Non è più possibile partire dal reale e fabbricare l’irreale, l’immaginario a partire dai dati del reale. Il processo sarà piuttosto l’inverso.
Jean Baudrillard
Quelle che seguono sono alcune riflessioni condivise con Carola Bonfili, artista che nella sua pratica narrativa transmediale mette in dubbio le ordinarie modalità percettive del quotidiano. Insieme abbiamo voluto intraprendere un viaggio di_verso…oltre limiti e possibilità non pensate, ma sentite.
Partiamo dalla chiusura, poche settimane fa, di Hypnerotomachia: Notes on stories that will be written or imaginated, lavoro di Carola Bonfili (già presentato alla Fondazione Baruchello e al MACRO (Museo dell’Immaginazione Preventiva) di Roma, esposto in Alaska alla Bivy contemporary art gallery a cura di Daniela Cotimbo e Simonetta Mignano. Un progetto stimolante che ispira non poche riflessioni su questioni contemporanee di grande interesse, temi quali il tempo, la realtà, la virtualità, l’immaginazione e il senso della narrazione attraverso simboli, ritualità e miti rivisti e reinterpretati mediante la ricerca di un importante testo misteriosofico quale appunto l’Hypnerotomachia Poliphili, pubblicato dall’editore veneziano Aldo Manuzio nel 1499. In mostra una serie di sei illustrazioni libere interpretazioni delle xilografie incastonate nel libro originale, stampe uscite in tiratura limitata e concepite come potenziali copertine per libri di fantascienza mai scritti. I paesaggi e le figure umane presenti nelle xilografie suggeriscono ulteriori storie ancora inesplorate, le cui possibilità narrative permettono a Bonfili di indagare scenari alternativi: in Polia, le ambientazioni, i costumi e il suono, ci immergono in una dimensione ermetica dove misteriosi rituali si alternano a momenti catartici.
Il progetto risulta quindi una ulteriore esplorazione di Polia, opera di Bonfili ispirata al testo suddetto che descrive le storie di Polifilo, il video è una sorta di attraversamento, si è dentro e fuori un racconto simbolico, in un tempo senza tempo, nel mito che travalica la linea di Krónos.
Maschere, paesaggi onirici, segni, suoni e riti che richiamano e suggeriscono innumerevoli possibilità narrative e interattive, ci permettono di sondare territori immaginari e varcare soglie visionarie imponderabili. Viaggi iniziatici, simboli, miti, tradizioni, sogno, realtà, surrealtà e interconnessioni che vanno oltre il senso logico, che invitano a percorrere spazi inusuali e a sperimentare molteplici prospettive. Questi e altri i temi e le suggestioni suggerite dai lavori di Bonfili, una interessante e articolata opera multimediale che investe diversi aspetti di una natura ambigua e polimorfica, immagini di narrazioni al limite di una realtà raffigurata nella sua apparente ‘inesistenza’.
Pertanto, con l’intento di esplorare sempre i sottili confini di quella che pensiamo sia la realtà ci siamo addentrate con l’artista in Hypnerotomachia: note su storie che non saranno mai scritte o immaginate…
Amalia Di Lanno Partiamo dall’opera e dal titolo della mostra, dal luogo in cui è stata esposta e dall’idea di narrazione allegorica in termini di tempo reale, virtuale e immaginifico. Note su storie che non saranno mai scritte o immaginate…Perché? Ma esistono?
Carola Bonfili Credo che le storie abbiano sempre avuto una funzione abbastanza specifica, credo inoltre che la loro forza risieda anche nei diversi utilizzi che uno può farne. E’ per questo che esistono da sempre e ci sopravviveranno. Hanno avuto ed hanno ancora diverse funzioni, soprattutto di formazione, ma sono così efficaci perché offrono un’alternativa migliore. A quasi tutti i bambini riesce abbastanza facile produrle, o entrarci, per la loro incapacità di dare per scontata la realtà. Il problema è quando anche questo spazio diventa inflazionato. Ho sempre utilizzato la narrazione per cercare di costruire uno spazio protetto. Ho iniziato a chiedermi cosa sarebbe successo se uno spazio virtuale, di finzione, avesse iniziato ad essere contaminato da quello che provavo a lasciare all’esterno. A questo sarebbe seguita un’incapacità nel formulare delle storie, proprio per l’impossibilità di garantire quel distacco necessario. Ma c’è anche un altro motivo per cui queste storie non sono state scritte, ma solo abbozzate con delle immagini. Mi è sempre interessato l’inizio delle storie, l’incipit, la partenza, il quadro iniziale. Nelle storie brevi, nei racconti allegorici per esempio, credo che il finale sia importante, perché in qualche modo è come se tutta la storia vertesse verso il suo epilogo, un po’ come quando si sta per lanciare una palla verso il canestro, mentre la si lancia bisogna già iniziare a visualizzarla all’interno del cerchio per far si che ci vada davvero. Insomma il finale è già scritto nella premessa. Personalmente però sono più attratta dalle storie in cui viene delineata una traccia iniziale, sulla quale si può rimanere anche in sospensione, dove non c’è necessariamente un obiettivo o una risoluzione.
A.D.L. Mi piacerebbe percorrere con te una sorta di viatico dell’irreale, lasciare che il pensiero sia libero da ciò che spesso lo trattiene dall’oltrepassare porte ignote dinanzi alle quali ci assalgono paure, incertezze e dubbi. Disegniamo linee conosciute, forme semplici per decifrare la complessità, l’origine e il mistero. Ecco, vorrei parlare di un’altra realtà che forse sfugge, che non vediamo, fatta anche di rielaborazioni artificiali, digitali e virtuali, interfaccia cosmici e ibridazioni multimediali mediante le quali le identità mutano, si trasformano, divengono altro. A questo cambiamento non possiamo sfuggire, al contrario, è necessario consapevolmente abitarlo per essere cum_tempo, presenti nel tempo futuro.
C.B. Paradossalmente la nozione di tempo nel virtuale è leggermente alterata, perché per sua natura non è ancorato a delle dimensioni spazio-temporali definite. Questo lo accosta, tra le altre cose, alle pratiche rituali, che aboliscono il tempo cronologico. Per pratiche rituali non intendo solo quelle religiose, ma qualunque azione che permetta uno scollamento temporale tra il corpo e il pensiero, dove vengono abbassate le difese perché si entra in una dimensione percepita come sicura. Le chiese per esempio sono i primi luoghi pensati per essere immersivi, che sia per l’utilizzo delle illusioni ottiche o per le potenzialità ascensionali della luce e dell’acustica. C’è sempre stata una volontà di abitare o ricreare degli spazi immersivi, che siano fatti di pietra, cemento o dati, proprio per scordarsi di se stessi.
A.D.L. Con questo spirito e nel tempo di una ritualità che ci permette di sondare territori senza tempo entriamo in Hypnerotomachia, progetto esposto alla Bivy gallery in Alaska, in un luogo dove il paesaggio è quasi un riflesso di quei confini ‘raccontati’ attraverso le interessanti stampe, illustrazioni che hai realizzato ispirate alle xilografie incastonate nel romanzo allegorico del 1499.
C.B. Il libro, Hypnerotomachia Poliphili, è estremamente visionario, molto descrittivo, c’è una cura maniacale per i dettagli, quasi fino alla ridondanza, quasi fino a farti perdere il senso della storia. Francesco Colonna, a cui è stato attribuito, ha descritto un desiderio fortissimo verso qualcosa che lui amava, che fosse Polia o che fossero degli oggetti, ma era tutto rivolto verso l’esterno. Il suo personaggio rimane nascosto, e anche nei momenti in cui si palesa, ne esce una rappresentazione, un po’ come chi si nasconde alla luce del sole. Il linguaggio utilizzato è incredibile, una sorta di cut-up rinascimentale. Ho costruito il video Polia, (16 min, colore, suono, 2019) esposto a Bivy, partendo dalle xilografie del testo; ho iniziato a guardarle come fossero scene reali, e a immaginare cosa sarebbe potuto accadere se le azioni si fossero sviluppate nel tempo. Come per altri miei precedenti lavori, Francesco Fonassi ha prodotto la parte sonora. In questo caso è stato un elemento fondamentale che ha aggiunto e amplificato una dimensione introspettiva e una spaziale, creando un ritmo e un legame continuativo tra le quattro scene del video. L’altro lavoro presentato a Bivy, Hypnerotomachia: Notes on stories that will never be written or imagined, è composto da 5 tavole illustrate. Anche per questo progetto sono nuovamente partita dalle xilografie del libro di Colonna, ma questa volta per rimanere nel disegno. Ho scelto di costruire degli spazi in una terra di confine, non onirica come nel testo originale, ma quasi iperreale. Non sono mai stata in Alaska, ma la immagino come una regione dal forte potere contemplativo, con un tessuto sonoro estremamente vivo che assorbe delle frequenze molto alte, esterne ed interne. In questi territori il mondo visibile è ridotto al minimo. Le distese di neve, come era già successo nel video, sono diventate uno spazio di contrasto su cui far muovere i diversi elementi.
A.D.L. Cosi dentro, immersi in questo spazio di attraversamento e di fronte ai tuoi portali fantascientifici oltre i quali sondare limiti e possibilità…cosa può essere raccontato, o meglio, non raccontato? Quanta importanza riveste l’immaginazione in una narrazione che travalica confini reali apparenti in una virtualità sempre più realistica? Forse, come Polifilo, stiamo vivendo in un sogno, un viaggio che non sappiamo dove ci porterà, ma ci aprirà senz’altro a nuove visioni e percorsi verso altro e altrove?!
C.B. Mi interessa lo spazio personale che ognuno può creare rispetto alla sua narrazione. Compiliamo automaticamente i ricordi con la memoria, li riscriviamo ogni volta a seconda di quello che stiamo vivendo. Anche le storie, come i miti e le leggende, sono sempre delle rielaborazioni di storie precedenti, che seguono lo stesso schema. Uno spazio che viene lasciato aperto ad interpretazioni può essere riscritto e reinterpretato più volte. L’immaginazione, come il racconto, forse ci serve per stare con i piedi per terra, per costruire e per scegliere quale è il migliore spazio virtuale, e reale, per noi.
A.D.L. Ti ringrazio per questo percorso di riflessione che conferma, a mio avviso, che l’immaginazione sfugge alla logica ed è una via che può condurci ovunque e altrove, ma siamo sempre noi viaggiatori a determinare il viaggio. Lo sono i nostri occhi che ogni volta vedono diversamente, non solo perché cambiamo luogo e ci spostiamo fisicamente o virtualmente, ma perché la realtà, in realtà, non è che ‘finzione’, un disegno che possiamo davvero creare andando ben oltre ciò che pensiamo di vedere, per arrivare a sentire di vedere?!
Carola Bonfili | Hypnerotomachia: Notes on stories that will be written or imaginated
a cura di Daniela Cotimbo e Simonetta Mignano
mostra chiusa il 30 aprile 2022
Bivy
419 G Street, Suite 100
Anchorage, Alaska 99501