Tra le diverse attività del poliedrico universo filosofico disegnato da Bertrand Russell nel suo lungo e luminoso percorso, le riflessioni dedicate alla pedagogia e alla didattica rappresentano un nucleo irrinunciabile per comprendere quei principi di riforma sociale (1916) che già attorno al primo ventennio del secolo scorso hanno ispirato il suo pensiero: e non bisogna affatto dimenticare che il 21 luglio 1927, assieme a Dora Black (sua seconda moglie il cui apporto teorico con In Defence of Children del 1932 è davvero capitale), il filosofo avvia un esperimento, il più importante in ambito didattico, che si formalizza con l’apertura della Beacon Hill School, una sorta di home schooling che faceva capo a casa dei Russell, a rammentarlo è Valentina Verona, in Telegraph House, a Chichester, cittadina nella contea inglese del West Sussex. «Credevamo, forse erroneamente, che i bambini avessero bisogno della compagnia di un gruppo di coetanei e che, pertanto, non dovevamo più accontentarci più di educarli da soli. Ma non conoscevamo alcuna scuola. Cercavamo qualcosa d’insolito: da una parte non ci piaceva il falso pudore, l’istruzione religiosa e molte delle limitazioni alla libertà che sono accettate senza discussioni nelle scuole di tipo convenzionale; dall’altra non eravamo d’accordo con la gran parte dei “moderni” pedagogisti, che considerano superflua l’istruzione scolastica o che sostengono la totale abolizione della disciplina», avvisa lo stesso Russell nel secondo volume della sua Autobiography (1967-1969).
In questo spazio esemplare, la Beacon Hill School (nell’Hampshire Downs appunto, dove Russell rifiutò anche di insegnare religione per rompere i ponti con il puritanesimo della classe media vittoriana e tentare di «preparare uomini che abbiano una libera intelligenza unita a un carattere felice»), il bambino è lasciato essenzialmente libero, non ha voti («non ci sono voti e non c’è nessuna gara»), può saltare anche le lezioni senza essere mai punito fisicamente, è invitato alla gentilezza, è incoraggiato a alimentare la fantasia («uccidere la fantasia nell’infanzia significa fare del bambino uno schiavo della realtà»), è spronato a coltivare i propri istinti («l’educazione consiste nella coltivazione degli istinti, non nella loro soppressione»), è stimolato alla conoscenza dell’amore e della sessualità. «Anche se un bambino non lo chiede spontaneamente, bisognerebbe comunque spiegargli l’argomento, prima che raggiunga i dieci anni, se non si vuole correre il rischio che sia qualche compagno ad aprirgli gli occhi in maniera senz’altro dannosa. Può darsi quindi che si renda necessario stimolare la sua curiosità con nozioni che riguardano la riproduzione delle piante degli animali; ma non si deve fare di questo un’occasione solenne, condita da colpetti di tosse e frasi del tipo: “Ora, mio bravo ometto, ti devo svelare qualcosa che è tempo tu sappia”. L’intera faccenda dovrà sembrare normale e all’ordine del giorno, ecco perché il modo migliore per esporla è rispondere con sincerità alle domande».
Nonostante abbia scritto due sole opere compiute sull’educazione – On Education, Especially in Early Childhood (1926) e Education and the Social Order (1932) – Russell rappresenta, del panorama pedagogico novecentesco, in quanto attivo precettore e filosofo dell’educazione legato anche ai diritti umani e naturalmente ai diritti dell’infanzia, una preziosa lanterna pedagogica che si nutre di libertà individuale, di gioco («il bambino trova i giochi molto più interessanti della realtà»), di immaginazione, di creatività. Per lui il bambino «è come un albero» che va nutrito e coltivato in tutte le sue varie attitudini: «ha bisogno di crescere tranquillo, nel proprio ambiente, secondo il suo ritmo e in modo proprio».
L’esperienza della Beacon Hill School («200 acri di boschi e valli, con cervi, conigli, ermellini e donnole, enormi alberi di tasso da cui poter saltare e magnifico faggi su cui arrampicarsi… la libertà di imparare, vagare, sperimentare, era incomparabile») che Russell chiude, dal proprio canto, nel 1935, anno in cui divorzia da Dora, rappresenta il perimetro dentro il quale si muove un pensiero sempre più acutamente aperto a riflessioni di stampo didattico – Education, Children, On Education in Early Childhood, Should Children Be Happy?, Truthfulness, On Protecting Children from Reality, Play and Fancy, Education and Civilization, Does Education Do Harm?, The Functions of the Teachere In Our School escono tutti in questo lasso di tempo – che toccano negli anni raffinati punti di contatto con un territorio in cui l’educazione è educazione dei figli ma anche della civiltà. «Gli insegnanti, più di qualsiasi altra classe professionale, sono i custodi della civiltà. Essi dovrebbero essere intimamente consapevoli di che cosa sia civiltà, e desiderosi di far acquisire attitudini di civiltà ai loro allievi». Del resto, «nessuno può essere buon maestro se non nutre sentimenti di caloroso affetto per i suoi allievi, e un desiderio genuino di instillare in loro ciò che egli stesso reputa dotato di valore. […]. L’insegnante, come l’artista, il filosofo e il letterato, può compiere la sua opera in modo adeguato soltanto se sente di essere un individuo diretto da un intimo impulso creativo, non dominato e inceppato da un autorità esterna» e, diremmo, da una burocrazia snervante che appressa la scuola e la rende qualcosa di vago, di vuoto, di spento.