Joachim Schmid
Joachim Schmid, Il Mare, 2018, 30 stampe ad inchiostro pigmentato, cm.18x24 cad., detail, Courtesy l’artista & P420, Bologna, © photo Carlo Favero

P420 ospita Photoworks e il significato della fotografia secondo Joachim Schmid

La galleria bolognese P420 presenta la seconda personale dell’artista tedesco Joachim Schmid, in scena sino a marzo, centrando il focus sul concetto di ‘fotografia degli altri’ portata avanti negli anni da Schmid

‘Penso che non ci siano immagini significative. I significati vengono creati al di fuori dell’immagine.’

Joachim Schmid

Leggere queste parole e poi visitare la mostra Photoworks di Joachim Schmid, ospitata dalla galleria P420 è un ottimo suggerimento, ma non solo.

Quelle parole appartengono a Joachim Schmid e, in un certo qual modo, potrebbero sancire il suo motto, il quid della sua intera ricerca. L’artista tedesco anche saggista, editore e critico di fotografia,  giunge alla produzione di lavori ‘personali’ seguendo il solco della filosofia più che quello della fotografia pura. Ovvero, è Schmid stesso a definirsi un ‘non-fotografo’, allorquando, già diversi anni fa, con lucidità spiazzante e la giusta ironica volontà di stravolgere le regole fissate dalla teoria, asseriva: ‘Nessuna nuova fotografia finché le vecchie non siano state utilizzate’ dichiarazione del 1989.

È piuttosto semplice comprendere quanto vi fosse, già all’epoca, nella sua visione, un avanzamento su quel che sarebbe accaduto in futuro; nel 1989, la Fotografia, quale linguaggio mediatico, necessitava ancora di affermarsi definitivamente come grammatica puramente artistica senza dover essere legata, giocoforza, alla realtà documentale e reportagista ed in grado, pertanto, di relativizzare la propria identità come luogo della epifania autoriale, ontologicamente pura e capace di sostenersi senza altre impalcature di sorta. Opere ed autori, teorie e pratiche susseguitesi nei luoghi dell’arte hanno assurto la Fotografia ad un ruolo attoriale principe, conquistato con molta fatica.

Joachim Schmid, Statics (invitation cards for art exhibitions), 1996, fotografie e stampe strappate, montate su tavola d’archivio, Courtesy l’artista & P420, Bologna, © photo Carlo Favero

Poi, però, qualcosa accade: un frammento – come un fotogramma che spariglia un’intera costruzione visiva –  rompe l’equilibrio già noto, scardinando le certezze; addentrandosi nelle grandi sale della P420, dove Photoworks si dipana come pagine di un archivio ideale ed immaginifico, si avrà la sensazione di dover scendere dallo scranno  delle certezze e rivedere ogni nostra verità. Dalla nostra parte, tuttavia, v’è una bussola o forse una lente adatta a guidare l’osservazione: siamo nel 2021 e talune dinamiche che hanno attraversato – e mutato – l’identità di traduzione e condivisione delle immagini ci appare non più troppo sconvolgente. Ecco, è questo il momento in cui toglierci dal volto il sorrisetto di chi ne sa e spogliarci di ogni qualsivoglia preconcetto e lasciarci guidare dalla strategia scelta, nei diversi progetti, da Joachim Schmid.

Il flusso narrativo cui Egli dà origine, avanza e procede come su un diarchico percorso le cui due parti sono in bilico, continuamente, spingendo verso la comparazione, verso la volontà di credere a tutto ciò che non sfugge alla nostra retina ma che, tuttavia, mette in allarme i sensi e l’istinto. Qualcosa non quadra: la bellezza, la poesia, la raffinatezza formale, il rigore compositivo e la sofisticata, quasi maniacale, attenzione teorica che l’artista mostra nei diversi lavori esposti, in modo inspiegabile, generano una perturbante scissione da ciò che dovrebbero raccontare. Possiamo affermare che le immagini siano false? Assolutamente no. L’intransigenza tecnica di registrazione del dato oggettivo impresso mediante l’immagine è reale. È ciò che esso svela oltre la superficie ad aprire una sorta di Vaso di Pandora dell’interpretazione.

Joachim Schmid, The Artist’s Model, 2016, 8 stampe ad inchiostro pigmentato, cm.40×26,5 cad, ed.3+1AP(1/3), Courtesy l’artista & P420, Bologna, ©  photo Carlo Favero

In tal maniera, Joachim Schmid  e la P420  hanno originato un percorso intellettivo di continui scompaginamenti, dai quali farsi irretire, con la fiducia che solo l’arte può ispirare, cui seguirà la certezza di uscire dalla galleria avendo compreso molte più cose di quanto si potesse immaginare… per immagini.  In cosa consiste, dunque, la frattura posta in atto da Joachim Schmid? Nel chiarire che il valore autoriale non risiede nella creazione di nuove immagini, poiché il mondo è invaso da un numero pressoché infinito di fotografie, tangibili e digitali: Flick Collection (2017) è esemplare. Schmid sceglie di creare una serie di opere inedite di grandi autori, innescando un gioco alquanto pericoloso: quegli scatti sono di anonimi e ritrovati online, attinenti, però, per stile formale ed estetico ai maestri da lui citati. Un esercizio critico ma anche una provocazione di profonda valenza giocata nell’alveo della somiglianza e della plausibilità della menzogna.  

Joachim Schmid, Meetings, 2003-2007, 12 stampe ad inchiostro pigmentato, cm.30×40 cad., foglio cm.40×50 cad. ed.3+1AP (3/3) detail,  Courtesy l’artista & P420, Bologna, ©  photo Carlo Favero

I lavori  presenti in  mostra, tuttavia, si differenziano per varie affezioni teoriche che si legano alla lectio di Joachim Schmid: da Il mare, realizzato nel 2019, concernete un dialogo – mai del tutto cristallino – tra le pagine e gli stralci di un libro posseduto dall’artista e scatti con dettagli della superficie marina: una sorta di nuova ed inusitata impaginazione, declinata in scala di grigi, in cui il ritmo sincopato delle onde genera un motus intellettuale con la lettura del libro citato per immagini. Si continua poi con The Artist’s Model del 2016, con la serie Statics, realizzata tra il 1995 ed il 2003 e filiazione di una destruttuzione di materiale tale da gemmare nuovo oggetto con propria identità. Si avanza ancora con l’ironia di Meetingsapoteosi dell’ironia della perfezione – e con Zur Theorie der Fotografie, del 1986, ovvero una raccolta ossimorica di vecchie fotografie raccattate in mercatini delle pulci: esse, però, non sono l’archivio antropologico che potremmo aspettarci; Schmid, invero, non mostra l’immagine, bensì il retro delle fotografie\cartoline, evidenziando i messaggi, le frasi che costellano tali oggetti, spingendo a mostrare la parte più intima e privata di una storia che possiamo solo immaginare.

Un percorso ontologico simile per affinità elettiva è quello che riveste la seconda grande sala della P420: Bilder von der Straße, un lavoro immenso, sviluppato tra il 1982 ed il 2012, una epitome geo-fotografica di scatti – di qualsiasi formato e supporto – trovati come oggetti perduti, gettati, abbandonati, distrutti, in giro per il mondo. Schimd li ha raccolti, ricostruiti, catalogati, assemblati come forse avrebbe fatto Aby Warburg, e offerto loro nuova vita, un percorso inusitato le cui storie sono tutte da costruire e, all’astante, è offerta la possibilità di ricostruzione personale, avendo a disposizione delle coordinate spazio temporali cui affidarsi. Questo lavoro, più d’altri, attinge a piene mani alla teoria della fotografia già ideata, scattata, stampata da altri. Una sorta di ready made a cui si affida la visione ex post di Joachim Schmid in grado, poi, di offrire altri infiniti sviluppi interpretativi. Caos e Caso si incontrano, dialogano, secondo una sequenza narrativa che si dipana lungo le pareti della P420 come fossero fotogrammi di una pellicola o files di un hard disk. Bilder von der Straße è anche, però, un omaggio alla materia analogica, al tempo, alla storia dell’uomo e una specie di reliquiario di momenti significativi per qualcuno a noi ignoto e di cui ci resta, hic et nunc, una traccia, un indizio di vita, di sopravvivenza priva di filtri.

Dunque, è forse vero che il sogno e la fotografia sono l’ultima traccia che si ha di qualcosa, immersi nell’abisso di un oblio cui poter offrire nuova inusitata vita? ‘Tutto quello che so di loro è il luogo e la data del ritrovamento, il resto è immaginazione’ afferma Schmid a proposito delle fotografie di Bilder von der Straße, il resto è compito per noialtri.

Joachim Schmid
Photoworks
Bologna, P420
http://www.p420.it/
26 gennaio – 10 aprile 2021 10.30 – 13.30 / 15.00 – 19.30

Azzurra Immediato

Azzurra Immediato, storica dell’arte, curatrice e critica, riveste il ruolo di Senior Art Curator per Arteprima Progetti. Collabora già con riviste quali ArtsLife, Photolux Magazine, Il Denaro, Ottica Contemporanea, Rivista Segno, ed alcuni quotidiani. Incentra la propria ricerca su progetti artistici multidisciplinari, con una particolare attenzione alla fotografia, alla videoarte ed alle arti performative, oltre alla pittura e alla scultura, è, inoltre, tra primi i firmatari del Manifesto Art Thinking, assegnando alla cultura ruolo fondamentale. Dal 2018 collabora con il Photolux Festival e, inoltre, nel 2020 ha intrapreso una collaborazione con lo Studio Jaumann, unendo il mondo dell’Arte con quello della Giurisprudenza e della Intellectual Property.