Émile Durkheim © pubblico dominio

Durkheim e la formazione dell’essere sociale

«un corpo insegnante senza fede pedagogica è un corpo senz’anima». Émile Durkheim

Bisogna riconoscere che pochi sono i pensatori in cui il senso dell’educazione del bambino sia affrontato per concepire una istruzione libera e democratica, come pure per porre al centro dell’attenzione l’emancipazione dell’uomo – da formare in funzione alle esigenze della sua personalità e della coscienza collettiva. Le forze di rinnovamento didattico adottate da Émile Durkheim rappresentano, dello scenario aperto tra la fine dell’Ottocento e il primo decennio del secolo successivo (in piena temperie positivista), il più compiuto traguardo di una lunga ricerca – razionalista, scientifica, progressista (nel senso che mira a «svincolare la pedagogia e l’educazione da premesse filosofiche») – volta a delineare gli statuti della formazione umana e a perimetrare le conquiste della ragione in seno al mondo della scuola: di una scuola lontana dall’«orrore per ogni forma di oppressione».

Docente dal 1887 di Pedagogia e Scienze Sociali all’Université de Bordeaux dove è nominato titolare nel 1896 (l’affidamento del 1887 sancisce il primo ingresso della sociologia nell’università francese) e incaricato poi del corso di Scienza dell’Educazione alla Sorbonne di Parigi dal 1902 (qui supplisce Ferdinand Buisson prima di essere nominato titolare della cattedra nel 1906), Durkheim elabora un personale percorso che ruota attorno a due dicasteri riflessivi dell’istruzione (la Pedagogia e l’Educazione appunto) per intrecciarli all’ambito della nascente Sociologia e dunque per mettere a punto un discorso in continuo divenire: «l’ideale pedagogico di un’epoca esprime anzitutto lo stato della società in quella determinata epoca» apostrofa in uno dei suoi tanti interventi dedicati ai fatti della formazione culturale dell’individuo. 

Se la pedagogia nel pensiero di Durkheim è una teoria-pratica (scienza e insieme arte o teoria dell’educazione) «che non studia scientificamente i sistemi di educazione, ma riflette su di essi per fornire all’attività dell’educatore delle idee direttive» (in altro luogo avvisa che consiste «non in azioni, ma in teorie», e che «queste teorie sono dei modi di concepire l’educazione, non delle maniere di praticarla»), l’educazione (la scienza dell’educazione più esattamente) rappresenta d’altro canto «prima di tutto il mezzo per il quale la società rinnova perpetuamente le condizioni della propria esistenza»: è dunque qualcosa di dinamico, nel presente come nel passato come nel futuro, poiché il suo valore interno cambia necessariamente con il mutare della società in cui si forma.

Costruito a partire da una analisi diveniristica degli ideali e delle organizzazioni politiche religiose morali economiche di un determinato luogo e in un determinato tempo, questa particolare e ancora attuale prassi individuata da Durkheim torna in più occasioni della sua lunga e brillante carriera d’insegnante – e non dimentichiamo che prima del successo universitario Durkheim aver insegnato per qualche tempo nei licei di Sens, Saint-Quentin e Troyes – per dar luogo a un complesso di idee direttive che puntano sul processo evoluzionistico, sull’avanzare dell’individuo che combacia con l’avanzare della società. 

Nel corso di 26 lezioni tenuto a Parigi tra il 1904 e il 1905 (L’evoluzione e il compito dell’insegnamento secondario in Francia) Durkheim tratteggia, ad esempio, un modello di applicazione del metodo sociologico alla storia dell’educazione, evidenziando che la stessa macchina scolastica va vista come un organismo mobile: «poiché essa è chiamata ad evolvere senza arresto, occorre poter giudicare le tendenze al cambiamento che la agitano; bisogna poter decidere, conoscendo a fondo il problema, quello che dovrà essere nell’avvenire». 

Individuando nella scienza dell’educazione un servizio pubblico (Pedagogia e l’Educazione sono per lui discipline utili a indirizzare l’individuo), la via per plasmare il corpo dell’essere sociale e dunque un terreno ampiamente strutturato attorno a principi etici, Durkheim sente inoltre l’esigenza di indicare un rinnovamento delle funzioni vitali della società e dunque della scuola e dei suoi insegnanti. Lo dice esplicitamente nel corso Sull’educazione intellettuale nella scuola primaria (un corso sulla morale completamente redatto ma tuttora inedito), dove evidenzia l’importanza da dedicare all’attenzione e dove «l’educatore deve tener conto dei caratteri individuali di ciascun alunno» in un ambiente, la classe, che «è una piccola società e non bisogna reggerla come se fosse un semplice agglomerato di individui; i fanciulli in classe pensano, sentono, agiscono diversamente da quando sono isolati».

Consapevole che la coscienza contemporanea si è ormai talmente assuefatta al concetto di crisi e ha così universalmente acquisito il senso della precarietà (da considerare la crisi e la precarietà come costitutive dell’esistenza normale), Durkheim propone, seppure per molti casi il suo pensiero sia ancora ancorato a una concezione verticale della società, una visione dell’educazione che varia (che dovrebbe variare) nel tempo, che deve (che dovrebbe) essere sempre relativa e innovativa, che deve (che dovrebbe) rompere le rigidità dell’istruzione tradizionale a partire dalla scuola dove (ecco una tematica di scottante attualità) «un corpo insegnante senza fede pedagogica è un corpo senz’anima».