Contemporary ecosystems: Roberto Ghezzi e Antonio Massarutto in una mostra che connette arte ed ecologia, nella Macedonia del Nord. Intervista a Davide Silvioli

Fino al 26 ottobre presso il Contemporary Art Museum di Skopje (MoCA) è visibile la mostra Contemporary Art Museum di Skopje (MoCA) l’esposizione “Contemporary ecosystems: a quest between art and ecology in North Macedonia” di Roberto Ghezzi e Antonio Massarutto. Per l’occasione abbiamo intervistato il curatore Davide Silvioli.

Lo scorso 8 ottobre ha inaugurato presso il Contemporary Art Museum di Skopje (MoCA) l’esposizione “Contemporary ecosystems: a quest between art and ecology in North Macedonia”, con opere inedite di Roberto Ghezzi e Antonio Massarutto, realizzate all’interno del Parco Nazionale macedone di Šhar-Planina. A cura di Bojana Janeva e Davide Silvioli, la mostra è il capitolo conclusivo del progetto “North Macedonia Project: Art as Nature”, promosso e sostenuto dall’Ambasciata d’Italia di Skopje, dal Ministero della Cultura della Macedonia del Nord, dal Ministero dell’Ambiente, dall’Istituto Italiano di Cultura di Belgrado e in collaborazione con l’Università di Tetovo e la Macedonian Ecological Society.

Valeria De Sierio: Già il titolo della mostra rileva due concetti chiave dell’intero progetto, nonché del percorso espositivo: ecosystems ed ecology; quali sono gli ecosistemi in questione e in che termini si può parlare di ecologia?

Davide Silvioli: Roberto Ghezzi e Antonio Massarutto praticano una visione che riconosce nell’ambiente naturale il luogo preposto alla primogenitura dell’opera, al punto da qualificarsi come parte integrante dell’estetica di ciascuno. Pur secondo modi differenti, i due artisti professano una considerazione condivisa della natura quale fonte del rispettivo lavoro. Pertanto, oltre a evincere come il Parco Nazionale di Šar-planina – sorgente creativa dei lavori realizzati dai due artisti per la mostra – abbia indubbiamente identificato, per ambedue, uno scenario unico e quantomai costruttivo per testare le loro prassi, è logico comprendere come l’intero progetto parta dal loro confronto con le peculiarità del sito geografico in questione; quindi con le forze che ne alimentano gli ecosistemi e i rispettivi ritmi. Dunque, gli ecosistemi chiamati in causa sono da riferirsi direttamente a quelli che, tanto vegetali quanto animali, connotano proprio il Parco Nazionale dove gli artisti, durante il periodo di doppia residenza svolto nei mesi di aprile e ottobre di questo anno, hanno eseguito le opere in esposizione. In controluce, gli esiti della ricerca sia di Ghezzi che di quella di Massarutto, d’altro canto, sono ascrivibili alla categoria disciplinare dell’ecologia, poiché le loro realizzazioni, oltre a possedere una dimensione evidentemente estetica, sono foriere di una qualità scientifica supplementare. Le loro opere, difatti, ora per i materiali e ora per i processi, rappresentano indirettamente un bacino di dati – di ordine geologico, botanico, entomologico, etc. – relativi a un preciso ecosistema in un determinato segmento cronologico, conservando proprietà dell’ambiente che le ha generate.

VDS: Attraverso dei materiali lignei prelevati dal Parco Nazionale di Šhar-Planina, Massarutto realizza sculture le cui forme possono ricevere più interpretazioni, rievocando animali, strutture primordiali, o ancora delle forme puramente astratte. Come opera l’artista nella composizione di tali sculture?

DS: La pratica di Massarutto, nel suo approccio iniziale, asseconda principalmente gli andamenti empirici del proprio sentire, lasciandosi guidare dall’intuizione, sollecitata liberamente dalle caratteristiche delle materie intercettate nel paesaggio, le quali a loro volta mantengono gli effetti dell’habitat che ne hanno condizionato lo sviluppo. Perciò, nella sua ricerca, il contesto naturale si declina come fonte di materia e di spunti formali. Parti recuperate di legno, dissimili per forma e tipologia, diventano i dispositivi tecnici mediante cui l’artista attribuisce corpo alle sue opere. I lavori eseguiti in questa circostanza, così, si caratterizzano di un’identità formale interdetta fra elemento naturale, elemento zoomorfo, antropomorfo e artificio architettonico. Le loro forme, che si inseriscono armoniosamente nello scenario naturale, paiono essere in bilico fra l’autenticità della materia viva impiegata, la categoria del verosimile che connota le sembianze finali conseguite e il senso del simulato che è implicito in interventi della fattispecie.

VDS: Nel testo critico che argomenta le opere, nel merito delle Naturografie di Ghezzi, è riportato che la natura si manifesta come un ecosistema vivo e che il tempo, in questa tipologia di lavori, assume un valore costitutivo. Ci parli di questi due aspetti?

DS: Nelle Naturografie, l’habitat naturale concorre attivamente alla genesi dell’opera al pari del suo autore, il quale non detiene totalmente il controllo della sua creazione. Esse rappresentano la conclusione dell’esercizio dei cicli naturali sui supporti posizionati da Ghezzi all’interno del Parco, in siti specifici. Le sue superfici, dovutamente a questo processo, divengono espressione non mediata del paesaggio circostante stesso, grazie alle forze della natura e dei suoi enti che, nello svolgimento del loro divenire incessante, entrano in simbiosi con le tele fino a innervarne la fibra, sortendo apparati visivi dalla pigmentazione vibrante e pervasiva, dove le tinte calde della terra e della vegetazione si precisano in texture dalla parvenza organica che mantengono, pur alterandola, la qualità delle materie di provenienza. Pertanto, il tempo, nella sua veste di tempo tanto cronologico quanto meteorologico, identifica in questa dinamica il mezzo attraverso cui l’impermanenza della natura determina l’entità finale di questa serie di lavori.

VDS: Dove si collocano e che valore assumono le ricerche dei due artisti nel contesto storico artistico contemporaneo e, più in generale, in quello del dibattito pubblico circa le problematicità ambientali del presente?

DS: Nel lavoro tanto di Ghezzi quanto in quello di Massarutto si rileva parità fra le ragioni dell’arte e quelle della natura. Le proprietà naturali rappresentano gli strumenti a cui i due artisti ricorrono per sostanziare e per conferire forma a un’investigazione che non si limita alla mera trasposizione di un oggetto d’indagine da un settore a un altro – quindi dall’ecologia all’arte o viceversa – ma che arriva a tradurre una sensibilità così complessa che la sola ecologia o la sola arte, singolarmente, non riuscirebbero a fare. Stando a tali accenti stilistici e operativi, Roberto Ghezzi e Antonio Massarutto rientrano, a ragione, fra le fila di quegli artisti impegnati a elaborare un linguaggio in cui il recupero della materia, la sensibilità verso l’universo organico, il tempo, la metamorfosi e la delega parziale della definizione dell’opera a fattori terzi sembrano essere i termini maggioritari di un alfabeto che esprime un’estetica opposta a quella professata da tanta contemporaneità, vanamente assuefatta dalla cultura imperante dell’inflazione tecnologica, del sovraesposto, del didascalico, dell’ipertrofia digitale, dell’iper-visibile.

VDS: La mostra è la parte conclusiva dell’iniziativa “North Macedonia Project: Art as Nature”; quali sono stati gli aspetti più rilevanti di questo progetto artistico?

DS: Di grande rilievo è il fatto che, grazie alla collaborazione tra un’istituzione museale, centri scientifici, facoltà umanistiche ed enti impegnati a favore dell’ambiente, l’intero progetto è il risultato del concorso di una pluralità di competenze, giungendo a testare la tenuta del rapporto fra la ricerca nel campo delle arti visive e quella in altri ambiti disciplinari. Oggi, sentiamo parlare sempre più spesso di “arte e tecnologia”, “arte e natura”, “arte e scienza”, “arte e psicologia” e così via. Se, da un lato, tale fenomeno attesta la condizione di non autosufficienza della ricerca artistica corrente, tuttavia tipica di ogni periodo di trasformazione come quello presente, lo stesso fotografa, dall’altro lato, la capillarità crescente con cui la sperimentazione artistica si stia avvalendo di nozioni appannaggio di altre aree dello scibile, stabilendo permeabilità fra le cosiddette ricerche di base di settori disparati ma, ciò nonostante, senza abdicare alla propria natura di ordine estetico. Infine, l’iniziativa termina nello sfatare il falso mito che vuole la contemporaneità artistica incapace di confrontarsi con le urgenze di carattere sociale e storico, sottoposte dall’attualità.