Se non uccide fortifica, la nuova performance di Ruben Montini contro l’omolesbotransbifobia.

Su segnonline nasce “VIVO. Special Performance Art”: il nuovo spazio da un’idea e di Sibilla Panerai, storico e critico dell’arte – specialista in Performance Art, che ci accompagnerà lungo le ricerche storiche e attuali di uno dei linguaggi più affascinanti del panorama contemporaneo

Ruben Montini lavora da sempre col e sul suo corpo facendone spesso un vessillo politico, come nella sua ultima intensa performance Se non uccide fortifica, con cui ha inaugurato il 20 giugno il suo artist-run space “Confino” a Castelnuovo del Garda, in provincia di Verona, un luogo dedicato all’esposizione di artisti omosessuali che vivono o lavorano in Italia. Del resto l’artista aveva già creato con lo stesso intento “Space 4828” nella sua casa a Venezia nel 2011, in linea con le Houses of voguing, della tradizione Queer americana degli anni Ottanta. Montini concentra la sua riflessione sull’identità di genere e i diritti delle persone LGBT+, al centro anche della sua ultima performance, realizzata in collaborazione con Prometeo Gallery. Se non uccide fortifica, volutamente compiuta nel mese di giugno, storicamente legato al Gay Pride, si pone come assunto ideologico del nuovo spazio “Confino” e riprende idealmente Frocio, realizzata nel 2009 alla Galleria Contemporaneo di Venezia. In comune hanno la tecnica del tatuaggio, che l’artista ha compiuto sul suo corpo senza l’ausilio di persone specializzate, volutamente imprimendo sulla sua pelle a caratteri irregolari e indelebili, alcune parole che hanno segnato la sua esistenza. 

Se in Frocio l’appellativo denigratorio si fa marchio, in Se non uccide fortifica, sono i nomi femminilizzati dell’artista ad essere incisi, Nicoletta e Rubenitta, con cui Montini veniva bullizzato e preso in giro dai suoi compagni durante l’adolescenza. Eppure, nonostante il dolore e il trauma subito (e qui non possiamo fare a meno di ricordare il vile pestaggio avvenuto a Pescara durante il suo primo Pride, ai danni di un ragazzo intento a passeggiare mano nella mano con il suo fidanzato),  nelle due performance Montini arriva a integrare psicologicamente e fisicamente, attraverso l’inchiostro che cola al posto del sangue, senza perdere per questo il forte e intenso impatto visivo, l’ombra, scegliendo e così riabilitando quegli epiteti dispregiativi che, nell’intensità dell’atto performativo, vengono spogliati del loro potere denigratorio. Al pari del kintsugi giapponese, l’eloquenza della performance getta una luce inedita sulla consapevolezza e l’accettazione del vissuto biografico di Montini, nonché sulla necessità, più volte invocata a gran voce, di una legge nazionale contro l’omolesbotransbifobia, tuttora al centro del dibattito del ddl Zan in Parlamento e che ci auguriamo possa presto trovare piena approvazione.

Ruben Montini ha presentato Se non uccide fortifica sui social media ricevendo moltissimi commenti e condivisioni, prima che le immagini venissero censurate presumibilmente per la loro apparente violenza, dato che i tatuaggi sono stati realizzati con l’inchiostro rosso a richiamare il colore del sangue. 

Ruben Montini ha scritto: “Durante tutta l’adolescenza sono stato bullizzato perché effeminato. I miei due nomi Nicola e Ruben diventavano insulti nelle grida del branco che mi attaccava a scuola, all’uscita da scuola o ovunque mi incontrasse… loro in gruppo e io da solo … Così Nicola diventava Nicoletta e Ruben diventava Rubenitta. Questo mi faceva più male, forse perché non è la versione femminile di Ruben… ma è semplicemente una storpiatura femminilizzante del mio nome, cacofonica e dolorosa da sentire. Ancora oggi mi fa male, e mi fa malissimo ricordare quel nome e quel momento lunghissimo della mia vita. Se vedo un gruppetto di adolescenti e io sono da solo, cambio strada… perché il ricordo torna a quei momenti… in cui nessuno si accorgeva della mia sofferenza, ma io mi sentivo morire dentro ogni giorno… e non vedevo l’ora di tornare di corsa a casa e sentirmi protetto. Oggi, invece, sono un uomo e sono più coraggioso. Forse anche per aver vissuto quel periodo terribile… sono forte e sono orgoglioso di quello che sono. Ho deciso di tatuarmi per sempre questi nomi sulla pelle, sulle braccia, perché possa guardarli sempre. Li ho tatuati col rosso, perché è il colore del sangue e delle ferite. Queste sono ferite che fanno fatica a rimarginare. L’ho fatto per ricordare a me stesso che sono stato forte a superare quel periodo, sono diventato forte e spero di dare una speranza a tutti quelli che stanno attraversando l’incubo che ho attraversato io. Spero che, in questo mese del pride, il Governo Italiano faccia di tutto per criminalizzare l’omotransfobia. 

Scrivendo queste parole, mi rendo conto che sia un secondo coming out. Ammettere di essere stato bullizzato per anni per la propria effeminatezza e sessualità, mi crea un imbarazzo notevole. Ma è ora di dire le cose come stanno e alzare la testa. Non mi voglio vergognare ad ammettere di essere stato preso in giro per anni interi per la mia sessualità e il mio essere effeminato. Voglio che sia il branco che mi attaccava a vergognarsi. E voglio, pretendo, che il nostro Governo si sbrighi ad approvare una legge che punisca quelle persone di cui il mondo è ancora pieno. Con questa performance ho inaugurato ieri CONFINO, il mio spazio che si divide tra la mia casa, il mio studio e il mio giardino, per dare un’occasione a tutti quei giovani artisti gay coi quali condivido tanto. Grazie di cuore a tutti quelli che, tra mascherine e disinfettati, mi hanno accompagnato in questa avventura”.