Oliver Ressler
“When the Levee Breaks” (mirror) New model Army (stand-in activists) (mannequin) “Drillbit” (Print 1) “Absorb and Bind” (Print 2)

Oliver Ressler – Barricading the Ice Sheets

Qual è l’utilità di un confine, di una barriera, sia essa economica, sociale o fisica tra due nazioni?
Sarebbe possibile usare la stessa attenzione nel costruirne altre, altrettanto invalicabili, in grado di frenare il disastro climatico che il progressivo scioglimento dei ghiacci annuncia da oramai più di trent’anni?

Se frenare artificialmente lo scioglimento dei ghiacci è fisicamente impossibile, quello su cui le lotte per la giustizia climatica (e quindi, per definizione, sociale) si apprestano a fare conserva lo stesso valore in altri termini : il disperato e rabbioso tentativo di frenare uno scioglimento dei valori umanitari, per i quali la conservazione della vita di tutte e tutti sul pianeta è condannata bruciare, aumentando nei decenni di grado in grado in nome della salvaguardia ed il mantenimento di uno status economico (e quindi, per definizione, di potere) ben preciso, a vantaggio di pochi ed a spese dei molti che non hanno mai avuto una voce.

“Barricading the Ice Sheets” è l’utopica provocazione con cui Oliver Ressler intitola quella che sarà la raccolta di vent’anni del suo complesso e variegato percorso tra Arte ed attivismo, da sempre incentrato nella lotta alla crisi climatica ed all’attenzione verso tutte le forme di resistenza sociale. Sarà contenuto in 59 opere tra video, sculture, documentari, dipinti, disegni ed installazioni presentate nel Zagreb’s Museum of Contemporary Art, dal 30 Novembre 2021 al 6 febbraio 2022.

Oliver Ressler riporta dati, documenti, testimonianze lasciando sorgere domande atte a sradicare l’idea della neutralità degli operatori della cultura rispetto alle tematiche politiche ed economiche. 

Laddove la censura dei media opera implacabile nelle forme di comunicazione di massa, può l’Arte offrire un territorio di libertà? Possono gli artisti operare nel più disobbediente dei linguaggi, per sua definizione indefinito ed indefinibile, parlandoci delle cifre numeriche e delle crude dinamiche delle realtà contemporanea, invitandoci alla reazione?

“Anubumin”, uno dei film presenti nell’esposizione ed usufruibile gratuitamente online, ci offre degli spunti di riflessione in merito.

Il documentario è ambientato nell’isola australiana di Nauru, popolata da appena 10.000 persone.

Il titolo è una parola Indigena per raccontare la notte che, in questo caso, assume una connotazione descrittiva attorno al vuoto ed all’oscurità che circonda l’isola, la quale, oltre ad essere stata nei primi anni del ‘900 un territorio di sfruttamento coloniale a causa delle ingenti quantità di calcite di fosfato contenuto in esso e ben noto nei più recenti anni ’90 come uno dei principali luoghi adibiti al riciclaggio di denaro del continente, ospita attualmente uno dei campi di prigionia più duri ed inospitali al mondo destinato a migranti e rifugiati politici.

Rispetto alle reazioni delle popolazione riguardo l’inumana situazione in cui verte il campo, il governo australiano ha severamente limitato le uscite e le entrate nell’isola.

Sono proibiti i telefoni cellulari, macchine fotografiche, videocamere.

Agli operatori ed operatrici sanitarie che si trovano a lavorare nel campo è richiesto di firmare un contratto di non divulgazione delle eventuali informazioni acquisite.

Il lavoro è pertanto una raccolta di testimonianze audio-visive rubate e raccolte anonimamente, scandito dai racconti da testimoni dissidenti in reazione al silenzio funereo che sembra circondare l’isola.

Assenza di servizi igienico sanitari basilari, bambini che non conoscono altra realtà perché nati e cresciuti in prigionia, donne stuprate, uomini picchiati : frasi che arrivano a noi come una sorta di nenia ridondante per la nostra infinitesima percentuale di enorme privilegio Europeo, una serie immagini crude e dolorose che sentiamo come distanti, sfocate, impalpabili, nell’iper velocità delle informazioni nelle quali siamo immersi ogni giorno, prende concretezza uno dei luoghi fisici per eccellenza in cui solitamente la realtà terrena pare interrompersi : un museo.

Viviamo nella costante possibilità di reperire dati, anche laddove non vorremmo, la realtà scompare nell’immagine di sé stessa in una costante corsa al sensazionalismo.

L’abbassarsi della soglia dell’intensità percepita conduce inevitabilmente all’anestesia sociale.

L’Arte può, forse  tra le altre sue innumerevoli strade, possedere forse questa sorta di utopica intenzione in questo secolo crudele : l’idea della restituzione della realtà comune sottratta.

Ed Oliver Ressler ci aiuta a percorrerla.