Corrado Gugliotta accanto a un disegno di Guglielmo Manenti

Arte e politica: Corrado Gugliotta

In un suo libro recentemente ristampato, Artecrazia. Macchine espositive e governo dei pubblici (DeriveApprodi, 2021, euro 20), Marco Scotini rileva come “l’esponenziale proliferazione di esposizioni di arte contemporanea e biennali dedicate alle tematiche ecologiche, di gender e, adesso, questioni di razza, in modo da mostrare un’emancipazione progressista, dovrebbe essere intesa in termini di un processo di pacificazione (anti-conflittuale) e artwashing che tende solo a ristabilire l’arte come un sistema autocratico di capitale, funzionale alla riproduzione di gerarchie sociali e al mantenimento dell’ordine”; l’arte contemporanea, anzi la sua presentazione in realtà sistemiche, non sarebbe insomma solo il riflesso del reale, ma un modo per rendere accettabile la ingiusta divisione dei beni e dei ruoli che lo contraddistingue. Stando così le cose, realizzare mostre pubbliche equivarrebbe a correre sul filo del rasoio. Fortunatamente Scotini, in vitale contraddizione con sé stesso, continua a lavorare. E lo stesso vale per Corrado Gugliotta, gallerista impegnato se mai ve ne fu uno, che ha fatto della sua impresa – la galleria Laveronica di Modica, dove appunto è in corso una rassegna curata da Scotini – un punto di riferimento imprescindibile per chi intenda affrontare il binomio arte-politica nella sua articolazione di pratiche artistiche, documentaristiche e di militanza attiva.

“Non mi occupo di politica è come dire che non mi occupo della vita”. Questa citazione di Renard campeggia sulla pagina di apertura del tuo sito. Occuparsi di politica vuol dire limitarsi a presentarla nello spazio protetto dell’arte oppure farla in pratica, sebbene in modo indiretto e riflesso?

Molto interessante. Quando parli di spazio protetto intendi che nell’arte si possa fare qualsiasi cosa. In realtà se abbandoni questo spazio e ti addentri in una dimensione quotidiana, la libertà diventa relativa. Vengo da un’esperienza di giovanile militanza e ancora oggi frequento ambienti “antagonisti”. Non posso dedicare a certi incontri il tempo che vorrei, ma cerco sempre di dare il mio contributo culturale.

La mostra in corso nel tuo spazio, L’Archivio Insorgente, a cura di Marco Scotini, è dedicata al G8 di Genova, coi suoi fatti efferati. 

Nata in occasione dell’anniversario dei venti anni dal G8 di Genova, la mostra intende aprire il 2022 non con una semplice commemorazione del passato, ma con un appello a un presente che vede l’alternativa – ogni alternativa all’impero capitalista – come un fallimento. 

La violenza è endemica.

È vero. Ma i fatti di Genova del 2001 hanno rappresentato uno spartiacque storico-sociale fondamentale, con cui è impossibile evitare il confronto.

E che mi dici della violenza perpetrata dal sistema sugli artisti? Il mondo dell’arte non è forse lo specchio del contesto sociale? 

Alla lotta non si sfugge. È un aspetto del capitalismo con cui dobbiamo convivere. L’ambiente in cui lavoriamo è uno dei più competitivi: bisogna stare al passo. E tuttavia una strada potrebbe essere stabilire con gli artisti rapporti duraturi, non legati all’immediato. Per quanto mi è possibile, ci provo.

Per quanto riguarda invece il pubblico, il tuo approccio è da sempre mirato ad attivare processi di partecipazione e coscienza collettiva. 

Faccio quello che posso. L’ultima mostra, ad esempio, prevede il coinvolgimento diretto delle scuole, chiamate a confrontarsi con filmati e documenti di prima mano.

Alcune tue mostre, come Artists Against Mous [il MUOS è un sistema di comunicazioni satellitari militari ad alta frequenza e a banda stretta, gestito dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, con quattro stazioni di terra, una delle quali si trova a Niscemi, in Sicilia; la supposta pericolosità delle onde elettromagnetiche prodotte dall’istallazione e la sua natura stessa di strumento al servizio di possibili guerre hanno determinato vibranti proteste di artisti, uomini di cultura e comuni cittadini, N.d.R.] sono state davvero memorabili.

Quella è una mostra cui anch’io sono molto legato. Di solito i miei autori affrontano tematiche che riguardano le parti del mondo più disparate, dall’estremo Oriente all’Amazzonia. In quel caso si trattava, al contrario, di raccontare un’esperienza di vita e di lotta nata in Sicilia, a due passi da casa. Concentrarsi su luoghi lontani di solito non suscita reazioni particolari; quando, però, per riallacciarmi alla prima delle tue domande, si esce dallo spazio protetto dell’arte e ci si affaccia sul proprio territorio, è tutta un’altra storia.

Viene la Digos…

Esatto. Ti rendi conto che ciò che produci non ha solo un valore catartico ma un’influenza reale su chi ti sta vicino.

Anche la performance di Adrian Paci dell’anno scorso la aveva.

Ti è piaciuta?

Credo sia stata una delle manifestazioni più toccanti dell’era Covid. 

Ogni anno a Pasqua, a mezzogiorno in punto, a Modica si compie la “vasata”: le statue del Cristo Risorto e della Madonna vestita a lutto – dopo un percorso lungo le strade cittadine – si incontrano in Piazza Monumento. Qui Maria, alla vista del Figlio, abbandona il manto nero e allarga le braccia per dare un bacio (la “vasata”) al Cristo, che ricambia. L’anno scorso la processione non poteva tenersi alla presenza del pubblico, ma, documentata da Adrian, si è svolta lo stesso nottetempo, nel silenzio impalpabile della città vuota…

… consentendoci, virtualmente, di prendervi parte. Purtroppo il virtuale con le fiere d’arte funziona poco e niente; negli ultimi due anni le principali rassegne hanno subìto un duro colpo.

La crisi delle fiere ha radici profonde. Non da ora sono diventate collettori di ambiti diversi: simili a mostre senza esserlo realmente. Il Covid, ovviamente, ha fatto il resto. E tuttavia rimangono fondamentali. Specie per chi come me è condizionato dalla marginalità geografica e dalla presenza di un collezionismo locale poco sviluppato. 

Progetti come Italics, cui la tua galleria partecipa, offrono alternative convincenti?

Quando c’è un momento di crisi la comunità si rivolge a sé stessa. Perciò ci siamo incontrati tra galleristi cercando di capire come produrre qualcosa di nuovo che potesse aiutarci a reagire. Speriamo che, finita l’emergenza, Italics diventi anche qualcos’altro. Secondo me l’idea di fare rete prescindendo dalle fiere va perseguita senza esitazioni.

Sia come sia, con la tua galleria Modica è diventata – lo leggevo ieri l’altro su Artsy, in un pezzo non aggiornato, quindi non pubblicitario – uno dei luoghi chiave del contemporaneo. Progetti per il futuro?

Quest’anno facciamo Art Basel, Statements, con opere di Daniela Ortiz. Sarà un momento davvero importante. Seguirà una mostra di Alejandra Hernandez, pittrice colombiana cui teniamo molto.