Mangiaterra e Marcucci a Casa Raffaello. Dagli anni Sessanta ad oggi

Casa Raffaello ha accolto due artisti marchigiani, Bruno Mangiaterra (Loreto, 1952) e Bruno Marcucci (Cagli, 1948), che, ex allievi dell’Accademia di Belle Arti di Urbino, son stati artisticamente attivi sin dalla fine degli anni Sessanta, assorbendo il vivace fermento culturale che in quel tempo dilagava nel neonato luogo dedito alla formazione artistica.

Il ritorno di entrambi, nell’anno delle celebrazioni per Raffaello, nella città che li ha ospitati da giovanissimi, è occasione per riflettere sulle radici del lavoro, per osservare sapientemente gli approdi e per porre dei nuovi punti di ripartenza, in un ambiente che è strettamente legato all’apprendimento: l’abitazione di Giovanni Santi che, come è noto, guidò il figlio nei primi esercizi pittorici. È indubbia ed inevitabile la connessione dei due artisti con quegli spazi e con il clima culturale che hanno assorbito a Urbino all’interno dell’Accademia nata nel 1967, ma è altresì notevole il divario che si legge a seguito della visione delle opere che vengono presentate in mostra, realizzate dagli anni Settanta ad oggi.

La prima stanza in cui ci si imbatte è abitata dai lavori della formazione, ad eccezione di un Omaggio a P. P. Calzolari Zero Rose del 2017, pur sempre legato al periodo accademico e all’influenza degli insegnanti allora presenti. Calcografie in acquaforte, stampe calcografiche, fotografia ed un uso sapiente di materiali che fino a quel momento non erano stati utilizzati, dominano la scena per approdare a nuovi concetti connessi al fare arte. Il curatore Alberto Mazzacchera, nei suoi scritti redatti per il catalogo, ci parla del concetto di “artista intellettuale” – a cui faceva riferimento Concetto Pozzati, Direttore dell’Accademia di Urbino nel 1972 – che Mangiaterra, così come Marcucci, fa suo e rivela tramite lavori che esplicitano il legame con scrittori, poeti, intellettuali ed altri artisti. La S e la X di una calcografia di Mangiaterra del 1970 riportano ai segni che i muratori tracciavano sui vetri dei nuovi appartamenti in un momento in cui le città stavano cambiando così come le necessità di ognuno. Viva è l’attenzione di Marcucci verso nuove tecniche e nuovi materiali che utilizza dalla metà degli anni ’70: una resistenza elettrica su pannello di amianto svela il profilo di una figura umana che tiene in una mano un sole e nell’altra la luna, scultura bidimensionale appartenente agli anni successivi la sua frequentazione al corso di scultura tenuto da Joseph Beuys a Düsseldorf. 

Tra i lavori più recenti di Bruno Marcucci svettano gli Iceberg che fanno parte dell’ampia produzione degli ultimi anni. In rame o in ottone estroflesso, sono simbolo di un’interiorità che emerge e si libera verso l’alto cercando di non svelare le proprie radici. La brillantezza dei materiali cattura la luce che ascende conservando energia. Accanto, i segni dei Palinsegni, su carta o su tavola, danzano su ritmi che, dallo strato monocromo all’utilizzo della spatola, affiorano nella superficie sui toni del blu, del verde e del giallo. Rappresentano una sorta di mappa urbana che esce dalla consapevolezza della psiche. 

Bruno Mangiaterra propone, nell’ultima sala espositiva di Casa Raffaello, una serie di opere strettamente connesse con un piccolo gioiello dell’alchimia barocca, la prima edizione di Les Aventures du philosophe inconnu (1646) del vescovo ed alchimista Jean-Albert Belin, in cui si narra di un giovane alla ricerca della pietra filosofale che parte per un viaggio che lo porterà ad incontrare numerosi imbroglioni e personaggi poco raccomandabili. Sfiduciato, ecco l’incontro finale con la Sapienza che, apparendo nella veste di una ninfa, gli appare in un bosco per trasmettergli il latte della conoscenza e i segreti della pietra filosofale. Mangiaterra ci presenta la pietra galleggiante sulla superficie dei suoi dipinti, senza tempo né spazio, libera come la coscienza dell’uomo aiutato dalla forza del γιγνώσκω. Memoria, poesia, filosofia, come si legge sul neon di uno dei lavori in mostra di Mangiaterra, che emergono in entrambi gli artisti tornati nel Ducato per ricordare e soprattutto per procedere nella loro ricerca.