«Le Gorgoni, che hanno dimora al di là dell’inclito Oceano, sul confine ultimo della notte,
dove sono le Esperidi dalla voce armoniosa, Stenno, Euriale e Medusa dal triste destino:
ella era mortale, immortali e di vecchiaia ignare le altre due!
Ma a lei sola giacque accanto il dio dall’azzurra chioma, sul soffice prato e sui fiori di primavera».
Esiodo, Teogonia, in Opere, Utet, Torino 1977
Affascinante e fatale, attraente e spaventosa, Medusa, tra le Gorgoni, partecipa di una dualità e ambiguità confinale tra vita e morte, tra fascino e orrore che si evidenziano nel dominio della corporeità e della visione, coinvolgendo sensorialità e razionalità, bellezza e perversione intellettuale, natura oscura e civiltà in uno scontro fatidico che non si esaurisce, ma permane come ineliminabile soglia permeabile, apertura e squarcio incarnato in un simulacro di potenza al contempo ultraterrena e mortale.
Antonello Viola in Aperto confine sulla Gorgone di Sartorio dialoga con l’opera e, in particolare, con i bozzetti preparatori de La Gorgone e gli Eroi di Giulio Aristide Sartorio, esposta nelle sale della Galleria Nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma, indagando la faglia aperta lungo la linea che unisce e separa passione e sublimazione, mutuata in elevazione e carnalità, sessualità e unità diadica, purezza formale e fenditura rivelativa delle profondità della visione sensibile.
Il corpo di Medusa nei bozzetti a pastello su carta di Sartorio è intuizione intima ispirativa di un principio corporeo dalla proprietà magica e istintuale, evidenziato nella sensualità di una luce epidermica emergente dal fondo scuro che Viola cattura come prodigio irradiante e desiderio cristallizzato da poter riguardare frontalmente al contempo come malia ferale o salvifica: la Gorgone è compartecipe di entrambe le nature, ostili e protettive, ambiguamente seduttiva e mostruosa.



Nelle opere dell’artista la foglia d’oro bianco riflette e rispecchia incanto e maleficio, metafora proiettiva e ipnotica di una sorgente misterica sacrale e demoniaca che porta in se’ le tracce di perturbazioni e scalfitture, estasi e tormenti, tagli gloriosamente impenetrabili, messi a nudo e offerti alla vista come narrazione di un procedere e accadere tra eros e thanatos.
Le superfici segnate da linee e sollevamenti, graffiature e lacerazioni, svelano cromie decise e lievi che richiamano lo sguardo nell’intensità di una natura ancora ignota, viscerale e inestinguibile, in evocazioni interstiziali inafferrabili tra lo splendore trascendente e corporale di una liminalità voluttuosa e tremenda.
Nella emersione coloristica la materia si fa vibrante e trepida, radiosa ed enigmatica, serbando la propria storia e origine, portando in luce una pelle lesa, ma incorruttibile, resa eroticità idealizzata, profanamente consacrata al dominio visuo-percettivo, mentre i margini tonali costruiscono la propria genia mitica in un procedere spaziale e temporale lungo i limiti demarcativi del supporto.
Nelle fratture che interrompono la continuità e cadenza regolare della foglia d’oro si ritrovano sedimenti, segni, memorie e sfumature di un tempo intimamente interiorizzato, inconfessato e semioticamente molteplice.
La mostra Aperto confine sulla Gorgone di Sartorio si pone oltre una frontiera dicotomica e dualistica, racchiudendola in una ieratica contemplazione di una identità e confluenza tra opposti, parafrasando il poema di Esiodo la riflessione sulla Gorgone nelle opere di Antonello Viola ha dimora sul confine ultimo della luce.