria dell’oceano” richiamano una dimensione naturale che avvolge l’essere umano. Una dimensione nei confronti della quale l’uomo ha interrotto nella cultura e nell’agire il legame simbiotico.


OUT OF TIME. Ripartire dalla natura
a cura di Silvia Cirelli e Catalina Golban
dal 27 marzo al 29 maggio 2022
Padiglione d’Arte Contemporanea
Corso Porta Mare 5, Ferrara

www.biennaledonna.it