One wall a web through whitch the moment walks, installation view

One wall a web through which the moment walks

Alla Galleria 1/9 di Roma è in mostra, fino a Gennaio del prossimo anno, la collettiva “One wall a web through which the moment walks”, curata dall’artista statunitense Jonathan VanDyke.

Una mostra complessa, di una forza critica eccezionale, che ha davvero qualcosa da dire, e questo non è scontato, e che si basa su due riflessioni intrecciate: una estetica, l’altra politica.

Una mostra in parte, anche tautologica, in quanto le opere esposte, curate in tal modo, vogliono parlarci, oltre che di se stesse, del sistema artistico, sul doppio binario estetico-politico che va ad incrociarsi a specchio ad un metodo particolare-generale.

Il frangente estetico si basa sul concetto principale della mostra, quello di “sottotesto”, che, come leggiamo nel testo critico, è “ciò che giace sotto la superficie, che emerge nella percezione, che viene percepito ma non detto”. Da esso si sviluppa quello politico, in quanto la mostra è concepita come, attingendo sempre dal testo, “antidoto alle pressioni esercitate dal mercato sugli artisti contemporanei affinché si definiscano attraverso identificazioni facilmente etichettabili e obiettivi rapidamente riassumibili”.

Un tema così ampio e complesso non può che essere sistematizzato in una sorta di “caso studio”, allora VanDyke, statunitense e studioso dell’arte contemporanea italiana, mette in relazione gli artisti italiani del XX secolo con i suoi colleghi statunitensi del XXI, tracciando un rapporto esistenziale tra l’ultima tendenza rivoluzionaria dell’arte italiana e il palcoscenico artistico contemporaneo nordamericano. Ma la sfumatura tautologica della mostra non può che far emergere anche una generalizzazione del concetto, accorpando volontariamente opere così tanto diverse per media, temi e connessioni, tutte rifuggenti dalla semplicità, tutte risonanti nel dubbio, nell’ambiguità, nella nicchia della complessità.

Un’esposizione lontana dall’immediatezza e carica di senso. A rappresentare l’ultima avanguardia italiana dello scorso secolo troviamo un quintetto estremamente eterogeneo e radicale composto da Carla Accardi, Dadamaino, Carol Rama, Piero Gilardi e Gino De Dominicis. A rappresentare, invece, la scena contemporanea statunitense troviamo Nadia Ayari, Carla Edwards, Kenji Fujita, Hwi Hahm, Ellie Krakow, linn meyers, Sreshta Rit Premnath, Julianne Swartz e lo stesso Jonathan VanDyke.

I dispositivi in mostra, così lontani, in termini di spazio e di tempo, si mescolano senza alcun contrasto forzato, nelle sale della galleria, grazie anche al fatto di rappresentare, tutti, la tradizione pittorica e scultorea della storia dell’arte recente. Si rimandano a vicenda, nella loro cripticità, e il loro significato acquista nuove sfumature, sia per quanto riguarda le opere dello scorso secolo, sia quelle contemporanee. I poliesteri di Dadamaino si relazionano perfettamente agli scenari cosmici di linn meyers, le bandiere di Edwards creano uno straniamento non del tutto dissimile alle sperimentazioni sui materiali di Rama. Il tappeto-natura di Gilardi riflette il rapporto naturale-artificiale come le tele di Ayari, le sperimentazioni concettuali di Accardi sul telaio riecheggiano in quelle sull’abito di VanDyke, quelle, invece formali sulla tela, nelle sculture di Fujita. Il misticismo di De Dominicis, l’assolutezza del suo quadro, fuori dalla realtà e dalla piena comprensione, eppure così esatto e chiarificatore di un “oltre” è metamorficamente vicino ai corpi mutilati – e metafisici – scultorei e pittorici di Krakow e opposto visivamente ma non così tanto concettualmente all’espressionismo di Hahm, disorientante e frammentato, anch’esso volto ad un “oltre” che supera il mero reale.

E si potrebbe continuare così per molte righe: rimandi su rimandi, tra tutti gli artisti in mostra. Così com’è riconoscibile la militanza artistica degli artisti italiani, allo stesso modo si nota una zeitgeist comune in quelli statunitensi. Le loro opere, così come quelle novecentesche in mostra, stupiscono, e può sembrare una contraddizione, per la loro “chiarezza”: non lasciano mai interdetti pur basandosi sull’ambiguità e sul non detto. È comprensibile, quando le contempliamo, che vogliono dirci qualcosa che supera il loro ermetismo, ci chiedono uno sforzo per abbandonare la superficialità delle cose, si completano con il nostro pensiero, che diventa parte del processo estetico. Ci chiedono l’azione aurea per eccellenza.

One wall a web through which the moment walks (a cura di Jonathan VanDyke).
Carla Accardi, Dadamaino, Carol Rama, Piero Gilardi e Gino De Dominicis, Nadia Ayari, Carla Edwards, Kenji Fujita, Hwi Hahm, Ellie Krakow, linn meyers, Sreshta Rit Premnath, Julianne Swartz e Jonathan VanDyke.
Galleria 1/9
Roma, Via degli Specchi, 20.
Ottobre 2023 – Gennaio 2024