Si è appena conclusa la mostra personale There are more things di Roberto Casti a cura di Ilaria Leonetti, negli spazi di Sottofondo Studio, ad Arezzo.
La mostra è la sesta del programma Lo studio ospita, che, a partire da maggio 2021, ha accolto le mostre personali: In Nessun Luogo di Bernardo Tirabosco a cura di Elena Castigla, Mamma me lo compri? di Lorenzo Ermini, Da solo di Jacopo Naccarato a cura di Elena Castiglia, Sogni sognati troppo a lungo di Giulia Cacciuttolo a cura di Federica Fiumelli e 0;0 di Alice Paltrinieri a cura di Davide Silvioli.
Il progetto nasce da un’idea dei tre giovani aretini Elena Castiglia, Jacopo Naccarato e Bernardo Tirabosco, dove quest’ultimo mette a disposizione il suo studio, ospitando ogni volta proposte di artisti e curatori con lo scopo di attivare un dialogo tra ricerche artistiche sperimentali con la situazione culturale di Arezzo, città con un forte legame con l’antico poco aperta alle proposte del contemporaneo. Così, in via Garibaldi 136, lo studio dell’artista, un ampio spazio dalle pareti bianche ed i soffitti alti, concede libertà creativa ed installativa ad ogni artista.
Roberto Casti accoglie i fruitori con l’opera The outsider (Momento cinque), un’installazione sonora che fa da ‘sottofondo’ a due pannelli che introducono il tema della mostra, ovvero, l’annullamento dei confini, l’apertura verso l’esterno e quindi verso il prossimo. L’opera racconta il lockdown, un periodo di riflessione per tutti soprattutto sul senso di isolamento ma riflessione anche sull’idea di collettività, attraverso una finestra sull’esterno della casa in cui l’artista ha trascorso la quarantena, ma anche verso l’interno dell’opera nella quale lo spettatore può riflettersi.
Il concetto di interno/esterno è indagato in senso site-specific con l’opera Suggestion (Stain), in cui Casti evidenzia le macchie del pavimento e del muro, dovute alla risalita dell’umidità e alla formazione di muffe. Questi segni rappresentano normalmente degli elementi di disturbo in uno spazio chiuso, che tendiamo a nascondere, eliminare, mentre qui l’artista vuole dargli senso estetico, attraverso un pigmento verde, colore che accompagna da sempre la sua pratica.
Lo scarto, il detrito, ciò che resta del passare del tempo, viene raccolto in una teca di plexiglas che riprende il perimetro dello spazio espositivo, in scala ridotta. È l’opera Noi siamo qui (Sottofondo), dove la dimensione spaziale incontra quella temporale, dove tutto quello che si accumula negli angoli della galleria, viene raccolto ed inserito nel modellino del luogo in cui è stato raccolto, un rimando ai sedimenti del tempo trascorso ma anche uno sguardo verso ciò che sarà.