Nicola Samorì. Sfregi

Nicola Samorì. Sfregi

In una Bologna ancora in Zona Rossa ha aperto, in anteprima per la stampa, la mostra Sfregi, di Nicola Samorì, con la curatela di Alberto Zanchetta e Chiara Stefani; progetto site specific ideato come dialogo originale per le sale di Palazzo Fava, ovvero il Palazzo delle Esposizioni di Genus Bononiae.

La Storia dell’Arte come ‘foro nel tempo’ e nello spazio, in cui seminare un caos maieutico in grado di ‘mescolare le carte’ ove quella sorta di competizione tra passato e presente, tra grandi maestri e linguaggio contemporaneo non avvenga secondo i prodromi di una battaglia dettata dalla necessità di eguagliarsi nella tensione verso la perfezione o l’ideale, quanto, piuttosto, evolvendo in occasione unica di ‘seminare l’equivoco’,  dialogare con lo spazio preesistente e ‘reagire ad esso’. In tali punti nodali si dipana quella che Nicola Samorì ha definito il suo ‘lavoro di regia’ per la personale Sfregi, aperta oggi in anteprima per la stampa ed ancora, ahinoi, chiusa al pubblico, nelle splendide sale del bolognese Palazzo Fava.

Nel n.280 di Rivista Segno avevamo avuto modo di anticiparvi questa personale che vede Samorì fare ritorno a Bologna dopo gli anni accademici e sfidare, in un certo qual modo, le testimonianze che contraddistinguono il piano nobile di Palazzo Fava, sino al prossimo 25 luglio. Un dialogo senza dubbio stupente, curato da Alberto Zanchetta e Chiara Stefani e che, come ha affermato l’artista, lo ha posto nel ruolo di ‘regista’ sia nella raccolta storica delle testimonianze di antichi fasti già presenti nei decori delle sale, sia nella necessità di generare un nuovo codex dialogico tra il proprio corpus di opere – circa 80, ovvero quelle ritenute più significative della sua intera ricerca – e lo spazio espositivo ed anche quello di scrivere, attraverso un allestimento dedicato, una nuova geografia narrativa che, sala dopo sala, senza preciso rigore, potesse svolgere la funzione filosofica di un labirinto, come asserito anche da Zanchetta.

‘Una conversazione tra artisti e secoli che si attua secondo un volontario ricorso al paradosso, alla straniante sensazione che si prova sin dal titolo dell’esposizione: Sfregi. Lemma da intendersi come azione di stravolgimento, turbamento e rebus intellettuale portato avanti da Nicola Samorì che cela, infine, un potere misterico e salvifico’ avevo già anticipato lo scorso mese e, stamani, la sensazione si è acuita. Muovendosi tra le sale, una continua eco accompagna il nostro sguardo ed i nostri passi, dando vita ad una lettura dai tratti perturbati dalla fusione tra desiderio, volontà e urgenza di ‘indagare in maniera estrema e profonda quell’indissolubile, eppure talvolta inafferrabile, affezione capace di trasformarsi in vera affinità ex post.’  Nicola Samorì racconta di come il percorso obbligato, in realtà, sveli una sequenza di corto circuiti non soltanto visivi ma anche ontologici, che promettono all’astante di non cadere nella trappola dell’incomprensione, quanto, piuttosto, di spingerlo a sempre nuovi quesiti. Ciò che un normale percorso espositivo tradurrebbe in una progressione sequenziale, è qui traslata in vicoli ciechi, ritorni e nuove prospettive. D’un tratto, il piano nobile di Palazzo Fava, per immaginifica trasmutazione, pare fungere da allegoria della ventennale carriera e ricerca dell’artista forlivese.

I curatori, d’altronde, hanno definito Sfregi come un ‘attraversamento logico’ più che una ‘antologica’ o ‘retrospettiva’ di cui, Alberto Zanchetta ha sottolineato la valenza di ‘affinità (s)elettive’ nel profondo dialogo operato da Samorì, ove iconografia e con_fusione spingono Sfregi a richiamare pretesti meta pittorici, cronologici e ‘cronici’ che gradualmente avvolgono l’incedere tematico svolto dall’artista: l’accecamento dell’immagine, l’aggregazione di materiali di risulta, la pittura su pietra, il disegno e la scultura. Il colloquio tra dimensione privata, interiore e dimensione nota e tangibile, sia della produzione di Nicola Samorì che nel raffronto con i Carracci, l’Albani e Canova lascia intuire un continuo rincorrersi pacato – ulteriore ossimoro – di conflitti ex ante ed ex post, relazioni tra simulacri e tentativi di raggiungere un equilibrio.

Nicola Samorì, dunque, agisce per stratificazione che, spesso, si fa strappo, quasi fosse catartica agonia antecedente una inusitata armonia, in grado poi di sfuggire all’oblio che, offrendo all’artista il ruolo di artifex, genera nuove icone. È in tal maniera che il colloquio con il passato, con l’epoca moderna, si arricchisce di una linfa che ha a che fare con i moti inconsci del genius, con lo sconquasso della creazione che è furore e poi si fa materia. Materia plurima, con cui Samorì si interfaccia, sperimenta, lasciando traccia della propria esperienza derivante da una lunga gestazione il cui legame appare vivido sulla superficie delle opere, che vibra di intensità propria, raccontando sia la forza della frammentazione quanto l’energia ancestrale svelata dalla coralità plastica dell’impasto cromatico, sempre tendente all’ombra, quella stessa nella quale lo sguardo – metaforico e reale – riesce a scorgere la luce, di verità e identità.

Si avanza tra le grandi sale del piano nobile che accolgono gli astanti con lavori di grandi dimensioni per tendere poi, raggiunto il piano superiore, ad una sorta di intima presentazione di opere, alla presenza ancora una volta dei Carracci e dove il focus si stringe sia sul soggetto metareale della mise en scène, ovvero, lo sguardo dei soggetti – trattato secondo un idioma di opposizione e analogia – e che invita l’osservatore, appunto, a seguire quella volontaria e profonda ‘devozione’ che Samorì dedica alla materia. Ogni opera, difatti, sancisce la liaison tra formalizzazione e lavorazione dei materiali – pittorici, grafici e scultorei – conviventi in quella che Egli definisce una ‘cannibalizzazione’ traelementi plurimi, filiazione di una radicata alchimia che trova nel nostro tempo un incontro con la natura e le sue imperfezioni, rimando esistenziale alla vita umana.

Sfregi è commistione di pars costruens e pars destruens, limbica dimensione sospesa nella regione della Storia dell’Arte, Samorì si relaziona con Canova e non solo, ma dove anche ritratti di donne cieche di Annibale Carracci silentemente si rapportano ad un trasfigurato ritratto mussoliniano, accecato sulla tela per derisione e afferente alle Collezioni della Fondazione Carisbo; Sfregi, tuttavia, è anche quel labirintico intrico nel quale appare ‘normale’ che gli affreschi carracceschi o le dipinture di Francesco Albani sappiano assolvere al compito di accogliere l’oggi senza ombra, neppure di dubbio, ma per certezza di confronto.  È un paradosso? Forse. Ma non è in quel solco che nascono le migliori idee? Non è forse dagli sfregi che, poi, tutto rinasce?

Genus Bononiae. Musei nella Città

SFREGI, Nicola Samorì

A cura di Alberto Zanchetta, Chiara Stefani

8 aprile – 25 luglio 2021

Palazzo Fava, via Manzoni 2, Bologna

www.genusbononiae.it|05119936343| esposizioni@genusbononiae.it

Azzurra Immediato

Azzurra Immediato, storica dell’arte, curatrice e critica, riveste il ruolo di Senior Art Curator per Arteprima Progetti. Collabora già con riviste quali ArtsLife, Photolux Magazine, Il Denaro, Ottica Contemporanea, Rivista Segno, ed alcuni quotidiani. Incentra la propria ricerca su progetti artistici multidisciplinari, con una particolare attenzione alla fotografia, alla videoarte ed alle arti performative, oltre alla pittura e alla scultura, è, inoltre, tra primi i firmatari del Manifesto Art Thinking, assegnando alla cultura ruolo fondamentale. Dal 2018 collabora con il Photolux Festival e, inoltre, nel 2020 ha intrapreso una collaborazione con lo Studio Jaumann, unendo il mondo dell’Arte con quello della Giurisprudenza e della Intellectual Property.

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