Letizia Scarpello

Letizia Scarpello

Letizia Scarpello intervistata da Lorenzo Kamerlengo per The Hermit Purple, Luoghi remoti e arte contemporanea su Segnonline.

Parlami di un tuo maestro, o di una persona che è stata importante per la tua crescita.

Mio nonno è stato un grande maestro e una delle persone più importanti per la mia crescita. Si chiamava Fortunato e come spesso diceva era fortunato di nome e di fatto. Non perché la vita gli avesse concesso salute e ricchezza ma perché lo aveva munito di rara ambizione e preziosa lungimiranza. Non era un artista e non un intellettuale ma era uno spirito poetico di invidiabile astuzia. Limpido e verace era un napoletano senza paure e che ai tempi della fame aveva creduto nell’impossibile. Era positivo e propositivo, senza età ma con cuore saggio e occhi profondi. Un Eduardo De Filippo non lezioso, un maestro di vita brillante.
Mio nonno Fortunato costruì la sua dignità dal niente che più niente non ce n’è insegnandomi con i suoi racconti a credere con determinazione e indissolubile eleganza. La più grande opera d’arte che abbia avuto la fortuna di conoscere.

Quali sono secondo te il tuo lavoro/mostra migliore ed il tuo lavoro/mostra peggiore? E perché?

Secondo me tutti i miei lavori sono dei peggiori fra i migliori che verranno. Sono cifre di un percorso a tanti numeri, mi auguro, che sintetizzano processi di crescita passati, importanti ma per forza di cose lacunosi. I più vecchi fra tutti sono quelli meno “belli” ma ai quali sono più affezionata, i primi passi che oggi riguardo con solenne rispetto. A rigore di logica i più recenti mi convincono meno e potrei parlarti dell’ultimo come il peggiore fra i peggiori: Gold 24 Kt è composto da tre cilindri in gomma piuma, ricoperti di foglia oro 24 carati e installati a bloccare gli ingressi delle stanze nello spazio Baco Base Arte Contemporanea di Bergamo, per il quale li ho pensati lo scorso inverno. Un intervento importante che per quanto prezioso sia, risulta comunque debole a confronto con il luogo che lo ospita, un ambiente molto grande, antico e vissuto.
Penso che avrei dovuto concedermi più tempo per vivere fisicamente le stanze di BACO. Ne avrei percepito le difficoltà strutturali con più coscienza.

Se ti ritrovassi su un’isola deserta, proseguiresti la tua ricerca artistica? Se sì, in che modo?

Per risponderti a questa domanda dovrei ritrovarmi su un’isola deserta!
Comunque le parole di Eugenio Barba in Teatro: Solitudine, Mestiere, Rivolta possono aiutarmi: “… un episodio minore della storia del Nuovo Mondo raccontata da uomini e donne che abbandonarono la sicurezza della terraferma per condurre una vita precaria su isole galleggianti. Per rimanere fedeli ai loro desideri costruirono villaggi e città oppure misere dimore con un pugno di terra per orto, là dove sembrava impossibile costruire e coltivare qualcosa: sull’acqua e nelle correnti. Erano individui che o per necessità personali o perché costretti sembravano
essere destinati a essere asociali e riuscirono a creare altri modelli di socialità. L’isola galleggiante è l’incerto terreno che può perdersi sotto i piedi ma che può permettere l’incontro e il superamento dei limiti personali.”.
Se mi ritrovassi su un’isola non-più-deserta forse mi adatterei alla nuova
situazione per spirito di sopravvivenza e con me anche la ricerca artistica, come strumento di approccio alla nuova vita.

In che modo sta influendo l’isolamento di questo periodo su di te?

L’isolamento di questo periodo mi sta costringendo in diversi modi e la
costrizione sta forzando i miei limiti: alla concentrazione, all’equilibrio, alla
coscienza, all’accettazione, alla nostalgia, alla calma, alla lucidità, all’impegno e alla produttività. Bilanciare gli ingredienti di me in questo momento implica un’analisi introspettiva profonda che voglio cogliere come una possibilità. Cerco di vivere l’isolamento come l’opportunità di lavorare sulle intenzioni per quello che verrà dopo, senza compromessi con le circostanze esterne.
L’unico compromesso è appunto l’isolamento.